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Cause Umanitarie

Ogni personaggio dello spettacolo ha una causa da difendere, come l’Occidente ha i suoi governi amici e raramente le due posizioni coincidono.

Attori e personaggi pubblici si adoperano per il Darfur o la Cecenia, per il Tibet o Haiti, ma sporadicamente viene data voce alle sofferenze dell’Eritrea, schiacciata da un governo liberticida, e alla presidenza del keniota Mwai Kibaki che non brilla di egualitarismo.
 
Del Rwanda, pronto a scoppiare nuovamente con un presidente autoritario di Kagame, l’Occidente esalta l’impegno nella selvaggia modernizzazione, ma si cerca di ignorare l’attività repressiva nei confronti dell’informazione critica e dell’opposizione. Per sviluppare nuovi mercati l’Occidente può chiudere gli occhi sulla disinvolta gestione del potere, soprattutto se il Fondo Monetario Internazionale rassicura gli investitori del bilancio del paese.
 
Nell’Africa di Kagame prende forma il neocolonialismo con tassi di corruzione più bassi del continente, mentre nello Zimbabwe, ex Rodesia, di Robert Mugabe è da anni in atto una deanglocizzazione forzata, rendendo sempre più difficile la presenza occidentale, necessitando un aiuto, come le comunità cristiane che vivono gomito a gomito con quelle musulmane, ma non è raro che siano i musulmani ad avere bisogno di protezione da altri musulmani e da cristiani prepotenti.
 
Cosa scrivere sul Pakistan lacerato da attentati interreligiosi, come retrovia dell’Afganistan, oltre alla rovinosa alluvione e alla quale non si è dedicato una efficace campagna di raccolta donazioni, certamente non è perché un paese islamico, anche la Cecenia è musulmana. Forse gli appelli ad aiutare un popolo in difficoltà, tranne un timido appello di Agire (Agenzia Italiana Risposta Emergenze), sono stati elusi per l’ambiguità politica e militare di certe strutture governative pakistane verso l’Occidente e i Taleban. Ma sarebbe una motivazione troppo sottile per non offrire ai popoli più fortunati l’occasione di dare un aiuto ad una popolazione che ha perso tutto tra le acque di un’inondazione.
 
La difesa del popolo Nukak non esclude un aiuto ai milioni di pakistani che hanno perso tutto nei nubifragi.
 
Cosa rende l’Eritrea meno visibile della Somalia nell’ambito dei Diritti umani o il Pakistan indegno per una campagna sull’emergenza umanitari rispetto all’Indonesia colpita da terremoti, tsunami e eruzioni vulcaniche? Da oltre un mese un centinaio profughi non solo eritrei, forse di più, sono ostaggio dei predoni nel deserto tra Egitto e Israele, nel Sinai, e per la loro liberazione chiedono un riscatto di 8mila dollari a testa.
 
Vivono con la minaccia di essere assassinati e rappresentano una dei tanti frammenti di umanità in balia dei più violenti, abbandonata al loro destino e tra le persone note solo, fino ad ora, Benedetto XVI ha dedicato pubblicamente un pensiero e il quotidiano Avvenire è l’unico organo d’informazione che sta seguendo con continuità il dramma.
 
L’Onu e i governi dell’Occidente lavorano silenziosamente dietro le quinte della diplomazia, nessuna dichiarazione ufficiale efficace, forse riflettendo sul cosa dire e magari sul cosa fare per chiedere all’Egitto d’intervenire, d'altronde il Governo italiano ha scelto una posizione timida nel chiedere il rispetto dei Diritti Umani di donne, uomini e bambini internati in Libia, perché non possano turbare la nostra quotidianità, o magari rendere meno “disumano” il trattamento.
 
Difficilmente le singole persone possono fermare un conflitto, ma in questo caso si può collaborare nel salvare delle vite, una ad una, con 8mila dollari, meno in Euro, riscattandole.
 
Tra le tante organizzazioni e associazioni impegnate nell’ambito dei Diritti Umani ci sarà chi vanta dei contatti in quella zona del Mondo, oltre alla Habeshia che cerca di tenere i contatti con i rapiti, per poter tessere una trattativa e aprire una colletta, recuperando 800mila / 2milone di dollari. Forese le Ong sono impegnate a leccarsi le ferite del taglio governativo del 75% dei fondi messi a disposizione del 5 X mille, vanificando le scelte dei cittadini nel decidere a chi destinare la propria quota dell'imposta sui redditi, per sostenere l’impegno nel sociale di organizzazioni e associazioni.
 
Un’altra dimostrazione di civiltà del Governo italiano verso quella parte di società in difficoltà, in Italia e nel resto del Mondo.

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