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Cartolina da Roma: un piccolo tuffo nel mare del bisogno e della solidarietà

Durante il week end, un impegno di lavoro mi ha portato a Roma, la stupenda capitale – purtroppo, non da tutti apprezzata – dove mi è stato dato di risiedere stabilmente per buona parte del passato decennio.
 
Nella mattinata di domenica, ho voluto ritagliarmi uno spazio esclusivo e personale, assistendo alla celebrazione della Messa nella chiesa, a Trastevere, in cui, a suo tempo, ero solito convenire.
 
E’ stupenda la Basilica di Santa Maria, con i suoi mirabili mosaici, la volta a cassettoni, le navate silenziose che inducono i visitatori al raccoglimento, alla riflessione, alla visitazione sincera di se stessi. Ma, soprattutto, il luogo racchiude un’altra anima, proprio speciale ed unica, presentando un concentrato di espressioni di solidarietà, un’autentica sublimazione del fare e del prodigarsi al fine di aiutare chi è sfortunato, sofferente, handicappato o, comunque, ha bisogno.
Difatti, in questa chiesa, non si riscontra la solita platea di fedeli, che poi è l’espressione della «solita» collettività (solita, nel senso che è visibile soltanto nell’atto di estrinsecare attività comuni e ordinarie). Qui si viene subito ad impattare con l’essenza più vera ed integrale del mondo, ossia - in ambito ristretto e vicino - della città, del quartiere, con il volto autentico dell’umanità quale traluce nel chiuso dei condomini e delle case e che - sembra strano e quasi nessuno ci pensa - non consiste solamente in esseri «normali», secondo la convenzione di moda o più comoda, ma anche in tanti e tanti nostri simili gravati da problemi e sofferenze fisici o mentali, oppure semplicemente versanti in gravi e precarie condizioni sociali, spesso così al di sotto della soglia di povertà.
 
Ebbene, tante persone di tal genere, di ogni età, forse le più vere rispetto a qualunque altra, sono presenti col corpo e con l’anima in Santa Maria in Trastevere e, anzi, costituiscono una componente importante della comunità parrocchiale.
Accanto ad esse, attenti, vigili, delicati, premurosi ed affettuosi, altrettanti fratelli o sorelle della benemerita Comunità di S.Egidio, che ha qui la sua sede spirituale, i quali se ne occupano, per scelta e volontariamente, accudendole nelle loro innumerevoli necessità e bisogni, fra cui, appunto, l’aiuto e l’assistenza per rilevarle, con puntuale sistematicità, dalle rispettive abitazioni o residenze ed accompagnarle per assistere alla Messa.
 
Fa sinceramente bene seguire la celebrazione liturgica alternando frequentemente e intensamente lo sguardo verso quei numerosi volti, solo apparentemente diversi ed «alieni» in confronto a noi, ma che, alla fine, rispecchiano sicuramente valori intimi più solidi e vivi.
 
Malgrado il tempo trascorso, ho ritrovato molte facce già familiari, altre le ho scoperte per la prima volta, nuove quindi, anche se sono bastati pochi minuti perché arrivassero a somatizzarsi nella mia mente e nel mio cuore. Nel secondo gruppo, tre giovani provenienti dall’Uganda, scappati dalla guerra sanguinosa che ivi spesso imperversa: un giovane ridotto su una carrozzella con le gambe fracassate dallo scoppio di una mina, una quattordicenne dagli occhi di un nero magicamente luminoso e dal bellissimo viso color ebano, coperto però da una grande benda, posto che qualcuno dalle sue parti, come per farla tacere, ha creduto di scaricarle uno sparo sulla bocca innocente.

Ecco qui, dunque, come festa domenicale, uno spaccato di umanità e di solidarietà che colpisce e parla dentro alle coscienze.
 
Credo che serberò a lungo il ricordo dell’ultimo precetto adempiuto in Santa Maria in Trastevere, sicuramente molto più che quello di una “lontana” e appannata «Notte bianca», di veltroniana estrazione.
 
Un minuscolo ma significativo particolare: la colletta fatta tra i fedeli della chiesa in questione è ufficialmente dichiarata, apertamente e inequivocabilmente, come «raccolta di soldi per i poveri».

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