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Con la crisi cresce il gradimento per l’operato di Trump

L’emergenza coronavirus e l’effetto “rally around the flag” fanno salire il gradimento dell’esecutivo Trump. Ma fino a che punto?

di Gianluca De Feo

Con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre è fondamentale tenere sott’occhio l’indice di gradimento dell’operato di Donald Trump. Come vedremo, infatti, i presidenti uscenti che in passato hanno ottenuto la rielezione registravano alti livelli di approvazione già nelle ultime settimane del primo mandato. L’andamento dell’indice di gradimento del presidente potrebbe dunque essere una delle chiavi per provare a prevedere l’esito delle prossime votazioni.

Il “mini boom” di Trump

Negli ultimi giorni, l’esecutivo Trump ha visto crescere lievemente il proprio tasso di approvazione, e l’emergenza coronavirus sembra aver giocato un ruolo fondamentale. Alla fine di febbraio, il presidente affermava che la diffusione del virus era sotto controllo e l’economia non ne avrebbe particolarmente risentito. Qualche giorno dopo, la borsa americana iniziava a crollare, toccando il picco negativo lo scorso lunedì 16 marzo, quando Dow Jones e S&P hanno perso rispettivamente il 12,9% e il 12%, la cifra peggiore mai registrata dal tristemente famoso “Black Monday” del 1987. Tra il 21 febbraio e il 23 marzo, il Dow Jones ha perso più di 10.000 punti, circa il 35%. Pochi giorni fa il numero di contagi negli Stati Uniti ha superato quota 160.000, uccidendo più di 3.000 pazienti positivi.

Dopo aver lasciato, in un primo momento, la gestione dell’emergenza in mano ai governatori di ogni singolo stato – che nel frattempo hanno dichiarato lo stato di “lockdown” in 32 stati su 50 – il 16 marzo Trump si è quindi deciso ad agire, diramando alcune direttive nazionali al fine di limitare la diffusione del virus, di recente prolungate fino alla fine di aprile. Alcuni medici appartenenti al team di consulenti della Casa Bianca avevano infatti stimato in circa 200.000 il numero potenziali di vittime dell’epidemia negli Stati Uniti, rendendo necessario il prolungamento della stretta, che rischierebbe però di aggravare la crisi economica già in corso. Pochi giorni fa, sostenuto da entrambi i partiti al Congresso, Trump ha dunque firmato una legge da 2 triliardi di dollari per il sostegno alle imprese e i lavoratori colpiti dalla crisi. Pare evidente che l’aggravarsi della pandemia sta portando gli Stati Uniti ad affrontare uno dei periodi più difficili mai attraversati dal dopoguerra ad oggi, sia dal punto di vista sanitario, che economico.

In passato, durante momenti di grave crisi o guerra, il popolo americano si è sempre stretto intorno al suo presidente, simbolo di unità. Questo fenomeno è conosciuto con l’espressione americana “rally around the flag“, letteralmente lo “stringersi intorno alla bandiera”. Con l’aumento della preoccupazione nei confronti del coronavirus (secondo un sondaggio condotto da Fox News nove americani su dieci sarebbero preoccupati per la sua diffusione) anche Trump sta registrando una crescita nel suo indice di gradimento, mai così alto da tre anni a questa parte. Ma c’è un “però”.

L’indice di gradimento di Donald Trump dal suo insediamento a oggi: la media di FiveThirtyEight

Secondo la media elaborata da FiveThirtyEight (che tiene conto di elementi come la qualità del sondaggio, la dimensione del campione e l’orientamento politico della fonte) la percentuale di cittadini americani che approva l’operato di Trump non ha mai superato il 50% e dopo un breve iniziale periodo di – comunque scarso – entusiasmo (nei giorni successivi all’insediamento si registrò un tasso di approvazione vicino al 48%) è sempre rimasto piuttosto stabile tra il 36% e il 44%. Il rialzo degli ultimi giorni avrebbe portato l’indice di gradimento del presidente intorno al 45%, in crescita di circa 3 punti rispetto a due settimane fa.

Quello registrato da Trump sarebbe quindi un incremento piuttosto contenuto, quasi paragonabile ad altri – altrettanto lievi – già rilevati durante sua presidenza, come ad esempio i rialzi occorsi dopo lo shutdown di inizio 2019 e nei momenti precedenti o successivi alle fasi dell’impeachment. L’effetto rally around the flag non sembra dunque aver inciso in maniera così decisiva sull’opinione che la popolazione americana ha del suo attuale presidente, soprattutto se paragonata a quella estremamente positiva espressa nei confronti di alcuni presidenti del passato in occasione di crisi legate a guerre o attentati terroristici.

Indice di gradimento registrato dai presidenti americani tra il 1977 e il 2017, su un periodo di otto anni, comparato a quello registrato da Trump (in verde) fino ad ora

Fonte: FiveThirtyEight

George W. Bush, ad esempio, registrò due altissimi picchi di gradimento, il primo nei giorni successivi agli attentati dell’11 settembre 2001 (+30%, l’incremento più vertiginoso di sempre) e il secondo prima dell’entrata in guerra con l’Iraq di Saddam Hussein. Anche suo padre, George H.W. Bush, vide crescere l’indice di apprezzamento in corrispondenza della Guerra del Golfo del 1990 e lo stesso accadde a Ronald Reagan in occasione dell’invasione statunitense dell’isola di Granada nel 1983 e dei bombardamenti sulla caserma militare di Beirut dello stesso anno, ma anche a Jimmy Carter all’inizio della crisi degli ostaggi in Iran del 1979. Guardando ancora più indietro, John F. Kennedy ebbe un boom di approvazione durante la crisi dei missili di Cuba del 1962.

Indice di gradimento registrato dai presidenti americani tra il 1945 e il 1977, su un periodo di otto anni, comparato a quello registrato da Trump (in verde) fino ad ora

Fonte: FiveThirtyEight

Ma oltre all’effetto rally around the flag, i presidenti politicamente più longevi hanno visto salire più gradualmente – chi in misura maggiore, chi minore – il proprio indice di gradimento verso la fine del quarto anno di presidenza, in concomitanza con la rielezione al secondo mandato. Sarà questo il caso anche per Trump?

Un elettorato troppo schierato

Il lieve incremento di consensi registrato dal presidente negli ultimi giorni è senza dubbio dovuto alla crisi che gli Stati Uniti e il mondo intero stanno affrontando in queste settimane. Data la portata dell’emergenza, però, ci si poteva aspettare un boom di consensi più vigoroso. Trump ha invece registrato un balzo in avanti di soli 3 punti percentuali, che sarebbe dovuto principalmente a una crescita di consensi tra gli elettori che si definiscono “indipendenti“, ma più vicini ai conservatori. Un gruppo che potrebbe risultare fondamentale per la rielezione di Trump, dato che al momento il suo consenso è ampio tra i repubblicani più schierati, ma più basso tra i moderati (su cui però punta anche il suo avversario più probabile, Joe Biden).

Secondo il New York Times, il boom non è avvenuto e difficilmente l’attuale presidente supererà la soglia del 50% di approvazione per diversi motivi. Innanzitutto, questa crisi è diversa dalle altre. È “lenta”, graduale, non include un evento traumatico (come l’11 settembre) o un avversario tangibile. Per un boom di approvazione, poi, ci vuole anche supporto bipartisan; c’è bisogno, insomma, di grande unità politica. Ciò che è successo nel caso dello stimulus bill da 2 triliardi di dollari approvato qualche giorno fa, ma, in precedenza, gli avversari di Trump (tra cui i governatori democratici degli stati più colpiti) avevano offerto solo tiepido supporto al presidente, in risposta alla sua iniziale sottovalutazione dell’emergenza.

La motivazione principale, tuttavia, è da attribuire all’estrema polarizzazione dell’elettorato americano. Già durante la presidenza Obama, l’indice di gradimento non presentava le grandi oscillazioni registrate dai suoi precursori, indice del fatto che da qualche anno a questa parte la maggior parte degli elettori è particolarmente decisa sulle proprie posizioni (o a favore di un particolare leader) e ci rimane a tutti i costi. Con Trump questo fenomeno si è ulteriormente amplificato, ed è proprio per questo motivo che neanche una crisi come quella attuale potrebbe riuscire a dargli una spinta significativa.

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