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Camminando, fra drammi senza voce

Stamani, girando a piedi per il paesello, mi è ad un tratto capitato di soffermarmi ad osservare una figura femminile, che incedeva, a passi più lenti, nella mia stessa direzione: pian piano, prima le sono andato dietro, poi l’ho raggiunta e sopravanzata.
 
In questo posto, si può dire che la comunità si trovi racchiusa in una manciata e, perciò, il volto della signora mi era già noto. Fra i settanta e gli ottanta, lineamenti marcati e duri per fatto antropologico, occhi vigili, penetranti ed espressivi, da tipica donna del sud, adusa alle calure estive e all’umidità che sprigiona dallo scirocco e, soprattutto finché è stata giovane, alla fatica senza risparmio.
 
Ma, di lei, nella circostanza, mi hanno colpito e impressionato, in modo particolare, i capelli, indistintamente bianchissimi, che mi hanno richiamato alla mente l’immagine di una minuscola pozza di neve in tarda primavera: ogni sottile filo, alla stregua delle corde di uno strumento, sembrava volesse esprimere ed emettere un suono distinto, dar luogo, senza bisogno di spartiti, ad un ideale concerto, o meglio rosario, di parole, pensieri, emozioni, rimpianti.
 
Fuor d’ogni dubbio, una stranezza misteriosa, e, tuttavia, risaltava chiaro e nitido un sottofondo di dolore, di dispiacere, di sofferenza.
 
A monte e all’origine di siffatto, trasparente stato d’animo della signora, non l’immatura dipartita, parecchi anni fa, del consorte, non l’essere rimasta sola a sostenere, con risorse povere, il peso della famiglia.
 
In realtà, la donna e compaesana trovatasi occasionalmente lungo i miei passi, è stata ridotta ad una specie di calvario vivente dalla piega, tristissima piega, formatasi, purtroppo, nell’esistenza di uno dei figli, ossia la dipendenza da stupefacenti con le conseguenze e gli effetti annessi e connessi, di ogni tipo. Si pensi, un figlio, sangue del suo sangue, che è talvolta arrivato, sebbene privo di controllo e di consapevolezza, finanche ad opprimere, minacciare, vessare la genitrice, ad andare, insomma, contro natura.
 
Tanto che, alla fine, alla povera mamma, è dato di respirare un attimo, ma è mera apparenza, solo nei periodi in cui, il giovane è allontanato, prelevato da casa. Realtà, questa, ancora contro natura.
 
Nelle moderne società, bisogna riconoscerlo, esiste attenzione viva e vigile, anche da parte delle pubbliche istituzioni, all’indirizzo delle folte schiere di cittadini, specialmente se giovani, che, ahinoi, finiscono attanagliati nelle grinfie e sotto il giogo delle sostanze stupefacenti. Inoltre, sono presenti strutture più o meno pienamente idonee per il recupero di tali “vittime” e per la loro definitiva uscita dal triste e nero tunnel.
 
Mentre, al contrario, poco e niente sembra farsi o progettarsi in favore e a beneficio dei familiari, primariamente dei genitori, i quali vivono e soffrono, non di riflesso bensì sulla viva carne, tragedie egualmente pesanti e devastanti. L’involontario approccio oggi avuto con la mia compaesana dai capelli precocemente candidi ha stimolato ed orientato il mio sentire verso quest’ultima, triste realtà, lasciata, come dire, in balia di se stessa e, in pari tempo, mi ha fatto riflettere che, intorno e in mezzo a noi, allignano, sovente in clima di generale disattenzione, diffusi drammi umani, silenziosi ma certamente non meno dolorosi.
 

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