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Citriniti: “Continuerò finché la vita di Samer non sarà salva”

Abbiamo raggiunto telefonicamente Rosario Citriniti, il mediattivista del Centro di Documentazione ‘Invictapalestina’ di Pentone (Cz), da tre giorni in sciopero della fame in solidarietà coi detenuti palestinesi e con la drammatica protesta di Samer Issawi. Ecco il suo pensiero.

 

Signor Citriniti fatti non solo parole, ma questo gesto serve?

Quando si può fare poco e non si fa neppure quello… È un gesto, un tentativo di sensibilizzazione alternativo anche alle solite manifestazioni inascoltate da amministratori e politici totalmente prostrati ai poteri forti. Ho scelto un luogo sacro, sono davanti alla chiesa di Pentone, chi passa guarda, chiede, parla. E’ un’azione forse esasperata in un clima esasperato prodotto dalla mancanza d’ascolto per simili tematiche.

Ha scelto di proposito gli ultimi giorni di campagna elettorale in Italia?

I partiti sono proiettati sulla loro fiera delle vanità e delle promesse, tutti evitano di esporsi. Evitano responsabilità su ogni tema, figurarsi su una questione annosa come quella palestinese che crea divisione fra i potenziali elettori e finanche fra gli iscritti. I partiti girano alla larga dal prendere posizione su ogni cosa; princìpi come i diritti umani, il rispetto della vita – perché per un uomo come Issawi che può morire da un momento all’altro di questo si tratta - non li affrontano proprio.

Neppure a sinistra?

Qualcuno sensibile c’è. Il discorso delle visite ai campi profughi fu avviato anni fa da Stefano Chiarini (il compianto giornalista del Manifesto, ndr) che s’era candidato in un partito della sinistra. Chi sta nello stesso gruppo conserva quest’impegno. Ma piccoli partiti a parte, esistono solo strutture che organizzano delegazioni non dico inconcludenti però con obiettivi davvero minimi, minimi, minimi, perché alla fine non hanno nessun potere decisionale e nessuna ricchezza da distribuire per risolvere questioni pratiche.

Perché anche figure sociali antagoniste – precari, disoccupati, licenziati – insomma coloro che da noi tuttora lottano paiono poco sensibili a queste tematiche?

Le uniche prese di posizione concrete le ho trovate in alcuni centri sociali, chi è cosciente per una scelta militante ovviamente si mobilita. Oggi l’operaio e il disoccupato sono già afflitti da una quotidianità ossessionata dal carovita e da quella giungla che sono diventati i rapporti sociali e diventano poco propensi a guardare oltre.

La solidarietà internazionale politicizzata o generica sono scomparse?

Una personale accusa rivolta ai partiti riguarda la progressiva disincentivazione alla partecipazione. Stessa pratica diffusa dal sindacato che per più d’un ventennio ha attaccato la rappresentanza diretta. Queste tendenze hanno creato spettatori, più o meno plaudenti, non cittadini attivi e il panorama odierno non offre scenari migliori. Tutti noi torniamo a casa, accendiamo la tele, la sintonizziamo verso quell’informazione che crediamo più confacente al nostro pensiero o più alternativa e succhiamo. Si tratta in ogni caso di un’informazione che arriva dall’alto, senza confronti.

Sarà forse l’irrisolutezza della questione palestinese a produrre certe indifferenze?

Israele ha puntato a complicare la situazione, procrastinando nel tempo vicende che anziché risolversi s’ingarbugliavano. Se la questione fosse presentata come esplicito colonialismo o pulizia etnica d’un popolo la gente risponderebbe con maggiore risolutezza e speranza. Invece Israele ha abilmente diffuso l’idea d’una soluzione difficile, peraltro praticabile coi soli mezzi da lui usati: occupazione, guerra, morte, carcere. Gli argomenti per cui ora si sciopera.

Sono forse inefficaci i metodi di sostegno?

Qualsiasi metodo dà sempre un valore aggiunto alla lotta e alla solidarietà con la Palestina. Zero virgola zero zero uno sommato a qualsiasi quantità fa sempre quella quantità più zero virgola zero zero uno. Naturalmente serve anche fermarsi e vedere se gli sforzi sono commisurati ai risultati, ciascuna azione dovrebbe essere valutata per gli effetti positivi che produce. Credo che in questa fase per i palestinesi sia utile una rivendicazione basata sui diritti primari dell’uomo: diritto alla vita, all’istruzione, alla casa.

Oppure, terza ipotesi, la forza d’Israele sta nel sostegno incondizionato e trasversale che riceve da tutti ovunque nel mondo?

Molte volte mi sono chiesto cosa spinge Saviano a prendere le parti d’Israele; cosa spinge Erri De Luca a dire che negli anni passati in Israele i confini erano aperti. Sicuramente dietro questi discorsi ci sono opportunità di coloro che si pongono nell’area di pensiero filo israeliano. Lo Stato ebraico ha proposto campagne di reclutamento per artisti che possano trasformarsi in suoi propagandisti, negli anni passati al Salone del libro di Torino l’elenco degli intellettuali accreditati penso sia stato fatto dai ministeri degli Esteri e della Difesa non dei Beni Culturali. Personaggi noti servono da sostegno a precisi disegni geopolitici che richiamano, a mio avviso, razzismo, apartheid, colonialismo. Amos Oz scrive romanzi bellissimi ma scopriamo che appoggia la guerra in Libano. Se il “Muro di sicurezza” viene definito così da un israeliano o da un disinformato cittadino europeo forse lo si può accettare. Sentirlo definire così da un intellettuale che sa come su un confine di 350 km s’è costruita una barriera di 700 km tutta in territorio palestinese fa pensare alla malafede o a interessi precisi.

Quanto durerà l’azione che ha intrapreso?

Durerà i tempi che avranno Croce Rossa e Amnesty International a far valere le iniziative per salvare la vita a Samer Issawi.

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