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Ci spingono verso un baratro in cui rischiano di cadere anche loro

Essere attenti al mondo del lavoro, per chi di lavoro vive, è naturale, o forse più che naturale: necessario.
La sensazione condivisa da molte persone che vivono immersi nel circuito produttivo del paese da ormai quasi un ventennio è che negli ultimi anni le condizioni lavorative e quelle di vita sono peggiorate di anno in anno, in maniera esponenziale.
La discesa in campo di Silvio Berlusconi ha segnato un momento cruciale – nel bene e nel male – per la vita del nostro paese. 

Equilibrare le forze tra blocchi sociali contrapposti (imprenditori e lavoratori) che fino alla fine degli anni settanta erano sbilanciate nei confronti degli ultimi, era per alcuni condivisibile. Bisognava ridurre l’eccesso di potere che aveva assunto la classe operaia che in quanto corporazione, anche se così estesa, tendeva a proteggere eccessivamente i suoi membri, a scapito della libera impresa e quindi della possibilità di far progredire il “sistema paese”.

Scegliere di lavorare su questo fronte significava in qualche modo alimentare le tensioni sociali ed inasprire la conflittualità. Era il prezzo da pagare.

La politica doveva guidare questo processo nel quale, però, il nostro Premier è stato fin troppo bravo. In oltre un decennio può "vantare" di aver alimentato divisioni nel paese fino all'esasperazione. Quasi fino ad un punto di rottura.

Coerentemente con la "guida" politica dei processi del "sistema paese" le tensioni sociali si sono propagate a tutti i settori della vita del paese; quello produttivo in primis.

E’ notizia di qualche settimana fa che Confindustria ha deciso, accodandosi al “padrone” Marchionne, di disdettare il contratto nazionale, nell’intento di far valere le tratattive private tra azienda e lavoratori, facendo pesare gli strumenti messi nelle mani dell’impresa dalla legge 30, conosciuta come legge Biagi, e dallo squilibrio naturale di “chi ha i soldi” e di “chi i soldi li deve ricevere da chi li ha, per poter sopravvivere”.

E’ solo uno dei tanti passi di un percorso che chi guida i processi politici e produttivi del paese ha tracciato forse qualche decennio fa. Un percorso che ha visto in una prima fase il progressivo annientamento delle strutture sindacali, permeabili alla corruzione ed alla collusione con “il padrone”, dal quale si “abbeverano”.

I diritti acquisiti dai lavoratori, lo status sociale raggiunto in anni di lavoro e di sacrifici, sono stati erosi nel corso degli ultimi anni in maniera ormai evidente a chiunque abbia vissuto questo percorso sulla propria pelle. 



Lo slancio definitivo a questa azione di polverizzazione dei diritti dei lavoratori ha trovato in Marchionne il condottiero ideale. Deciso e alla guida della principale azienda del paese. La Fiat è divenuta così il laboratorio nel quale sperimentare le strategie di distruzione dei diritti acquisiti, da replicare poi nelle altre aziende.

Il potere economico della Fiat; la possibilità di tenere lavoratori in una sorta di limbo malgrado un Tribunale li abbia reintegrati nel proprio posto di lavoro senza doversi preoccupare dei risvolti economici che la cosa potrebbe avere; la coscienza del fatto che Fiat non potrà essere fatta capitolare perchè con essa capitolerebbe mezzo paese; lo squilibrio tra azienda e lavoratori e, non ultimo, il sistema di relazioni con la politica nazionale e sovranazionale, hanno creato i presupposti per tendere ulteriormente la corda.

Qualunque sarà la reazione dei lavoratori a questa ulteriore aggressione, ormai rappresentati solo dalla una parte minoritaria della CGIL, i vantaggi economici che ne deriverano per le aziende saranno tali da giustificare gli eventuali quanto improbabili primi mesi di sacrifici.

La sensazione è che i lavoratori si siano addormentati accanto al piatto dal quale mangiano e, come un cane sornione, si lascino togliere il cibo dal piatto senza accennare reazione.

Il timore è che però il piatto stia per restare vuoto ed il cane si possa svegliare per difendere quall’ultimo boccone, indispensabile per la sua sopravvivenza e per quella dei suoi cuccioli.

Non saranno forse i sindacati a guidare la reazione, troppo presi dai loro privilegi e dalle loro lotte di potere, fatte stando a braccetto con i potenti. La speranza è che i lavoratori si sveglino dal torpore in cui sono caduti e mostrino che quel cane a cui tolgono il cibo nel piatto è ancora capace di reagire, e che non è certo un chihuahua. 


Pietro Ricciardi

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