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Boom economico cinese: capitolo due

Come evolve la produzione ed il mercato economico delle regioni più sviluppate della Cina. La qualità alla fine paga, ma chi pagherà le migliaia di operai licenziati nel giro di pochi giorni?

In pochi mesi si sta verificando un fenomeno inaspettato, per lo meno per noi, abituati a pensare ai prodotti cinesi come i più economici e i più scarsi dal punto di vista qualitativo.
Ci hanno educato al negozietto cinese sotto casa e sempre aperto, dove trovare tutto , ma proprio tutto, alla modica cifra di un euro. Poco importa se l’oggetto dura una settimana e poi si rovina, si guasta, si sforma. È made in China dopotutto, cosa ci aspettiamo?
Ci consolavamo per le spese folli, giustificando i prezzi impazziti col fatto che comunque si comprava italiano, quasi non volessimo riconoscere che la maggior parte dei prodotti viene solo assemblato in Italia e i pezzi sono comunque fatti in Oriente. Vabbè, stavamo metabolizzando: la Fendi pagata 700 euro in realtà aveva un costo di 20 e persino che il formaggio di pianura non veniva tutto dai cascinali fané che ancora si scorgono nell’orizzonte padano. E adesso cosa ci capita? La regione del GuangDong approva un piano di ristrutturazione, dismettendo le fabbriche che operano a bassa qualità per lasciare il campo ad imprese innovative che puntano sul pregio e sulla tecnologia avanzata. Gli operai licenziati in tronco, pare risarciti degli ultimi stipendi ma, a migliaia, improvvisamente senza lavoro. Saranno ragioni di economia, sarà che la qualità alla lunga paga soprattutto in tempo di crisi. Ma la qualità non si improvvisa e c’è da chiedersi come si riciclerà la moltitudine di persone che si ritrovano disoccupate. Nel frattempo non temano i patiti dell’acquisto a 1 euro, assuefatti ai bugigattoli dagli odori insopportabili, le fabbriche che assicureranno ciofeche di ogni genere esisteranno ancora, solo si sposteranno nelle regioni più arretrate della Cina, solo per le nostre tasche. 

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