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Chiesa cattolica, aborto e unioni gay. Nessuna contraddizione, nessun contraddittorio

Si fa quasi fatica a star dietro a tutte le recenti esternazioni di illustri e illustrissimi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, per quanto queste vengano prontamente e intensamente rimbalzate da pressoché tutti i mezzi di informazione.

bergoglio-bagnasco

di Adele Orioli

Già da questo blog si era accennato a Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, che nell’inaugurare ad Assisi i lavori della Cei dedicati alla formazione dei sacerdoti, ha comunque graziosamente avuto modo di definire il riconoscimento delle unioni omosessuali come “irresponsabile” perché rappresenterebbe “una specie di cavallo di Troia di classica memoria” nei confronti della famiglia cattolicamente intesa. Riconoscimento che, con un appena accennato riferimento diretto alle civil partnerships di renziana e berlusconiana promessa, passerebbe attraverso “distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente”.

A parte che si vorrebbe proprio eliminarli, i distinguo pretestuosi, attraverso la paritetica regolamentazione di un’affettività preesistente, e che la “gente” (come se esistesse un soggetto monolitico globalmente intendibile come tale) non sceglie la propria sessualità in base a leggi e decreti, si vede riproposta la consueta — fallace — logica argomentativa: quello che non è ammesso dalla Chiesa è pericoloso, infido. E l’omosessualità e di conseguenza le unioni gay, non solo non sono ammesse, piaccia o non piaccia e nonostante l’equivocità di certe supposte aperture recenti (marketing, più che dottrina), ma vanno apertamente ostacolate e combattute, perché passibili di minare “dall’interno” persino la possibilità di esistenza di altre forme di unione. Dopo la guerra di Troia, il ratto delle Sabine versione omosex.

Parole, quelle di Bagnasco, confermate da fatti che sembrerebbero l’incipit di una barzelletta squallida: il censimento delle scuole “pro omosessuali” (sic) richiesto dalla Curia di Milano a oltre seimila insegnanti di religione con una lettera — e relativa tabella di catalogazione — che merita davvero la lettura integrale. Va detto che dopo lo scandalo (e qualche scontro di piazza), l’arcivescovo Scola si è in effetti affrettato a dichiarare come “la nostra posizione non implica omofobia” concedendo una certa “inappropriatezza del linguaggio” da parte della Curia nonostante la volontà di un “dialogo franco e aperto”.

Il che però, a ben guardare, non implica minimamente la condanna del tentato censimento né alcuna modifica, formale o sostanziale, rispetto al contenuto dello stesso. Che, per citarne un brano, aveva lo scopo di contrastare (con ogni mezzo?) “un’idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale”. In breve, l’autodeterminazione. Non si capisce dove possa esservi un dialogo franco se gli alunni italiani vengono considerati vittime di “una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale”, non si capisce come la lotta al diritto di scegliere la propria sessualità non possa non definirsi omofoba. Ma forse è il gioco dei sinonimi.

Si dirà però che queste sono le vecchie gerarchie, i paludati parrucconi che poco si intonano col sorrisone e l’innata gioiosa simpatia di Bergoglio, così contemporaneo e vicino alla “gente” (di cui sopra). Dimenticandosi di come, non a caso, Francesco sempre papa — gesuita — è, perfettamente incanalato nella dottrina neanche troppo post quanto per certi versi persino pre conciliare portata avanti e sostenuta fermamente dai suoi predecessori, quello “antipatico” in testa. E infatti spunta fuori una lettera, scritta nel 2010 quando era arcivescovo di Buenos Aires subito prima della discussione della legge che avrebbe autorizzato il matrimonio e l’adozione per le coppie omosessuali, nella quale evidenzia tutta la sua contrarietà al progetto. Perché, afferma con decisione, ”sosteniamo chiaramente che non si può considerare uguale quello che è diverso” e che questa non sia “una questione di semplice terminologia o di convenzioni formali relative a una relazione privata, ma di un vincolo di natura antropologica”. E pertanto l’approvazione della legge non sarebbe altro che “un reale e grave regresso antropologico”. Per esser quello del “chi sono io per giudicare” non ci va leggerino. E continua: “No, il matrimonio di un uomo e di una donna non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non è discriminare, al contrario è rispettare.” Ah si? Un po’ come la non-omofobia di Scola, insomma.

Molto più di recente, in ogni caso, la supposta ventata di modernità dell’etica bergogliana ha avuto ancora modo di dimostrarsi meno di un refolo. Ricevuti in Vaticano i medici cattolici, Francesco parlando a braccio ha infatti approfittato per negare legittimità a aborto, eutanasia e fecondazione eterologa in un colpo solo. Invitando pertanto esplicitamente all’obiezione di coscienza (si suppone anche quando non prevista per legge, visto che la definisce scelta coraggiosa e controcorrente).

Nel caso qualcuno a Montecitorio non avesse ancora ben capito. Questo perché “Non si gioca con la vita umana. Questo è un peccato contro il Dio creatore.” E, come a prevenire la domanda: “Spesso si dice che la posizione della Chiesa valeva nel pensiero antico ma sia ieri come oggi la parola uccidere significa lo stesso”. Quando si dice il solco della tradizione.

Nessuna contraddizione, quindi, nessuna divagazione, estemporanea o meno, dall’incrollabile solidità, peraltro propria delle religioni rivelate, di dogmi, etiche e dottrine della chiesa “di sempre”; nessuna “apertura” o men che mai accettazione di posizioni differenti. Il che è peraltro più che legittimo, ci mancherebbe: liberissime le gerarchie cattoliche di rimanere uguali a loro stesse, liberissime di propagandare visioni vessatorie della libertà altrui.

Quello che non è legittimo neanche un po’, invece, è che queste visioni si sostanzino concretamente, grazie all’appoggio consistente e perdurante su più fronti della nostra classe politica, nell’arretratezza totale del nostro paese in tema di diritti civili, si sostanzino quindi nella compressione forzosa della vita di migliaia di individui. Ma questo è discorso che non è altrettanto facile trovare nei media rispetto ai commenti sulla predica (in senso stretto) del giorno .

Quello che è però il brocardo più gettonato di Bergoglio in questi giorni, d’impatto ma poco consistente dal punto di vista teoretico, riguarda i “preti affaristi”: mai più sacramenti a pagamento, è indegna l’esistenza di tariffari appositi. Esistenza confermata da più parti (e parrocchie) ma smentita da Bagnasco, facendo leva sulla differenza fra libera contribuzione e corrispettivo vero e proprio (buon suggerimento anche per generici evasori fiscali).

Speriamo che l’autorità e la stima di cui gode questo papa si facciano sentire anche nel porre freno al mercimonio delle celebrazioni: mai più cento euro per una cresima. Nel frattempo, quasi sette miliardi di euro all’anno dallo Stato italiano vanno ancora benissimo.

 

Adele Orioli, responsabile iniziative legali Uaar

Questo articolo è stato pubblicato qui

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