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C’è qualcosa di molto peggio della “macchina del fango” ed è “la macchina del consenso”

Riflessioni sul concetto di democrazia, fra coercizione dei regimi totalitari e coercizione sociale dei media. La fabbrica del consenso e la “cattiva maestra televisione”.

Assistiamo in queste ultime settimane alle pesanti vicende dei paesi del nord Africa. Difficile capire dove si andrà a finire, in bilico fra democrazia e fondamentalismo. Per non parlare poi della Cina, una bomba ad orologeria regolarmente innescata. Stiamo vivendo un punto di svolta della storia che, probabilmente, cambierà la geopolitica del Maghreb e ci fa tornare alla memoria copioni già visti.

Viene da chiedersi quali possano essere le cause che portano, in alcuni momenti della storia, popoli che fino ad allora avevano manifestato solo qualche insofferenza, a ribellarsi con tale forza irresistibile, a non accettare più la situazione. Guardando il passato si potrebbe dire che principalmente siamo in presenza di due fatti scatenanti. Senza scomodare il vecchio Marx, è verosimile che l’innesco del sistema avvenga per ragioni economiche, legate cioè alla miseria di una vita irta di difficoltà materiali ed insoddisfazione dei bisogni primari. Il secondo è, ovviamente, legato alla mancanza di libertà, all’oppressione di regimi totalitari che negano la possibilità di una vita piena. E’ la compresenza in varia misura dei due fatti, come il comburente ed il combustibile, ad incendiare la società.

In assenza totale di uno dei due è poco probabile che il sistema collassi, benché possa essere presente “la brace ardente sotto le ceneri”. Sulla base di queste riflessioni viene da chiedersi in che rapporto essi stiano con la nostra società, come cioè libertà, democrazia e welfare come si dice oggi, si combinino e si amalgamino nella nostra vita quotidiana. Indubbiamente nelle società occidentali, opulente e consumiste come la nostra, il problema della sussistenza non si presenta, almeno per la maggior parte dei cittadini, benché negli ultimi anni la crisi morda ai fianchi. Più complesso ed articolato il problema della libertà e, conseguentemente, della democrazia. Scriveva Montanelli non molti anni fa: “Oggi per instaurare un regime non c’è bisogno della marcia su Roma, né l’incendio del Reichstag e neppure di un golpe al palazzo d’inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra essi sovrana e irresistibile la televisione”.

E la storia insegna, inoltre, come alcuni regimi dittatoriali siano stati eletti democraticamente, dal popolo, anche grazie al consenso “costruito” proprio attraverso la propaganda dei media. Faceva eco Popper “la televisione ha un enorme potere sulle menti umane, un potere mai esistito prima. La sua influenza, se non la limitiamo, ci sta conducendo lungo un pendio che è contrario alla civilizzazione: in fondo a esso c’è solo violenza”. Non a caso si parla di 5° potere in quanto la forza di influenza è superiore a quella di ogni altra forma. L’avvento delle televisioni commerciali ci ha regalato la “mutazione” del cittadino, da persona a consumatore, da fine a mezzo. La televisione non deve più fare cultura, portare conoscenza, creare coesione, dare informazione imparziale e completa, essere veicolo di confronto civile, interpretare correttamente la realtà, bensì fare soldi, vendere pubblicità, persuadere, a sue spese, l’ignaro cittadino.

La cultura rende liberi ma è un ostacolo al business e, in Italia, anche alla politica. Chi infatti prende coscienza di essere “geneticamente modificato”, chi si rende conto di essere oggetto del “consenso pilotato” non può accettare tale condizione. Dice il Censis che in Italia si guarda la televisione per oltre 3 ore al giorno, per la maggior parte occupato da una varietà infinita di programmi con lo stesso denominatore comune. La superficialità, la disinformazione, la violenza, la stupidità all’ennesima potenza. Il fatto è che non esiste alternativa a tale bassezza, governata da un potere economico - politico fortissimo, che dipinge scenari volutamente avulsi dalla realtà, fabbricando ottimismo, spettacolarizzazione che confonde la linea di demarcazione fra verità e finzione. Programmi di intrattenimento, pubblicità e film dispensano irrealtà e illusioni, consentono e costringono il telespettatore all’evasione da una quotidianità sempre più alienata. Il telecomando funziona cioè al contrario, dallo schermo al cittadino. Si sarà notato come nel nostro paese sia praticamente sparito il confronto civile, culturale ed il poco che è rimasto è roboante, gridato e, peraltro, bersaglio continuo del sistema che lo vorrebbe eliminare, con tutti i mezzi, perché “velenoso”, assolutamente nocivo, tossico. E pensare che Popper scriveva “In una società aperta le istituzioni non solo devono permettere la critica ma devono stimolarla”.

Ma ormai dopo anni di logoramento, la maggioranza delle coscienze non ha più la forza di fare un’analisi, di discernere liberamente e, nonostante l’evidenza dei sintomi individuali e sociali, non distingue neppure il valore dell’informazione, non vuole giudicare la valenza dei telegiornali, intuire la faziosità delle notizie, esprimere appieno il proprio senso critico. Galli della Loggia scrive di una società che “vive nell’isola dei famosi, la cui elite si è conformata al degrado culturale, si è assoggettata al media mentre prima era il viceversa”. Si potrebbe dire che l’élite si è assoggettata allo strapotere del business. Eppure la buona televisione si può fare, lo dimostrano Benigni, Fazio, Saviano, Gabanelli, Daverio, Mentana, Dandini, Minoli, Bignardi tanto per fare qualche nome, non è un problema di uomini o di idee, ma ciò, come si diceva, rappresenta un ostacolo alla “conformazione” ideologica, politica. Scrive Chomsky: "Il neoliberismo (leggi Berlusconismo) funziona meglio quando esiste una democrazia elettorale formale ma, nello stesso tempo, la popolazione viene tenuta lontana dalle informazioni, dal controllo del potere e dal confronto aperto delle opinioni, ossia dalle condizioni essenziali della democrazia".

L’individualismo, l’assoluta mancanza di principi e riferimenti è fortemente penetrata anche nella politica, anzi, l’attuale classe dirigente è l’artefice principale del degrado. Non servono onestà, capacità, programmi veri, moralità, senso dello stato, è più semplice imbonire gli elettori, vendere l’immagine del partito, dell’uomo o del programma come vendere scope, spazzolini, detersivi. Riesman scrive “come nel campo commerciale anche in politica la suggestione esercitata dall’immagine del candidato, mediante una tendenziosa manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa, si sostituisce al reale interesse dell’elettore”. Ed ancora Vance Packard “L’elettore non è affatto il cittadino lucido e indipendente che crede di essere.[..]. Considero l’elettore alla stessa stregua di un uomo che in drogheria esita fra due marche di dentifricio. La marca che gli è rimasta maggiormente impressa sarà la preferita ,[..]. Noi non vendiamo prodotti, compriamo clienti.

Nei regimi autoritari convenzionali la coercizione è fisica, morale ed è evidente a tutti, mentre l’autoritarismo mediatico è indolore, non fa rumore, non abbisogna di sangue o fucili e per questo è molto più subdolo e difficile da percepire. E’ questo l’autoritarismo del terzo millennio. Viene quindi da pensare come, con le pance piene di cheeseburger e patatine, sopportiamo ogni aberrazione, ogni violenza, sonnacchiosi e obesi di ketchup mediatico, preferiamo l’inerzia confortante della poltrona, al rischio, alla fatica dell’impegno. Dobbiamo però reagire in qualche maniera. La disinformazione è il cibo della “piovra mediatica” della “fabbrica del consenso” che è peggio, ma molto peggio della macchina del fango. Stiamo assistendo in questi giorni al tentativo di “normalizzazione” di alcuni programmi “scomodi” di approfondimento sulla televisione pubblica mentre, sulle televisioni commerciali impera senza alcun controllo la faziosità, dispensata la propaganda a piene mani. Dobbiamo certo accettare che sulla televisione pubblica vi siano anche altre “voci”, ammesso che abbiano qualcosa da dire, ma dobbiamo altresì pretendere che ciò avvenga anche sulle televisioni private.

Perché non possiamo vedere Umberto Eco o Beppe Grillo su Canale 5 dopo i delitti, le sagre ed altre amenità del Tg? Perché non Saviano o Dario Fo dopo i gossip della Canalis e le prodezze mirabili del cavaliere narrate dalla voce melliflua e rassicurante di Emilio Fede? Perché non Flores d’Arcais, Cacciari o Moni Ovadia dopo Studio Aperto? Non è questo pluralismo, libertà di informazione, non è forse un dovere della democrazia e un sacrosanto diritto dei cittadini che, peraltro, pagano tutti questi servizi, da una parte con il canone e dall’altra con la pubblicità sui prodotti acquistati? Di certo è ormai imperativo che il sistema dell’informazione venga radicalmente riformato, reso veramente libero, al servizio della società e sono peraltro convinto che, agendo sulla piovra mediatica, si potrà contribuire anche a combattere altre piovre che attanagliano il paese e che, sulla “non cultura” attecchiscono e si sviluppano.

(Alfadixit è anche una pagina di facebook)

Bibliografia

N. Chomsky. Sulla nostra pelle. Il saggiatore.

M. Motterlini. Popper. Il saggiatore.

V. Packard. I persuasori occulti. Einaudi.

M. McLuhan. Gli strumenti del comunicare. Il saggiatore.

E. Galli della Loggia. Corriere della Sera 20/2/2011

I. Montanelli. La voce. 1994.

D. Riesman. La folla solitaria. Il mulino.

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