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Carcere | L’esperienza del collegio, lettera a un ergastolano

A causa della separazione dei miei genitori, fui costretto ad emigrare a La Spezia e poi essere rinchiuso in un collegio, dove mi sono sempre mancati la famiglia, gli affetti, l’amore, un punto d’appoggio a cui aggrapparmi per sfogare le mie angosce e la mia tristezza di adolescente abbandonato a se stesso.

Mi mancava la Sicilia e pure i calci in culo che mi dava mio zio durante il lavoro. Non riuscivo ad adattarmi alle regole rigide del collegio, non volevo farmi il segno della croce prima di mangiare e iniziai a ribellarmi. Da allora non ho più smesso. Per molti bambini, il collegio è stato l’anticamera del carcere, perché molti di loro, in seguito a quell’esperienza, li ho ritrovati nei carceri minorili. E poi in quelli degli adulti.

Dico spesso che, sotto un certo punto di vista, sono nato colpevole, ma poi ho fatto di tutto per diventarlo. Il mio vecchio amico Maurizio Colombo invece è stato più forte di me e per questo è il mio eroe. Nonostante le avversità della vita e l’esperienza devastante del collegio, è diventato una persona perbene. Felicemente sposato, padre e nonno. In questi anni, mi ha spesso seguito e scritto. Appena ha saputo che sono uscito in regime di semilibertà mi ha scritto queste parole che voglio rendere pubbliche perché le amicizie più belle sono quelle che nascono da bambini.

 

«Sì ce l’hai fatta. Sei riuscito a sconfiggere “l’assassino dei sogni”. Sei riuscito a sconfiggere l’ignoranza (..quasi… ora sai di non sapere). Sei riuscito a essere una speranza per i tuoi “amici” in carcere. Ora sanno tutti di avere un paladino in semilibertà che può aiutarli. Sei riuscito a credere in te stesso e a non farti indebolire dai “buoni”… E la cosa importante è questa: “Ora sei consapevole che alla base della nostra società violenta vi è un insieme di vizi morali e comportamentali dell’animo umano che si frangono sui più deboli”. Io e te siamo stati testimoni dei vizi capitali di quegli “educatori” che frangevano la loro frustrazione su bambini di 9 anni. Io non capivo perché al catechismo ci insegnavano “il bene” (o credevo volessero insegnarcelo) e poi abusavano della loro forza, della loro autorità per farci del male. Quanti ragazzi ho visto piangere, quanti ne ho aiutati, quanti altri scappavano e, infine, quanti subivano senza aver il coraggio di denunciare (Uccio). Quante violenze psicologiche ci imponevano. Non ci davano da mangiare, ci proibivano di vedere il cinema al sabato, ci proibivano di giocare dalle 14 alle 15. Vi erano anche le suore che gestivano le cucine, il refettorio, la lavanderia, la stireria e… le anime. Il collegio era un sistema che fino agli inizi degli anni ‘70 ha funzionato perfettamente, tutto era al proprio posto, tranne l’elemento più importante: noi bambini. Mi ricordo le bacchettate sulle palme delle mie mani, e gli schiaffi degli assistenti. Tutto funzionava perfettamente…. Al pomeriggio dopo l’ora di gioco, dalle 14 alle 15, in fila per due si tornava nelle nostre aule. Vi era un sistema. A controllare che “non volasse una mosca” veniva scelto il giovane più maturo, di una classe o due superiore alla nostra, che si accomodava dietro alla cattedra e lì si sentiva tronfio e potente; il suo comportamento verso di noi rispecchiava la sua frustrazione. Erano ragazzini che sfogano in questo modo la loro rabbia accumulata in anni dopo essere stati vittime delle stesse “torture”. Io sono stato nel collegio fino alla fine della terza media, mi bocciarono in quarta elementare e in prima media, quindi uscii dall’istituto nel luglio del 1971 a 16 anni compiuti. Poi le superiori….non mi hanno mai più bocciato.

Carmelo, grida più che puoi che la cultura ti ha reso libero. Urla a milioni di persone che la cultura rende liberi e la libertà rende felici. Fai anche capire, senza urlarlo, che spesso crediamo di essere liberi ma abbiamo ai polsi bracciali con lunghe catene. A presto Amico… a presto. Maurizio»

Carmelo Musumeci

Febbraio 2017

www.carmelomusumeci.com

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