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Cina, tutti zitti alla vigilia del congresso del Partito comunista

Tra due giorni si apre a Pechino il 18° congresso del Partito comunista cinese e, come accade nelle occasioni importanti, le voci critiche e gli attivisti per i diritti umani vengono ridotti al silenzio.

Da settembre, oltre 130 persone sono state imprigionate, messe agli arresti domiciliari, espulse dalla capitale o sottoposte ad altri provvedimenti restrittivi, come la detenzione in centri informali e non registrati come penitenziari: alberghi, ostelli, scantinati, fattorie.

Gli attivisti cinesi le chiamano le “prigioni nere” e denunciano che il loro uso è sempre più ricorrente, specialmente nei confronti delle persone che arrivano a Pechino per presentare reclami e petizioni alle autorità: vengono tenute in stato di fermo per un breve periodo, avvisate di non riprovarci ulteriormente e poi espulse.

Da domani si prevedono, inoltre, forti limitazioni all’accesso a Internet. Nei giorni scorsi, il ministro della Tecnologia dell’informazione ha annunciato che sarà necessario “sigillare la rete” durante il congresso, così come era successo in occasione delle Olimpiadi del 2008 o del conferimento del Nobel per la pace 2010 a Liu Xiaobo, tuttora in carcere.

Una decina di giorni fa, gli utenti della rete hanno avuto difficoltà ad accedere a un controverso articolo del New York Times sugli interessi finanziari della famiglia del premier uscente Wen Jiabao.

Altri controlli sono stati imposti ai trasporti pubblici, specialmente sulle tratte che portano a Pechino o sulle linee del Tibet e del Xinjiang, dove si attendono forti proteste. I passeggeri che acquistano un biglietto devono lasciare i loro dati personali.

Organismi che svolgono campagne in favore dei diritti umani sono stati costretti a chiudere i loro uffici a causa delle minacce della polizia. È il caso dell’Istituto Aizhixing per l’educazione alla salute, che offre assistenza e consulenza ai lavoratori migranti e ai membri delle minoranze etniche.

Alla vigilia del congresso, Amnesty International ha diffuso un elenco delle principali violazioni dei diritti umani in corso in Cina. Degli sgomberi forzati abbiamo già parlato in questo blog.

Quanto al resto, nel documento di Amnesty International si legge, tra l’altro, che non si ha più notizia di una quarantina di vescovi cattolici dissidenti, che centinaia di migliaia di persone si trovano negli istituti per la “rieducazione attraverso il lavoro”, che portali di giornalismo investigativo sono stati chiusi e che gli avvocati ancora disponibili a patrocinare cause relative ai diritti umani rischiano di perdere la licenza.

Il 18° congresso del Partito comunista segnerà l’ascesa al potere di una nuova classe dirigente cinese. Gli attivisti per i diritti umani sperano che questo sia anche l’inizio di un nuovo approccio in materia di libertà d’espressione e di altri diritti umani fondamentali.

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