Cassazione chiama Sacra Rota: il matrimonio concordatario diventa nullo per gli atei

Per la Cassazione l’ateismo è una valida ragione per considerare nullo sin dall’origine un matrimonio concordatario. Una sentenza che fa discutere e che rende ancora una volta evidente come l’eredità dei Patti lateranensi continui ancora oggi a dividere la popolazione tra cittadini di prima e di infima categoria.
La storia è quella di una coppia della provincia di Parma che si sposa in chiesa nel 1996 con matrimonio concordatario. La donna già all’epoca del fidanzamento si era dichiarata atea e il futuro marito lo sapeva: entrambi, come talvolta accade ancora in Italia, decidono comunque di sposarsi con rito cattolico. Dopo qualche anno avviene la separazione, il marito ricorre al tribunale ecclesiastico regionale emiliano per chiedere la nullità delle nozze. Nel 2009 la Corte d’appello di Bologna conferma l’efficacia della sentenza ecclesiastica perché non contraria all’ordine pubblico.
La Cassazione, con sentenza n. 28220 del 18 dicembre 2013, ha rigettato il ricorso della moglie e fatto propria la decisione del tribunale ecclesiastico. Quindi è nullo non solo il matrimonio religioso, ma anche quello civile, sebbene la donna evidenziasse che il non credere al matrimonio come istituto sacrale e indissolubile non significasse affatto negarne gli effetti civili. L’ateismo, sebbene apertamente manifestato, diventa così una vera e propria “riserva mentale” anche in un tribunale che dovrebbe essere laico, tanto da rendere nullo anche il matrimonio civile per “simulazione totale” e divergenza tra volontà e dichiarazione.
L’annullamento (tecnicamente “nullità”) del matrimonio cattolico, espediente per uscire dalle secche dell’indissolubilità delle nozze e consentire un divorzio di fatto, vede dunque ancora una volta confermati i suoi effetti anche a livello civile. Questa strada viene ormai sempre più usata, soprattutto da chi ha denaro e interesse a non pagare gli alimenti (come già avvenuto nel 2008), per fare in modo che le nozze non siano mai esistite — seppure celebrate e consumate — e non avere alcuna obbligazione. Con la secolarizzazione e il coming out più frequente di atei e agnostici c’è la possibilità che storie come quella degli ex coniugi di Parma si ripetano sempre più spesso.
Un caso che fa riflettere su come la legge della Chiesa si impone sullo Stato a causa dalle possibilità garantite dal Concordato, che rendono il matrimonio civile meno garantito di quello concordatario. Un’anomalia che rende lampante la posizione di privilegio del Vaticano, perché se ormai è quasi scontato che le sentenze dei tribunali ecclesiastici e della Rota Romana vengano recepite, ciò non accade ad esempio per quelle basate sulla sharia o sui matrimoni poligami, dato che in questi ultimi casi esistono effetti civili del matrimonio concordatario che non si annullano per riserva mentale. Il risultato è che anche stavolta i non credenti finiscono per essere discriminati se il matrimonio non dura e l’ex coniuge punta ad annullarlo. Spesso sono spinti a sposarsi in chiesa per ragioni di famiglia, per tradizione, per esigenze scenografiche o di solennità (sebbene ormai sia possibile anche celebrare degni matrimoni umanisti, che non hanno però ancora effetti civili). Ma la recente sentenza della Cassazione sugli ex coniugi di Parma dovrebbe far riflettere atei e agnostici sull’opportunità di sposarsi in chiesa: se si desidera che i propri diritti siano tutelati, il matrimonio civile appare la soluzione decisamente più equilibrata e inclusiva laddove ci sono diverse sensibilità.
Oltre al trattamento riservato agli atei, c’è un altro aspetto da considerare. Visti i precedenti così favorevoli per il culto cattolico, in futuro sarà sempre più difficile per i tribunali sostenere che le altre confessioni non possano accedere a privilegi simili: con il rischio che uno stato già poco laico passi dal multiconfessionalismo multilevel vigente al comunitarismo, a ulteriore discapito della laicità e dei diritti individuali. Proprio come accade in Gran Bretagna, dove il riconoscimento di effetti legali per le decisioni prese da corti islamiche su temi come il divorzio finisce per creare un sistema parallelo caratterizzato da abusi e dove donne e bambini sono in condizione di inferiorità.
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