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"Buon Compleanno Prof. Lévi-Strauss..."

Oggi, venerdì 28 novembre 2008, compie gli anni l’ultimo dei vecchi miti viventi: l’antropologo, filosofo e letterato Claude Lévi-Strauss. Uno dei pochissimi uomini che ha lasciato una scia di pietre miliari nella storia della letteratura e della scienza.

 

Tristi Tropici”, “Totemismo oggi”, “Pensiero Selvaggio”, “Antropologia strutturale”, “Il crudo e il cotto” e “L’Uomo Nudo” sono solo alcuni titoli dei suoi libri più famosi. Ed è l’unico uomo che è entrato da vivo nella prestigiosa collezione della “Pléiade”, della casa editrice francese Gallimard.

Nato a Bruxelles nel 1908, figlio di francesi ed ebreo per via di un nonno, durante il Governo di Vichy andò in esilio a New York, dove rimase dal 1941 al 1946 (qui il suo nome gli procurò qualche fastidio perché molti studenti pensavano fosse il produttore dei famosi jeans).

Il grande antropologo, che non ha mai amato troppo i viaggi e le esplorazioni, è un mito fuori dagli schemi: si è definito un “anarchico di destra” e infatti è sempre pronto a scappare se qualcuno cerca di appuntargli sul petto una medaglia, ed è pure una persona che dall’alto dei suoi 100 anni può tranquillamente rispondere “Consideratemi come morto” all’ennesimo giornalista che riesce ad intervistarlo. Una risposta che del resto potrebbe esprimere il semplice desiderio di un grande vecchio di essere lasciato in pace.

Così, dall’intervista del giornalista Giovanni Serafini del Resto del Carlino (di lunedì 24 novembre, p. 36), sembra quindi delinearsi la figura un uomo stanco della notorietà, forse disorientato dalla vecchiaia, forse amareggiato dalla società e dalla velocità del mondo odierno o forse troppo provato da un eccesso di saggezza (“La grande sapienza è gran tormento e chi più sa, più soffre.” Qoelet-Bibbia).

Comunque, anche a costo di fare brutte figure, da “giovane provocatore anarchico”, proverò a valutare il pensiero di questo “fossile vivente” della scienza, che ci indica i limiti del monolitismo mentale e culturale, e della suddivisione tra culture privilegiate, sofisticate ed altre infantili, primitive: “Tutti i popoli sono adulti, anche quelli che non hanno tenuto il diario della loro infanzia e della loro adolescenza.” E qui non sono completamente d’accordo: io, invece, sono dell’idea che c’è uno scambio tra le diverse culture umane, ma succede che il pensiero “più forte”, più realista, e più utile e adattabile, è in grado di imporre il maggiore potere di scambio: pensiamo quindi alla cultura occidentale che oggi con i suoi valori scientifici e con quelli politici di libertà e uguaglianza, e quindi di pari diritti per uomini, donne e bambini di tutte le religioni ed orientamenti sessuali, è in grado di fare da attrattore verso le altre culture.

Sicuramente le civiltà, di questi tempi, non si possono più imporre attraverso le guerre, ma i mezzi di comunicazione di massa possono originare delle grandi trasformazioni indolori. E anche se c’è da augurarsi la continuità di molte delle diverse culture a livello mondiale, sono sicuro che ci sarà una maggiore attenzione di tutte le società per i diritti delle donne e dei bambini. E mentre Lèvi-Strauss si augura la sopravvivenza di alcune superstizioni, io preferirei l’ampliamento dei risultati e dei vantaggi della scienza, a tutta l’umanità a sua volta disponibile ad accettarli con gradualità (a volte l’eccessivo amore narcisistico degli studiosi per il proprio oggetto di studio può “positivizzare” molti aspetti negativi o neutrali di una data realtà fisica o sociale).

Condivido invece pienamente il parere di Lévi-Strauss sul progresso: non è continuo, necessario, ma procede a balzi, per mutazioni e scarti, come la mossa del cavallo negli scacchi. Ci sono epoche come il Neolitico, il Rinascimento e la Rivoluzione industriale dove la coalizione tra forze diverse che cerca una sintesi per non abbandonare la diversità, riesce a creare opere straordinarie.

A volte la coalizione delle diversità è minacciata da esiti paradossali, poiché a forza di collaborare le culture tendono alla consonanza, i particolarismi s’appannano, si rischia un conformismo globale e si può formare “un’umanità ossificata, confusa in un genere di vita unica”, dove l’energia si consuma e non si produce.

Ed è ancora condivisibile il pensiero dell’umanista: “l’uomo può sempre scegliere un’altra via, tutto può andare diversamente se lo si vuole. Il muro della necessità ha le sue crepe” e se anche il pianeta sta correndo verso l’autodistruzione, si può creare un “altro umanesimo, non più basato sull’uomo morale superiore, mai sui diritti degli esseri viventi: uomini, animali e piante”. Per le diverse società umane “i giochi non sono mai fatti. Possiamo ricominciare tutto. Quello che è stato fatto e mancato può esser rifatto” (e rimancato…). Bisogna però saper ritrovare “l’indefinibile grandezza dei cominciamenti”, dove nascono i pensieri e le parole per capire e si trovano le energie necessarie per agire.

Comunque questa filosofia di vita può essere utile anche a chi si occupa di comunicazione: “il giornalista in modo speciale deve pensare contro se stesso, perché le sue semplificazioni influenzano anormalmente le menti” (Barbara Spinelli, La Stampa, 23 novembre, p. 33). Ed è anche utile conservare tutti i linguaggi del genere umano, perché tutte queste conoscenze ampliano le capacità percettive e cognitive della mente, e anche perché insegnando le lingue in tenera età, ogni individuo potrebbe facilmente parlare 3-4 lingue, favorendo così le relazioni sociali e internazionali, e quindi i sentimenti di solidarietà ed uguaglianza fra le persone di tutte le culture… Teniamo però presente che molte lingue possono essere insegnate solo oralmente.

E ora voglio omaggiare il grande pensatore con un’ultima riflessione, affermando questo: se ci pensiamo bene, Lévi-Strauss potrebbe anche essere il Professore più conosciuto dagli studenti umanisti di tutto il mondo di oggi e dei molti mondi dei moltissimi domani...

 

P.S. Se mai avrò la fortuna di essere letto da questo illustrissimo essere umano vorrei regalargli alcune citazioni: il lavoro più giusto e più difficile che si può fare oggi con la lingua è proprio quello di inventare sulla pagina “il suono” (e l’anima) del linguaggio parlato (un uomo anonimo);
le parole sono farmaci: alcune infondono forza e coraggio, altre avvelenano e stregano l’anima (Gorgia);

un libro non ti dice cosa pensare o come agire e non da risposte: ti dice cosa sentire (Margaret Atwood);

non fidatevi di me… (un docente).

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