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Civati, Serracchiani e i "ricostruttori": dite qualcosa di sinistra

"Il nostro tempo" è arrivato, anzi, rischiamo che sia già passato prima di essere vissuto. Tipo quelle scatole di cose da mangiare che scadono dentro uno scaffale, senza nemmeno essere state aperte.

Ecco, noi rischiamo di far la fine di quella roba là. Sostituiti da altri, perché ormai scaduti senza nemmeno essere stati assaggiati. A Bologna ci sarei voluto essere. Debora Serracchiani, di cui ho stima profonda e che non credo di offenderla dicendole che sarà la Rosy Bindi del futuro, mi aveva invitato - non lei in persona, credo, ma il suo staff - con almeno tre o quattro mail. Ma io non sono andato.

In questi giorni sono solo - Dan è a Parigi - e da solo non mi andava di andare. Poi sono stanco, parecchio: il cantiere mi ha sfinito. E poi ieri sera era il compleanno di Milena e oggi di mio padre. Tutte cose alle quali ho deciso di dare più importanza che al Pd, adesso. E sono contento così: sia perché c'è quell' "adesso" nella mia testa, che significa "in futuro chissà", sia perché questa scelta è mia, solo mia, e per fortuna c'è qualcuno per cui quell'adesso non ha coinciso col mio.

Civati mi piace molto. E quando dico molto, non voglio aggiungere dopo un "più di Renzi". Sia perché mi piace Civati, punto e basta e lo ritengo un soggetto autosufficiente che non ha bisogno di una qualche simbiosi per esistere; sia perché a me Renzi non piace per niente. L'ho già detto. E aggiungo adesso, che per me questa storia dei giovani, Prossima Italia - con o senza Fermata - e quella scelta di andare alla Leopolda da solo, parte male.

Civati ieri è corso ai ripari, dicendo "Io e Renzi non saremo i D'Alema e i Veltroni del futuro": per fortuna che l'ha detto, perché a me un po' quelli sembravano. A dire il vero è corso ai ripari anche il bon-matteo, inviando Richetti come messo per far le paci. Poi si è messo di mezzo Zingaretti e ha affondato duro sulla questione, ma questa è la solita roba da Pd, della quale non vale nemmeno la pena parlare. Quello di cui vorrei parlare, invece, sono de aspetti.

Il primo: Renzi faccia l'uomo del Pd. Ho letto su Twitter persone vicine a Renzi, dire che la differenza tra quello che è successo in questi due giorni e quello che succederà la prossima settimana alla Leopolda, sta nelle bandiere del Pd. A Firenze non ci saranno, si vantavano. E non va bene. Non va bene. Tu - Renzi - non sei il sindaco di una lista civica, tu non vali come un comune cittadino della società civile: tu sei del Pd.

E' per quel partito che stai lavorando e devi lavorare ed è di quel partito che - e personalmente l'idea non mi esalta - semmai sarai il futuro candidato Premier. In più, al di là della questione di metodo, ce n'è un'altra: io elettore - mettiamo che sia così - voglio che queste iniziative e questi cambiamenti che mi prometti, siano interni al partito. E mettiamo che sia un elettore scontento: tu sei l'alternativa che mi si offre davanti, e voglio che sia del mio partito.

Ben identificabile e ben definita all'interno di quello scatolone politico. Non voglio un movimento culturale, un'associazione o un circolo di amici: stiamo parlando del Partito. Se non è così, allora lasciami in pace, che come te ce ne sono tanti e non risolvono mai niente. Il Big Bang deve essere in questo Universo, non in un altro parallelo, sospeso, etereo.

Secondo aspetto: bisogna passare allo step quantitativo, inevitabilmente. Non c'entra Renzi. Civati e Serracchiani hanno tante idee, tanti buoni propositi, tutti in genere condivisibili. Ma riguardano troppo il Partito. Si parla del Pd, di come farlo funzionare, di dare regole precise e definite, trasparenti e serie. Bene. Io elettore, voglio un partito serio. Ci mancherebbe: sono fin troppo stufo delle birbonate dei volponi di turno - vedi idee in movimento, di emendare lo statuto.

Bene, ma. Ci vorrebbe qualcosa di più. Qualcosa di più del dire che la politica è bella, se viene fatta bene e noi dobbiamo tornare a far le cose buone. Qualcosa di più netto. C'è tanta qualità in quello che dicono, ma adesso serve la quantità. Quella quantità messa nei progetti di gestione del partito, adesso serve per il resto.

Servono pesi, numeri, nomi e cognomi delle cose da fare. Come farle, perché farle, dove farle, quando farle e poi chi le paga. Perché se no, questa di Bologna, quella de L'Aquila e quella di Firenze, rischiano di diventare le solite montagne di parole, buoni propositi, idee geniali, progetti eccezionali che hanno contraddistinto il Pd in questi 3 anni. Quando c'era il tempo, tra una corrente e un'altra, diciamo...

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