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Cellulare mon amour. Telefonino mentre si guida: sanzioni e sentenze

Il cellulare continua a colpire gli automobilisti che non ne sanno fare a meno e che non sanno resistere alla curiosità di sapere chi c’è dietro quello squillo che ormai ci raggiunge dappertutto con le sue infinite sfumature sonore. Che dire poi di quegli impulsi irrefrenabili per una telefonata urgente che più urgente non si può? Possiamo mai ricordarci in uno stato di simile freneticità che l’art.173 del codice della strada vieta l’uso durante la marcia di “apparecchi radiotelefonici o cuffie sonore” (leggasi cellulari e Ipod) ? Di certo no e forse dovremmo mettere sul cruscotto, al posto del vecchio “Pensa a me”, un post-it con la scritta
 
 "uso del cellulare= sanzione da euro 148 ad euro 594
 sospensione della patente di guida
 da uno a tre mesi se recidivi nel biennio”
 
Lo facciamo tutti, il gomito appoggiato al finestrino come in posizione di riposo, la mano che sorregge disinvoltamente la testa, il mini cellulare ben nascosto nel palmo e il movimento lento delle labbra con gli occhi che scrutano come un radar per scorgere nelle vicinanze il “nemico” nascosto sotto una divisa.
 
A volte purtroppo capita di trovarne qualcuno, come accaduto ad una signora che si è vista arrivare a casa la multa per violazione del famoso art.173 comma 2 del codice della strada, in quanto telefonava senza auricolare o vivavoce.
 
Ma come ha fatto a vedermi, si è chiesto la signora, ma poi se mi ha visto perché non mi ha fermato? Ma allora se non mi ha fermato significa che era lontano e se era lontano non poteva vedere che stavo telefonando. Di certo la sua non è stata una visione diretta ed immediata, ma ha “percepito” che io stessi telefonando. Ed allora via con un ricorso al Giudice di Pace che però non ha accolto la richiesta e ha rigettato l’opposizione, dando credito al vigile e facendo sinteticamente riferimento alla necessità di impugnare con querela di falso l’accertamento contenuto nel verbale. Il Giudice di Pace praticamente ha detto: devo credere a quello che ha scritto il vigile e quindi ti respingo il ricorso. Se tu pensi che non è vero quello che è scritto nel verbale, presenta querela di falso contro il vigile.
 
La signora non si è persa d’animo ed è andata avanti fino alla Cassazione. E’ una questione di principio, ha pensato.
 
Il ricorso è stato fondato su due motivi. Per prima ha contestato che il giudice di pace ha attribuito fede privilegiata alla dichiarazione del vigile in quanto pubblico ufficiale, facente piena prova fino a querela di falso. Col secondo ha lamentato la violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 codice civile “l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso…delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. Secondo la signora questa disposizione non si può estendere al vigile che le ha elevato il verbale, perché quanto da lui dichiarato era frutto “di apprezzamenti personali, direttamente collegati alla percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo”. Tanto ciò è vero che il vigile non aveva proceduto alla immediata contestazione, proprio perché vi era notevole distanza tra il suo punto di osservazione e il posto dove la signora transitava, distanza che ha indotto evidentemente il vigile in un errore di percezione.
 
Tradotto, la signora ha detto: il vigile da lontano non ha potuto vedermi, ha immaginato o ha avuto la sensazione che io stessi telefonando, ma i fatti, data la distanza e la velocità con cui si sono svolti, sono stati più intuiti che visti oggettivamente, tanto che il vigile non mi ha neppure fermato.
 
Naturalmente il Comune ha presentato una memoria difensiva e la Procura Generale ha inviato una requisitoria scritta.
 
La Corte ha valutato le contrapposte posizioni, osservando che davanti al Giudice di Pace era stata fatta dalla ricorrente soltanto una ricostruzione diversa da quella descritta nel verbale, senza offrire alcuna prova di quanto affermato.
 
Secondo la Corte la signora non avrebbe dovuto limitarsi a dire che vi era stato un errore di percezione da parte dell’agente data la distanza, ma “avrebbe dovuto provare la posizione effettiva dell’agente rispetto a quella del veicolo, così da poter in concreto valutare se a tale distanza si potesse incorrere in errore”.
 
A nulla rileva poi che non vi fosse stata la immediata contestazione perché il codice della strada permette che l’accertamento, per svariati motivi, può essere fatto anche a distanza.
 
Il verbale, fino a prova contraria (prova non richiesta né fornita dalla signora), attestava che l’agente aveva accertato l’uso irregolare del telefono cellulare da una posizione che non consentiva anche l’immediata contestazione.
 
Conclusione: la Corte (sentenza 13118/2009) ha respinto il ricorso, facendo però risparmiare alla signora almeno le spese processuali.
 
La sentenza farà testo? Forse si, ma di certo non per quei milioni di italiani perennemente incollati all’inseparabile ed amato drin-drin.
 
 
 

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