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Citizen Journalism: quale modello di giornalismo al tempo del social web?

Giornalismo e Nuovi Media di Sergio Maistrello è un libro importante da leggere per due motivi: spiega bene come funziona il web, o meglio il social web (le due cose di fatto ormai coincidono):

fa un’ampia ricognizione, con l’America ovviamente sempre di sfondo, sui cambiamenti profondi che l’affermarsi delle Rete sociale impone a chi di professione fa il mestiere di informare.

Ma Maistrello allarga la prospettiva, suggerendo che, essendo il social web abitato da tutti noi cittadini della Rete, la faccenda non è di sola pertinenza dei giornalisti, o dei mass media, ma coinvolge tutti. Vediamo perché.

La Rete è oggi un sistema complesso, ma a differenza dei sistemi complessi, ha una forte autoregolamentazione interna. Ad esempio, all’inizio i giornali erano terrorizzati dal permettere i commenti agli articoli online, sottovalutando come la comunità sociale che abita e anima

la Rete abbia robusti anticorpi nello scacciare chi alle regole del buonsenso e della buona educazione non si attiene perché il valore della condivisione dello spazio socializzante è un bene ormai acquisito cui non si vuol più rinunciare. Inoltre come sottolinea Maistrello: il filtro esiste (..) ed è collettivo (…) sta poi alla comunità scremare ciò che è utile e ciò che è inopportuno”.

In questo senso è interessante il parallelo istituito tra il web aperto e i microfoni aperti di Radio Radicale primo esempio (ma forse cronologicamente arriva prima Radio Popolare di Milano con il microfono aperto) di una comunicazione senza filtro. Con una importante differenza però da marcare: il social web è a due vie, qualcuno scrive, qualcuno risponde, qualcun altro commenta, producendo dunque una gemmazione di contenuti a partire da uno originario. E questi contenuti, man mano, a raggiera si diffondono in rete attraverso tutti i nodi, cioè le persone che a loro volta li condividono, spesso allontanandosi di molto dal punto d’origine. Le scelte di ognuno di noi: “sono pubblicamente rilanciate attraverso i punti di presenza in Rete (..) e influenzano quelle del proprio gruppo sociale e, tramite questo, quelle dell’intera comunità.” Un efficace meccanismo di condivisione delle informazioni che fa circolare o morire un contenuto, basandosi sulla rilevanza che il contenuto ha per le persone. Quello che Maistrello chiama: “il filtro e la selezione a posteriori che la Rete attiva”. 

Bellissima la definizione coniata per il nuovo modello di giornale aperto che da questo modello deriva: “una sorta di database organizzato della contemporaneità”.

Il modello che abbiamo conosciuto fin ora, cioè quello dei mass media in mano a poche elités che concentrano il flusso e la direzione dell’informazione, non sembra avere una lunga strada davanti. In questo nuovo contesto in cui sono gli abitanti della Rete a scegliere, in modo orizzontale, privo di gerarchia, cosa è interessante e cosa no: “la conoscenza, quella che raccoglie sufficiente interesse condiviso, circola con una velocità sorprendente”.

Questo epocale passaggio offre un’opportunità: l’aprirsi di una nuova professionalità nel mondo del giornalismo tradizionale, basata più sull’ascolto e condivisione di cosa accade in rete che sul rimpasto e veicolazione di notizie d’agenzia, ma apre anche il problema del modello di business dei giornali in rete.

Se il singolo sito della singola testata non è più il padrone di casa, ma solo uno dei milioni di nodi della Rete e sono i singoli contenuti che vengono disseminati in Rete a cercarsi la loro audience, come guadagnano i giornali che oggi vivono del traffico degli utenti da rivendere agli inserzionisti?

Quale modello di business quando: “da un’organizzazione dei contenuti gerarchica e per argomento si passa a un’organizzazione reticolare e per individuo” La domanda, non solo non ha risposta, ma se ne porta dietro un’altra a complicare lo scenario: quali sono le metriche del social web, visto che oggi un contenuto può essere esportato, separato dalla sua piattaforma d’origine, riformulato. Ha ancora senso valutare quante persone guardano una singola pagina online? No non lo ha già più, ma nessuno sa ancora quali sono le metriche sociali su cui un nuovo modello di business possa nascere. Quello che è invece già nato, anche se sotto deboli riflettori ed osteggiato in gran parte dai gruppi editoriali è un nuovo modo di costruire e raccontare le notizie.

Molto interessante, del libro di Maistrello, è tutta la ricognizione delle esperienze americane e di come dalla crisi e dai licenziamenti del redattore che sta al desk sia nata una generazione di giornalisti-imprenditori. Ma soprattutto giornalisti che sanno usare oltre al computer, anche la macchina fotografica la videocamera che sono cioè diventati degli autori multimediali, capaci di raccontare le diverse dimensioni di un fatto e di condividerlo nei social network.

Non a caso al New York Times, da tempo è presente la figura del social editor, cioè un professionista che fa da ponte tra il giornalista tradizionale e la voce dei social network dove tutti noi stiamo e scriviamo, commentiamo, riprendiamo, valutiamo. O sempre al Times, scrive Maistrello, hanno capito che il giornale online deve “diventare un luogo d’acceso preferenziale del lettore verso tutta l’informazione disponibile in Rete”.

Cosa comporta tutto questo? Difficile dare risposte e correttamente Maistrello dà solo spunti, indica strade, ma non teorizza, fa un affresco dove le domande si moltiplicano, con una certezza di fondo: il prodotto giornale e il suo contenuto-notizia così come l’abbiamo conosciuto sta sopravvivendo, al suo posto c’è un processo dove gli attori sono tanti, e dove l’unica certezza è che la produzione di notizie non è più affare di alcuni con un tesserino d’ordinanza in tasca.

La socializzazione, la condivisione delle notizie ha innescato un processo di non ritorno: “è l’idea stessa di cittadinanza che evolve verso una dimensione più ricca e completa.”

Processo che, se mette paura perché sta distruggendo un modello di business consolidato, apre spazi democratici non immaginabili, permettendo “di accedere senza mediazioni a uno spazio collettivo di espressione e condivisione”.

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