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Cina, condannato a morte assolto dopo sei anni

 

Dalla Cina, dopo che un mese e mezzo fa un tribunale aveva annullato la condanna a morte inflitta a Li Yan, la donna che aveva ucciso il marito dopo anni di violenze (ne avevamo parlato qui), arriva una seconda rara e bella notizia che merita di essere raccontata ai lettori e alle lettrici. 

Nel paese delle migliaia di esecuzioni all’anno, è accaduto due giorni fa che una condanna a morte sia stata annullata e il condannato rimesso in libertà. Dopo sei anni dal processo di primo grado e al termine del suo terzo appello contro la sentenza, Nian Bin è stato assolto per insufficienza di prove dall’accusa di “aver diffuso sostanze pericolose”. 

Nian Bin, ex titolare di un chiosco di alimentari, era stato condannato a morte nel febbraio 2008 da un tribunale di primo grado del Fujan che lo aveva giudicato colpevole di aver ucciso due bambini e ferito altre quattro persone facendo loro ingerire un topicida. In ognuno dei tre appelli, l’uomo aveva denunciato di essere stato costretto a confessare con la tortura. In suo favore era intervenuta, nel 2010, anche la Corte suprema del popolo ma ciò nonostante l’alta corte del Fujan aveva reimposto la condanna originaria.

L’annullamento della condanna e la scarcerazione di Nian Bin costituiscono un lampante esempio delle ragioni per cui la pena di morte dovrebbe essere abolita, in Cina e nelle poche altre decine di paesi che – a fronte dei 140 abolizionisti – ancora la mantengono. Il rischio di mettere a morte innocenti, condannati a seguito di prove o confessioni estorte con la tortura, è sempre dietro l’angolo.

 

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