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Condannato all’ergastolo l’ex dittatore Videla

Ma non è una storia solo argentina...

La condanna all'ergastolo dei “señores de la muerte”, tra cui Jorge Rafael Videla, il “dittatore” della Junta Militar argentina (1976-1981), ed altri 21 ufficiali di polizia e militari accusati di aver ucciso 31 prigionieri politici detenuti nella Unidad Penal 1; ed il generale Luciano Benjamín Menéndez, comandante militare nella provincia di Còrdoba (tra il settembre del 1975 fino al settembre 1979), per aver privato illegittimamente della libertà e torturato 5 ex poliziotti ed un civile; rappresenta una sentenza storica per l'Argentina, una delle più importanti tappe per l'uscita definitiva del paese dall'orrore del periodo del Proceso de Reorganización Nacional e della "guerra sucia" (guerra sporca), costata la vita a 30.000 desaparesidos, durante la quale furono rapiti migliaia di bambini figli delle vittime della repressione e sottratti illegittimamente alla patria potestà dei parenti, fu causata una inflazione galoppante che ha portato il paese alla perdita della propria autonomia finanziaria e monetaria ed una umiliante sconfitta militare con l'Inghilterra nella guerra per le isole Falkland/Malvinas.

Videla ed altri componenti della Giunta Militare, dopo il ristabilimento del regime democratico in Argentina, erano già stati condannati all'ergastolo nel 1985, con una sentenza confermata dalla Corte Suprema de Justicia de la Nación nel 1986. Nel 1990, dopo aver scontato solo cinque anni di pena, il dittatore beneficiò dell'indulto concessogli dal presidente Carlos Saùl Menem, motivato dalla contestata decisione di "superare le divisioni del passato". Tornò nuovamente in prigione nel 1998, per un breve periodo (38 giorni), a seguito di un nuovo processo nel quale era accusato di sottrazione di minore, un crimine contro l'umanità, quindi imprescrivibile. Nel 2003 il presidente Nestor Kirchner riuscì a far approvare dal parlamento una legge che abrogava le norme che avevano, in pratica, amnistiato i reati commessi durante il periodo della presidenza de-facto di Videla, rendendo possibile per la magistratura argentina riaprire le indagini sul periodo della dittatura militare.

estela

Il processo conclusosi il 22 dicembre presso il tribunale di Còrdoba, considerato dalle organizzazioni umanitarie, come le Abuelas de Plaza de Mayo (nella foto a sinistra), "il trionfo della verità e della giustizia sull'infamia dell'occultamento", festeggiato con lacrime di gioia e commozione, è stato giudicato corretto sotto il profilo delle garanzie del rispetto dei diritti umani dalle principali organizzazioni umanitarie. I condannati dovranno adesso scontare la pena in un penitenziario civile, e non militare, salvo ovviamente casi gravi di salute.

Non tutto è filato liscio però, come ha dichiarato il governatore della provincia di Còrdoba, Juan Schiaretti, che ha accusato il governo di non aver protetto in nessun modo i 110 testimoni dell'accusa, per i quali la polizia della provincia ha dovuto istituire un vero e proprio dipartimento, garantendone "in assoluta solitudine" istituzionale la loro tutela.

L'ottacinquenne ex dittatore ha stupito giudici, cronisti ed osservatori per la superbia mostrata durante tutto il processo, nei cui dibattimenti non ha mai mostrato pietà per le vittime del regime, rivendicando la necessità di quella che lui considera ancora “no una guerra sucia, sino una guerra justa que aún no ha terminado” ("non una guerra sporca ma una querra giusta che ancora non è terminata"), una frase che ricorda quanto da lui stesso dichiarato nel 1976, durante l'Operacion Claridad del ministero dell'Educazione e della Cultura, quando furono bruciati, per ordine ufficiale, milioni di libri e proibiti dischi considerati sovversivi, una delle operazioni politiche più oscurantiste e biblioclaste della storia dell'umanità. Nella "lista negra" delle pubblicazioni e degli oltre 231 autori proibiti, tra cui figurano 41 desaparecidos, finirono (con differenti indici di "pericolosità") Gabriel Garcia Marquez, Julio Cortàzar, Jorge Luis Borges, Pablo Neruda, Edoardo Galeano, Vargas Llosa, ed addirittura la rivista Time. Gran parte delle opere furono distrutte nei roghi di libri allestiti dalle forze armate, e che ancora oggi bruciano nella vergogna nazionale argentina. Furono messe al bando gran parte delle canzoni di Mercedes Sosa, che fu costretta all'esilio, dei cileni Violeta Parra e Victor Jara; fu predisposta una lista di 150 canzoni "non adatte ad essere diffuse per radio", tra cui il brano Cocaine di Eric Clapton, il disco The Wall dei Pink Floyd, Get down make love dei Queen, etc.

Videla dichiarò in un comunicato ufficiale: "Si incenerisce questa documentazione perniciosa che influisce sull'intelletto e sul nostro modo di essere cristiani, con il fine che non possano continuare ad ingannare la nostra gioventù sulle nostre tradizioni: Dio, Patria e Famiglia".

A partire dalla sentenza di mercoledì scorso, c'è da sperare che anche l'analisi storica sull'intera vicenda della Giunta Militare possa fare luce sulle ombre e soprattutto sulle protezioni internazionali di cui ha goduto Videla e la sua banda di assassini, al governo di un stato-laboratorio che, nel corso degli anni '70, ha visto sperimentare alcune delle più "moderne" soluzioni autoritarie concepite dagli stati occidentali in risposta alla crisi economica e sociale ed all'indebolimento del monopolio della violenza statale, basate sulla liberalizzazione dei contratti di lavoro, sulla soppressione del potere delle organizzazioni sindacali e su una ferocissima repressione militare e poliziesca accompagnata dall'effetto anestetizzante delle televisioni e dei giornali.

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Quando, il 24 marzo 1976, il colpo di Stato militare abbattè il governo di Isabelita Peron, la terza moglie di Juan Domingo Peròn (divenuta presidente il 1° luglio 1974 alla morte del marito), l'Argentina stava pagando a caro prezzo le conseguenze della crisi energetica, delle scelte monetariste che provocarono la stagflazione economica, a cui si aggiunse il blocco dell'esportazione della carne argentina verso l'Europa. Isabelita Peron, incapace di contrastare il consolidamento della destra da parte del ministro del Benessere Sociale, José López Rega, ex segretario personale di Juan Domingo Peròn, ebbe la responsabilità storica di rimanere colpevolmente inerte di fronte all'organizzazione della Alianza Anticomunista Argentina, un corpo paramilitare la cui attività è stata condannata nel 2006 per crimini contro l'umanità, che si è reso responsabile dell'assassinio di sindacalisti, parlamentari, giudici, artisti, giornalisti ed oppositori politici, ben prima del golpe di Videla, contribuendo all'esasperazione del conflitto sociale e civile. Alcuni membri di questo corpo paramilitare vennero poi arruolati nella principale agenzia dei servizi segreti, il SIDE (Secretaría de Inteligencia de Estado).

E' una storia, quella degli anni '70 in Argentina, che somiglia molto a quella dell'Italia dello stesso periodo, forse anche troppo. José López Rega, ad esempio, era in strettissimi rapporti con Licio Gelli, con il quale aveva costituito in Argentina l'OMPAM, un organismo che radunava organizzazioni massoniche principalmente brasiliane ed argentine, e di altri 12 paesi sudamericani, una sorta di Loggia P2 in salsa sudamericana, grazie alla quale Gelli, insieme ad Umberto Ortolani e Roberto Calvi, gestiva operazioni finanziarie ed industriali nei principali paesi dell'America latina, finalizzate al rafforzamento dei regimi autoritari, riuscendo ad assumere il controllo di 23 testate giornalistiche nella sola Argentina. 

licio gelli

Sul ruolo avuto da Gelli, che era consulente economico dell'ambasciata Argentina a Roma, godendo dell'immunità diplomatica, durante il periodo della Giunta Militare, Giulio Andreotti, il più longevo ministro della difesa e responsabile dei servizi segreti in quegli anni, uomo politico di fiducia degli americani, dichiarò alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla Loggia P2, di aver conosciuto Licio Gelli, quando era ancora "ufficialmente" un dirigente della Permaflex, proprio in Argentina, nel 1973, alla cerimonia di insediamento del presidente Juan Domingo Peròn:

"...Peròn ci invitò a casa e, tra le pochissime persone che c'erano, c'era Gelli che, vidi, era considerato da Peròn quasi con una grande - direi - devozione, non solo con rispetto... Successivamente ho visto Gelli alcune volte perchè lui ebbe un ruolo nell'ambasciata Argentina qui a Roma, presso la quale aveva anche -credo- un incarico formale. Comunque tutte le volte che c'erano visite di argentini di un certo rilievo, l'ambasciata aveva sempre incaricato Gelli di prendere i contatti e preparare queste visite (...) parlo del presidente Videla, dell'ammiraglio Massera quando era presidente della giunta...".

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