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Cina: dai “virus bond” all’epidemia di sofferenze bancarie

In Cina, su impulso della banca centrale, i tassi sui finanziamenti continuano a scendere, nel tentativo di puntellare l’economia in attesa che l’incubo coronavirus giunga alla sua fisiologica esaustione. 

Ma il sostegno monetario alle aziende cinesi si attua anche attraverso una gigantesca rinegoziazione dei debiti, che se è fisiologica quando i tassi scendono, rischia comunque di produrre nuove montagne di sofferenze bancarie che il sistema, cioè lo stato, dovrà ripulire.

Secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s, lo shock prodotto dall’epidemia potrebbe tagliare la crescita cinese dal 6,1% attuale al 4,4%, sempre ipotizzando che i numeri di partenza siano genuini, e di conseguenza produrre un aumento di Non performing loans per ben 7.700 miliardi di yuan, al totale di 10.100 miliardi. Anche nelle ipotesi meno negative di aumento dei crediti deteriorati, il loro stock giungerebbe al 6% degli impieghi totali, triplicando l’attuale 2%.

Nel frattempo, sempre su impulso delle autorità, molte aziende hanno iniziato ad emettere i cosiddetti “virus control bond, obbligazioni a tasso molto basso dove il debitore si impegna a destinare almeno un decimo della somma raccolta a “misure per combattere l’epidemia”. E quali? Secondo il Financial Times, un produttore di vetro ha emesso un’obbligazione triennale con cedola di solo il 3,19% contro il tasso ufficiale di prestiti ad un anno oggi al 4,05%, dichiarando di voler destinare un decimo del ricavato alla produzione di parabrezza per ambulanze. Anche questa, a modo suo, è una iniziativa a contrasto del virus, nel senso che è a supporto delle strutture sanitarie, in senso molto lato. Ci vuole sempre una certa dose di fantasia, quando si affrontano grandi emergenze finanziarie oltre che sanitarie.

Un altro debitore, Shenzhen Airlines, che opera in un settore ovviamente massacrato dall’epidemia, ha emesso un bond con cedola del 2% per 600 milioni di yuan e ha deciso di destinare un decimo del raccolto a rimborso di biglietti e traporto di “materiali di controllo della malattia”. Questo bond va a rinegoziare un’obbligazione precedentemente emessa con cedola del 3,1%.

È quindi in atto, come si vede, un gigantesco processo di rinegoziazione e consolidamento dello stock di debito, che viene reso più conveniente, mentre i prestatori patriottici sopprimono il rischio di credito. Ma le cose non sono così semplici né indolori, per il sistema. In primo luogo, come detto, l’indebitamento tende ad aumentare per mantenere in linea di galleggiamento le imprese che hanno subito un crollo dei ricavi, in un paese che vive in un vero e proprio stato di animazione sospesa:

 

Cina, un paese in animazione sospesa:

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Quanto potrà durare, se la situazione non tornerà in tempi ragionevoli alla normalità? L’esito più probabile è che si verificheranno dissesti e default, e molti di quei debiti non saranno ripagati.

Poi c’è l’altro aspetto della vicenda: chi sottoscrive i “virus bond”? Domanda oziosa: le banche ed i broker pubblici, impegnati a perseguire “un bene superiore”, come da dichiarazione dei loro dirigenti. Al costo di minore redditività (e sin qui, nulla quaestio) ma soprattutto del forte aumento delle sofferenze attese, che poi “qualcuno” dovrà ripulire.

Abbiamo già visto dinamiche del genere, in precedenti fasi della crescita cinese: banche che acquistano aziende industriali trasformando in azioni i crediti deteriorati, e creazione di bad bank “di sistema” (il sogno bagnato degli italiani) per ripulire il sistema delle sofferenze ponendole a carico dei conti pubblici, in qualche remoto angolo del bilancio dello stato, sotto un gigantesco tappeto di colore rigorosamente rosso.

Per il momento, le autorità monetarie di vigilanza hanno deciso di allentare i criteri di riconoscimento a bilancio dei crediti deteriorati, per frenarne l’ascesa. Come ben sappiamo noi italiani, le statistiche possono essere deprimenti: meglio massaggiarle per non danneggiare il morale.

Il rischio è che i “virus bond” servano soprattutto a diffondere contagio finanziario. Ma le alternative non sembrano migliori, al momento.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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