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Caso Lupi e dintorni

Con la gragnuola di scandali della scorsa settimana, sui quali primeggia il caso Incalza-Lupi, possiamo tranquillamente dire che siamo tornati in piena Tangentopoli. Per la verità, era ampiamente possibile dirlo già nel 2010, ma si era fatto finta di niente. Ora mi pare impossibile far finta di nulla ancora una volta.

Certo (lo abbiamo anche scritto più volte) Tangentopoli non è mai veramente finita, al massimo ha avuto un momento di dissesto fra il 1992 e la fine del decennio, ma già nei primi del 2000 era di nuovo all’opera e riorganizzata. Qui però c’è una novità rispetto al passato più recente, che ci porta al clima del 1992: l’incombente conflitto fra potere giudiziario e potere politico. Un conflitto che, in questo ventennio, è andati avanti, ma fra magistratura (inquirente) e destra berlusconiana ed, anche se non mancavano gli avvisi di garanzia agli uomini del Pd (diversi dei quali sono finiti in cella), non investiva il ceto politico in quanto tale.

Berlusconi e la destra non perdevano occasione di suonare il ritornello delle “toghe rosse” e della “magistratura politicizzata”, minacciando la separazione delle carriere fra inquirente e giudicante e riforma del Csm, mentre il Pds-Ds-Pd difendeva (o faceva mostra di difendere) l’indipendenza della magistratura. Anzi, la sinistra passava per essere il “Partito dei magistrati” eleggendone a decine nelle sue fila.

Va detto, però, che la destra, alla fine dei conti, non è andata molto oltre le polemiche mediatiche ed alcuni sgangherati progetti di legge (poi regolarmente decaduti) per difendere il suo impresentabile leader, mentre né la separazione delle carriere né la riforma del Csm hanno mai visto la luce. Con Renzi le cose cambiano e l’attacco all’indipendenza della magistratura è venuto dal Pd, non solo, ma, soprattutto, ci sono state meno polemiche mediatiche e più provvedimenti legislativi. Da ultimo quello sulla responsabilità civile dei magistrati che ha mandato su tutte le furie la categoria. Per la verità, il provvedimento è molto meno “tagliente” di quanto non si creda (ne riparleremo), ma si tratta di uno di quegli argomenti per cui “chi tocca i fili muore”.

E’ il caso di ricordare che le premesse di tutto questo sono negli anni ottanta: nel 1982 la magistratura, con insolita durezza, mandò in galera Alberto Teardo, del Psi, per una storia di tangenti savonesi e, poco dopo, usò mano pesante con Rocco Trane, uomo del ministro socialista dei trasporti Claudio Signorile. Il Psi craxiano reagì investendo la magistratura con grande veemenza ed iniziando a parlare di separazione delle carriere. L’occasione per regolare i conti venne con il referendum dei radicali sulla responsabilità civile dei magistrati (novembre 1987) quando il Psi si schierò a loro fianco e gli italiani tributarono l’87% dei voti all’abrogazione della norma che tutelava i magistrati. Poi la successiva legge addolcì molto la pillola, scaricando sullo Stato il costo delle inefficienze e degli errori dei suoi magistrati. Ma è sintomatico come, a distanza di pochissimo, iniziò la riscossa dei magistrati: nel 1991 comparve il celebre saggio di Di Pietro sulla “dazione ambientale” che fu il manifesto di Mani pulite, preparata meticolosamente da un paio di anni ed “esplosa” nel febbraio 1992.

A questo punto, non vorrei essere frainteso, passando per un tifoso dei politici inquisiti o dei magistrati inquisitori.

Non faccio una questione di persone, ma di uffici, di poteri e di corporazioni fra le quali non vedo cosa ci sia da distinguere. Gli uni vogliono cancellare l’indipendenza della magistratura per averla serva e garante delle loro ruberie, gli altri interpretano la loro indipendenza come privilegio di casta, potere insindacabile della “nobiltà di toga”.

Io sono per lo stato di diritto che è estraneo agli uni ed agli altri, che confliggono fra loro, ma appartengono alla stessa “confraternita del potere ereditario” o, per dirla più schietta, sono pelo dello stesso cane. Non c’è ragione di schierarsi a favore dei primi, in nome di un principio di investitura popolare (sempre tradita) o con i secondi in nome di una pelosa separazione dei poteri (fragile paravento del privilegio).

Parafrasando socialisti ed anarchici dell’ottocento a proposito di preti e papa, diremmo che la soluzione è “impiccare l’ultimo politico alle budella dell’ultimo magistrato” (è solo una boutade, per chi non lo avesse capito e si accingesse ad accusarmi di essere un sanguinario).

Tornando all’asse centrale del nostro discorso, ora Renzi tocca di nuovo quella pericolosissima corda e la magistratura mostra segni di autentico furore. In questo quadro arriva l’arresto di Incalza, personaggio piuttosto chiacchierato (diciamo così). Una vera salamandra passata per il fuoco di sette diversi ministri e di 14 procedimenti penali, dai quali è sempre uscito indenne, e che, anche per questo, non godeva esattamente della fama di essere il Girolamo Savonarola dei Lavori Pubblici. E, incidentalmente, nello stesso giorno Rodolfo Sabelli (presidente dell’Anm) dichiarava “A noi gli schiaffi, ai corrotti le carezze”, dedicato al governo Renzi ed alla sua legge sulla responsabilità civile dei magistrati…

Il politico travolto, è vero, non è del Pd, ma del Ncd e storico esponente di Cl, però è ministro del governo Renzi ed il Ncd è il partito che con i suoi voti determinanti mantiene in vita il governo. Per cui, l’effetto politico probabile sarebbe stato quello o di accendere un fuoco sotto la sedia di Renzi, con il ritiro del Ncd dal governo, o di costringere Renzi a difendere il ministro, perdendo la faccia ed alla vigilia di un importante torno elettorale. Al solito, Renzi è stato abile a sgusciare ed è riuscito a scaricare la patata bollente su Alfano che, a sua volta, è riuscito a convincere Lupi a farsi da parte. Però la miccia non è disinnescata del tutto: nel Ncd è esplosa una fonda molto vivace contro Alfano, alcuni minacciano di tornare alla casa madre berlusconiana; e, diciamolo, non hanno tutti i torti visto che Renzi ha appena detto che lui gli indagati non li allontana dal partito e non chiede loro di dimettersi, ma Lupi, almeno formalmente, non era neppure indagato. Insomma, è difficile prendere lezioni di morale da un partito che candida De Luca alla presidenza della Campania.

Renzi farebbe bene a ricordarsi che si avvicina il voto sulla legge elettorale al Senato, dove il governo ha margini molto ridotti e, fra voto contrario di Fi e dissidenti Pd, la partita è difficile: se si aggiungessero un po’ di senatori Ncd, il rischio si farebbe molto alto.

Peraltro, l’inchiesta non deve essere stata proprio un fulmine a ciel sereno e qualcosa doveva dirsi in giro. Per esempio ci chiediamo se le insolite ruvidezze di Papa Francesco, verso la delegazione di Cl che lo visitava, non siano state in qualche modo connesse alla faccenda.

In effetti, con Lupi, chi finisce nella polvere è Cl che, dopo la caduta di Formigoni ed ora Lupi, si trova del tutto fuori dalle stanze del potere ed esposta al cecchinaggio di Maroni nella sua roccaforte lombarda. E la compagnia delle opere è un boccone che fa gola a molti. Anche nel governo.

Le bocce sono in moto e si urtano fra loro, forse il gioco è appena iniziato. Vedremo il seguito, ma ci scommetteremmo che siamo all’inizio di un furioso temporale. Anche se non è detto che un temporale si trasformi sempre in una tempesta, l’aria dice che questo può accadere.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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