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Come funziona la scienza

Come funziona la scienza e cosa si intende per metodo scientifico? Come distinguere ciò che è razionale da ciò che non lo è e dalla pseudoscienza? Lo scienziato Saverio Bettuzzi ci invita a riflettere criticamente sul numero 4/23 di Nessun Dogma

 

Premessa

Sappiamo che il nostro mondo progredisce grazie a scienza e tecnologia. Ma la consapevolezza di cosa sia davvero la scienza non pare così diffusa nella società. Ad esempio: sappiamo come funziona? A quali ambiti si applica? Quale metodo attua? E ancora: come s’interpretano le sue risposte, e che valore hanno?

In questo percorso occorre evitare delle trappole mentali. Trappola 1: attenzione a ciò che ci piacerebbe fosse vero, ma invece non lo è. Un’idea ci può sedurre perché corrisponde alle nostre aspettative. Ma la realtà potrebbe essere molto diversa. Dobbiamo quindi essere lucidi e obiettivi, anche quando ciò che vediamo, pur reale, non ci piace. Trappola 2: l’analisi di realtà. Ciò che è chiaramente vero, perché la realtà ce lo conferma, deve sempre essere il punto di partenza del ragionamento, anche se apparisse controintuitivo. Trappola 3: la durissima legge della scienza sperimentale. Basta un solo esperimento per dimostrare che una teoria, pur affascinante, è sbagliata. È un concetto molto importante. La scienza a volte dice no, piuttosto che sì. Ma ne riparleremo poi. Capire che siamo sulla strada sbagliata e cambiare subito idea è fondamentale. Ma ammettiamolo: è una delle cose più difficili da fare, per chiunque.

Il metodo scientifico

In modo semplice e diretto, si tratta del miglior metodo che abbiamo individuato per affrontare in modo razionale i problemi e trovare soluzioni che siano concrete, affidabili, efficaci, riproducibili: cioè, che funzionano. Il metodo scientifico è il modo con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza cumulativa che sia oggettiva e condivisibile.

Questo metodo porta a comprendere le leggi naturali che governano l’universo, formulate in teorie. Il primo a descrivere il metodo scientifico in modo chiaro e comprensibile fu Galileo Galilei. Per questo è anche chiamato metodo galileiano. Risale al XVI secolo ed è così importante da rendere improprio l’uso dei termini scienza e scienziato riferiti a epoche precedenti.

Il metodo scientifico o galileiano sfrutta l’uso combinato di teoria ed esperimento. I fenomeni si misurano. Nella scienza, osservazione e misura sono inscindibili: fenomeni che non si misurano, non le appartengono. Questo è un limite preciso della scienza. Fenomeni che, pur reali, non siano misurabili, non possono essere affrontati col metodo scientifico sperimentale.

Non è un giudizio morale, non sono “meglio” o “peggio”: sono semplicemente al di fuori della sua sfera di competenza. Ad esempio, al momento non credo si possa “misurare” la poesia, anche se sappiamo apprezzarla, quando la incontriamo. Galileo scrisse: «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto.

Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto»(Galileo Galilei, Il Saggiatore, Cap. VI, 1623). Senza i numeri, senza la matematica, non vi è scienza. La realtà è un puro fatto quantitativo e matematico: l’osservazione empirica considera scienza solo le conoscenze ottenute dall’esperienza.

Primo fra tutti, Galilei definisce sia l’ambito di applicazione della scienza che i suoi limiti. Per poter capire, è necessario eseguire esperimenti con gli oggetti che abbiamo a disposizione. L’esperimento e la teoria fanno entrambi parte del metodo, perché un modello teorico spiega un’osservazione sperimentale e anticipa future osservazioni. Fondamentale è la riproducibilità degli esperimenti, cioè la possibilità che un dato fenomeno/esperimento possa essere riprodotto e studiato in tutti i laboratori del mondo da chiunque abbia le competenze per farlo.

Il percorso che porta dall’osservazione di un fenomeno alla stesura di una teoria scientifica si chiama ciclo conoscitivo. Si articola nei seguenti passi, ripetuti ciclicamente:

  1. Osservazione (vedere l’evento in modo critico; formulare la domanda giusta)
  2. Esperimento (progettato in modo che chiunque lo possa riprodurre; raccolta dei dati)
  3. Correlazione fra le misure (analizzare i dati con metodi condivisi; risultati e conclusione)
  4. Elaborazione di un modello matematico, fisico o biologico (ipotesi generale)
  5. Formalizzazione della teoria (la sintesi finale)

Se la teoria è scientificamente valida, essa permette di prevedere i fenomeni nel tempo, anticipando risultati e osservazioni. Il metodo scientifico rispetta le regole del pensiero logico e salvaguarda la realtà e l’obiettività dei fenomeni studiati. Il ciclo conoscitivo si ripete continuamente, fin quando è necessario.

Se il punto 3, oppure il 5 non supportano l’ipotesi di partenza, si ricomincia dal punto 1. E così via fino al raggiungimento di una conclusione generale (teoria) che resista all’approccio sperimentale. Il ciclo conoscitivo è quindi inesorabile: non termina mai. L’universo è un gigantesco esperimento, sempre in atto e mai finito.

Grazie alla sua efficacia, questo metodo consente anche un approccio cumulativo delle conoscenze scientificamente validate dalla comunità degli scienziati: non è necessario scoprire la ruota di nuovo. Si possono unire frammenti diversi di conoscenza (invenzioni, brevetti) per produrre un oggetto di tecnologia superiore: ad esempio, un’automobile, che contiene centinaia d’invenzioni. Quanto tempo ed energie ci vorrebbero, se dovessimo ricominciare da capo ogni volta?

In biologia e medicina molte leggi sono di tipo probabilistico e non sempre sono espresse in formule matematiche. Ma si usa la ripetibilità delle osservazioni e la matematica come strumento. La conclusione scientifica deve essere statisticamente significativa: può essere raggiunta solo a seguito di un numero adeguato di osservazioni sperimentali, mai su un solo caso.

Si lavora su grandi numeri (popolazioni, coorti di pazienti), per stabilire la probabilità di un evento. Il risultato finale è sempre di tipo probabilistico. Il suo valore di verità, così come il modo corretto di usare quest’informazione, risiedono nella capacità di comprendere il significato della probabilità che un evento accada.

Il controllo della validità della conclusione scientifica è affidato ad altri ricercatori, colleghi e pari per competenze (peer review). Diversamente da quanto molti pensano, la scienza è “democratica”, poiché sono le “popolazioni” a stabilire se la conclusione è valida, oppure altri ricercatori, spesso lontani e anonimi.

Nella scienza non è prevista alcuna “auto-referenzialità” (spesso la scienza ne è accusata a torto), ma solo l’analisi di realtà. La ricerca scientifica quindi esegue esperimenti allo scopo di raggiungere conclusioni che abbiano carattere di verità. Ma quanto dura nel tempo la verità scientifica? Molto semplicemente, una teoria è scientificamente vera solo fino a quando il ciclo conoscitivo non la smentisce.

La Conoscenza

Senza alcuna pretesa di esaurire una disciplina complessa come l’epistemologia, occorre ora familiarizzarsi con alcuni dei suoi concetti base. Pensiamo al concetto di osservazione. Esso non è mai neutro, passivo. Nella scienza non basta osservare: bisogna anche sapere cosa osservare (ad esempio, chiunque è inciampato e caduto almeno una volta: ma è stato solo Newton a formulare la legge della gravitazione universale). Inoltre, l’osservazione dello scienziato, strutturata in forma di esperimento, non è mai fine a se stessa («Mescoliamo tutto, poi vediamo cosa succede…»), ma è sempre attiva, ovvero finalizzata a verificare, o confutare, una determinata teoria («Se ciò è vero, allora deve accadere che…»).

Tra i grandi dell’epistemologia occorre citare Karl Popper. Nel 1934 (Logica della scoperta scientifica) afferma che la conoscenza è un processo essenzialmente critico. La verità può essere solo una corrispondenza ai fatti. Ma come si genera conoscenza? Per semplificare molto le cose, si possono usare due metodi. Il metodo induttivo consiste nella raccolta di osservazioni riguardo un evento da cui trarre una legge generale, che permetta di prevedere una futura manifestazione misurabile.

Ad esempio: il sole sorge ogni mattina, quindi sorgerà anche domani. Ma un altro grande di questa disciplina, Bertrand Russell, sollevò un problema: il tacchino americano è nutrito tutti i giorni dal contadino. Quindi può prevedere che anche domani sarà nutrito. Ma domani sarà il Thanksgiving Day e sarà il contadino che mangerà lui. Il modo induttivo di procedere può condurre in errore, perché una verità che è sempre stata vera, improvvisamente potrebbe non esserlo più.

L’altro metodo è quello deduttivo. Popper definisce il metodo scientifico deduttivo basandosi sul criterio di falsificabilità, anziché su quello induttivo di verificabilità. Una verità scientifica deve essere falsificabile. Se una previsione formulata da un’ipotesi si verifica oggi, non vuol dire che si verificherà sempre.

Occorrerebbero infiniti casi che la confermino. Poiché ciò è impossibile, ogni teoria scientifica non può che restare nello stato di ipotesi. Se tuttavia una tale ipotesi resiste ai tentativi di confutarla per via deduttiva tramite ulteriori esperimenti, ebbene allora possiamo ritenerla più valida di un’altra, che viceversa non ha retto alla prova dei fatti. Quindi, anche il concetto d’ipotesi nella scienza ha un significato molto particolare rispetto al significato comune. Un’ipotesi scientifica contiene molta verità.

Ma la verità scientifica è relativa (falsificabile), perché è vera fino a quando l’evidenza concreta lo dimostra, oppure fino a quando non viene smentita dall’analisi di realtà (nuovi esperimenti). Quindi è il contrario esatto del dogma, che è vero a prescindere, perché così è stato affermato.

Popper propone che la sperimentazione non potrà mai dare certezze positive, cioè non potrà mai dire in assoluto se una tesi è vera, ma potrà solo dire se è falsa. Gli esperimenti non possono mai verificare una teoria, ma al massimo smentirla. Ciò che conta di una teoria scientifica è che essa sia espressa in forma criticabile e falsificabile sul piano oggettivo, altrimenti sarebbe un dogma.

Ma sul termine falsificabile dobbiamo intenderci: non stiamo dicendo che la scienza “imbroglia”. Diciamo falsificabile perché il nuovo esperimento (pensato diversamente, con un nuovo più potente strumento di misura, osservando un evento mai visto prima…) rende falsa la prima teoria. Ad esempio, al momento non esistono “intelligenze aliene”. Ma solo fino a quando non capitasse di incontrarle. Paradossalmente, è la falsificabilità della teoria scientifica che la rende oggettivamente vera.

Il grande potere della scienza è che può cambiare idea di fronte all’evidenza grazie all’opera incessante del ciclo conoscitivo che, prima o poi, produce una seconda teoria, migliore della prima. E così via, all’infinito, fino a quando esisterà la sete di conoscenza. Si potrebbe dire che l’approccio razionale scientifico è un modo per mettere sempre più a fuoco un fenomeno “rimuovendo ignoranza”, perché ci dice cosa è falso, migliorando quindi progressivamente la nostra conoscenza.

Un po’ come lo scultore che toglie materia grezza dal blocco per rivelare la forma che ha immaginato. La verità scientifica, quindi, sarà sempre una verità relativa, mai una certezza. Ne deriva che il relativismo (scientifico) è un valore, non è un difetto. Senza relativismo la scienza non sarebbe tale, e soprattutto non migliorerebbe costantemente le nostre conoscenze, perché rimarrebbe ancorata alle vecchie verità. Siamo all’opposto del famoso Ipse dixit (“Lo disse lui”, quindi deve essere vero per forza…).

Quando s’interpella la scienza bisogna stare molto attenti a cosa chiedere. E anche a come si formula la domanda. Perché la scienza di solito risponde. Ma comprendere o accettare il significato di questa risposta a volte non è semplice. Torniamo un attimo ai concetti di deduzione e induzione, che sono ancora attuali. Come si ragiona in modo logico? Un famoso sillogismo deduttivo dell’antichità recita così: tutti gli uomini sono animali, tutti gli animali sono mortali, dunque tutti gli uomini sono mortali.

Chi potrebbe essere in disaccordo? Notate che l’insieme dei mortali è quello più ampio. Comprende quello degli animali che è più piccolo e quindi ne è un sottoinsieme (ma anche le piante, ad esempio). Il quale, a sua volta, contiene anche il sottoinsieme ancora più piccolo degli uomini (ma anche le donne, ad esempio). In sostanza, la verità iniziale (mortali) è già “dentro” al punto di arrivo deduttivo (uomini). Basta solo vederla.

Il percorso induttivo è diverso, ed è molto sdrucciolevole. Un antico esempio di ragionamento per induzione è il seguente: l’uomo e il cavallo sono longevi, l’uomo e il cavallo sono animali con la cistifellea, dunque gli animali con la cistifellea sono longevi. Questo ragionamento non convince la logica: è facile obiettare che l’uomo e il cavallo hanno anche due occhi, oppure un solo cuore; quindi, a cosa esattamente dobbiamo attribuire la caratteristica della longevità? Inoltre, una sequoia vive molto più a lungo di entrambi, ma non ha nessuno di questi organi.

Razionale vs irrazionale

Tutto ciò potrebbe sembrare inutile “accademia” di tanti secoli fa, ma non è così. La lotta tra logica/ragione + metodo scientifico da un lato, e irrazionalità dall’altro, è ancora molto attuale.

Ora cerchiamo il difetto logico delle seguenti affermazioni:

  1. I bambini Marco e Maria sono autistici. I bambini Marco e Maria hanno ricevuto il vaccino trivalente. Il vaccino trivalente causa l’autismo.
  2. Mio nonno fumava. Mio nonno ha vissuto 100 anni. Fumare fa vivere 100 anni.
  3. Un secolo fa non si moriva di cancro. Oggi molti muoiono di cancro. La vita di oggi è malsana e causa il cancro.

Queste tre affermazioni sono moderne. Ma anche false. Dove difettano? Il caso 1 assomiglia al percorso induttivo citato poco prima. Marco e Maria hanno anche preso l’aspirina, oppure sono andati a scuola, o i loro genitori sono vegani. A cosa dobbiamo attribuire l’autismo, quindi? Per inciso, ancora oggi non conosciamo con certezza le cause di questa malattia. Qui si difetta per induzione. Il caso 2 ha un grosso problema: la statistica. Si tratta di una sola osservazione. Anche se fosse vera, non può consentire un’affermazione generale, cioè una teoria. Il caso 3 parte da un presupposto sbagliato (il cancro esiste da sempre ed è stato ben descritto nel passato), per poi concludere in modo sbagliato, perché il concetto di malsano è troppo generico. Se si vuole trovare una relazione di causa-effetto occorre individuare una causa precisa. Quindi è un difetto di ragionamento. Infatti, la conclusione del caso 3 non corrisponde affatto alle conoscenze scientifiche di oggi (troppo lungo da spiegare qui).

Quando si commettono errori di ragionamento come questi si origina un famoso “mostro”, la nemesi della scienza: la pseudoscienza. Capire bene cosa sia la scienza ci serve per distinguerla da cosa non lo è.

La pseudoscienza

Leggete queste due affermazioni. Tra i due soggetti, solo uno è il vero scienziato, mentre l’altro è uno pseudo-scienziato camuffato.

  1. Qui ci sono i fatti: che conclusione possiamo trarne?
  2. Qui c’è la conclusione: quali fatti possiamo trovare, che la sostengano?

Lo scienziato è il numero 1. Non possiede una verità preconcetta, ma è aperto al nuovo. E parte dall’analisi di realtà per poi giungere alla conclusione dopo. Il numero 2 capovolge invece il ragionamento in modo subdolo. Nel tentativo di avvalorare una verità che già ritiene di possedere, sceglie le sole evidenze che gli fanno comodo per sostenere un dogma. Nel caso 2 non siamo di fronte alla scienza, ma al suo contrario; attenzione: la sua capacità persuasiva è molto potente.

Un altro principio della logica utile per comprendere i rischi della pseudoscienza è: «Nel falso, sta tutto». Un po’ come nel buio. Se il buio è assoluto, posso immaginare di aver di fronte qualunque cosa, soprattutto qualcosa da temere. Solo quando la luce illumina la scena si vede il fenomeno in modo comprensibile. Questo è ciò che fa la scienza. Come a dire: la ragione illumina, l’irrazionale vede buio e ci spaventa.

La scienza e gli scienziati sono cose diverse

La scienza non è questione di opinioni. L’opinione di uno scienziato non vale uno. È un consenso che è stato raggiunto faticosamente e poi condiviso con migliaia di scienziati che hanno lavorato sul problema per decine di anni. È la punta di un iceberg. Non è mai un’opinione personale, che vale come quella di chiunque altro. Su quest’aspetto molto particolare, si potrebbe affermare che la scienza non è democratica: non vale l’opinione di chiunque, non vale quella della maggioranza. Vale solo quell’opinione che aderisce alla realtà avendo resistito alla prova estenuante del ciclo conoscitivo.

Dove si trovano i risultati scientifici? Solo nelle pubblicazioni scientifiche, che permettono di condividere i risultati e il confronto delle opinioni in condizioni eque. Si tratta di materiale professionale, di solito in lingua inglese, stilato con rigore metodologico, che segue regole precise e uguali per tutti. PubMed è la banca dati dei risultati biomedici.

È una miniera quasi infinita d’informazioni, aggiornata in tempo reale, accessibile gratuitamente. Ma occorre conoscere la lingua inglese e saperla interrogare con parole chiave tecniche. Per scoprire l’attendibilità di uno scienziato che tratta uno specifico argomento occorre consultare gli indici bibliometrici internazionali, che permettono la valutazione della sua produttività scientifica. Questi indici non si applicano alle discipline umanistiche. La competenza scientifica di un particolare scienziato su un dato argomento può essere verificata leggendo le sue pubblicazioni più importanti su PubMed. Ma non è cosa da tutti.

La scienza non è mai una battaglia di opinioni («…io ho ragione, tu hai torto…»), Gli scienziati sono tutti virtualmente seduti intorno a un tavolo semplicemente per capire cosa sta accadendo. E lo fanno in una comunità che da sempre è internazionale, non conosce confini geografici, ideologici o politici. Lo scienziato, quello vero, è umile. Conosce la frustrazione del fallimento, sa quanto è difficile scoprire cose nuove ma, nonostante tutto, non desiste.

Tutti noi ne siamo la prova vivente (avete mai preso un antibiotico? Allora Fleming aveva ragione e probabilmente ci ha salvato la vita), quindi dobbiamo gratitudine alla scienza e agli scienziati che ci hanno illuminato. Ecco perché dobbiamo impegnarci tutti a mantenere accesa la fiamma della scienza. Il metodo scientifico è il più importante “patrimonio intangibile dell’umanità”. Forse si dovrebbero raccogliere delle firme per ottenere questo riconoscimento.

Ma, vi prego, non confondete la scienza con gli scienziati: il metodo galileiano è uno strumento prezioso che non ci abbandonerà mai, perché produrrà sempre la conoscenza affidabile che ci serve. Gli scienziati però sono donne e uomini, col loro bagaglio di pregi e difetti. È già capitato che ottimi scienziati si siano poi rivelati pessimi esseri umani.

Ma questo non infanga la ricerca scientifica. Ricordiamoci piuttosto di Jonas Salk e della scoperta del vaccino per la poliomielite (oggi obbligatorio in Italia, insieme ad altri 9). Il suo vaccino la estirpò dalla popolazione mondiale. Salk fu salutato negli Usa come “l’uomo dei miracoli”. Lui voleva solo sviluppare un vaccino sicuro ed efficace, il più rapidamente possibile, senza alcun profitto personale. Quando, nel 1955, gli fu chiesto chi possedesse il brevetto del vaccino, rispose: «La gente, suppongo. Non c’è brevetto. Si può brevettare il sole?»

Saverio Bettuzzi


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