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Cara RAI, ci sono stati tempi in cui valeva la pena pagare il canone

Cara RAI,

ti ringrazio per le continue missive che mi spedisci, peccato che si riferiscono alla richiesta di pagare il canone per il possesso di un apparecchio televisivo, perché di questo si tratta. Eh si, perché anche se ti spiego che è lungi da me sintonizzarmi con i tuoi programmi non te ne importa nulla e comunque pretendi l’esosa gabella.

Anzi, siamo al punto che vorrai il canone come se il tuo fosse un servizio come la luce elettrica. Vedremo nei Tar, in Consiglio di Stato e in Corte Costituzionale se si può asserire un’assurdità così palese.

Vedi, cara RAI, ci sono stati tempi in cui valeva la pena pagare il canone. Il tuo palinsesto offriva una vasta scelta: sport, spettacolo, politica, storia, teatro, films, inchieste, programmi per i più piccini, documentari, sceneggiati tratti da capolavori letterari che ci facevano crescere nel modo giusto, un modo per fare cultura e informazione a domicilio. Lo so che anche allora eri lottizzata, ma c’era equilibrio, ognuno aveva il suo spazio e bene o male poteva far sentire la sua voce.

Era però il tempo in cui il canone non lo pagavo io, giovane di famiglia, ma mio padre. Ma poiché oggi ho 65 anni, una mia famiglia ed un mio apparecchio televisivo tocca a me e purtroppo, per te cara RAI, non ci sono più le condizioni, la soddisfazione dell’utente, la qualità ed i programmi che mi “ispirano” ed è per questo che sono indeciso, da circa un anno se pagarti il canone o meno.

Tanto più che quegli spazi di cui ti parlavo anche quelli sono spariti a beneficio di uno solo, e sai a chi mi riferisco: “l’uomo solo al comando” che ha lottizzato tutto a suo favore e per il quale stai anche deformando l’informazione a suo uso e consumo. Inoltre hai lasciato andare via dai tuoi studi artisti, giornalisti, e quant’altro di qualità, facendo la fortuna el’audience della concorrenza, accontentandoti di avere nelle tue schiere veri e propri “servi del potere” che proponi in tutti i posti possibili da occupare e senza soluzione di continuità.

Per questi motivi mi sa che dovrai ancora aspettare perché ti arrivi il mio contributo, che qualora ti arrivi non sarà un riconoscimento al “servizio pubblico” che per il pubblico e di pubblico non ha più nulla, ma probabilmente perché davanti alla tua disonestà, cara RAI, prevarrà il mio senso civico e la mia onestà, mia e di tanti altri “fessi” sui quali punti regolarmente e dai quali regolarmente prelevi qualcosa che non meriti assolutamente di incassare.

E che infatti, ora, per decreto, proverai a estorcere senza averne diritto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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