Chi se ne va che male fa: il "danno endofamiliare"

“Chi se ne va che male fa… ” cantava Caterina Caselli nel lontano 1968...
Ed oggi, come allora, il dolore per l’amor perduto fa ancora soffrire, e tanto, specie se il nostro amore se ne va in modo particolarmente crudele. Da allora però, qualcosa è cambiato.
Adesso, dopo le lacrime, è possibile chiedere il risarcimento del danno proprio a colui o a colei che, ingannandoci, tradendoci ed umiliandoci, ci ha provocato tanta sofferenza. E’ ciò che nella giurisprudenza viene definito: “danno endofamiliare”, ossia quel particolare danno che un componente della famiglia provoca nei confronti di un altro componente familiare e che determina il ristoro dei danni subiti. Chiaro, non si può banalizzare qualsiasi comportamento ingiustamente subito ed attenderci un risarcimento. Si deve pur sempre trattare di una condotta segnata da una certa gravità e che abbia violato uno o più diritti costituzionalmente garantiti.
Vediamone alcuni esempi: la Corte di Cassazione, in una pronuncia datata 2005, ha riconosciuto il risarcimento del danno alla moglie che agiva nei confronti del coniuge per inconsumazione delle nozze. Ad onor del vero, il marito aveva volontariamente taciuto alla moglie- durante il fidanzamento- la propria impotenza, ed aveva rifiutato, dopo il matrimonio, di sottoporsi alle opportune cure. In tale discutibile condotta la Suprema Corte ha individuato non solo la violazione dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio, ma anche la lesione, nei confronti della donna, di quei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 Costituzione. Sulla base di questa interpretazione fornita dai Giudici della Cassazione, l’aver sottaciuto al partner, prima del matrimonio, la propria “impotentia coeundi” costituisce un fatto illecito, astrattamente fonte di danno tanto patrimoniale quanto non patrimoniale, a condizione che possa ritenersi che l’altro coniuge avrebbe evitato il matrimonio qualora avesse conosciuto la realtà.
Vediamo un altro caso: un uomo, felicemente sposato, dichiara alla moglie la propria contrarietà ad avere figli. Passano gli anni, e l’uomo intraprende una relazione extraconiugale clandestina dalla quale nascerà un figlio. La moglie, tradita e umiliata, agisce in giudizio per ottenere la separazione e successivamente chiede il risarcimento del danno. Richiesta che viene accolta positivamente dalla Corte di Cassazione che individua, nella condotta dell’uomo, la violazione dei diritti fondamentali della consorte. Ciò che è interessante notare, nel caso in esame, è che la Corte non “punisce” il semplice tradimento, ma va oltre, individuando, nella spregiudicata condotta dell’uomo, la lesione del diritto, costituzionalmente garantito, della ex moglie ad affermarsi come donna e come madre.
Fin qui, il risarcimento del danno spettante al coniuge.
Ma come sopra detto, il danno endofamiliare si allarga e arriva a tutelare tutti i componenti della famiglia che hanno subito un danno da parte di un consanguineo. Un tipico esempio è il padre (o la madre) del bambino che, disinteressandosi alla sua crescita e alle sue esigenze, fa mancare al figlio quella protezione morale e materiale che la figura paterna (o materna) dovrebbe garantire, violando gli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole. Si tratta, dunque, di un fatto illecito che determina una giusta azione per il riconoscimento dei danni subiti.
È vero quindi, chi se ne va ( e chi non vuole esserci) fa male, tanto male, ma oggi, diversamente dal passato, abbiamo gli strumenti giuridici per “fargliela pagare”!
Avv. Fabiola Grosso
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