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Bonus donne manager | Il senso di Conte per la parità di genere

di Vitalba Azzollini

Gli Stati Generali – vale a dire il nulla scenograficamente declinato – non potevano non concludersi con qualche mirabolante trovata, del tipo: “vi stupiremo con effetti speciali”. E così è stato. Nella conferenza di chiusura, Giuseppe Conte ha annunciato, tra le altre cose

[…] un voucher di 500 euro per 3 anni per le donne manager, per le donne che aspirano a diventare manager. Sapete, nelle prime 500 imprese in Italia, più o meno solo il 6% è donna. Quando noi parliamo di empowerment femminile, vogliamo dare una svolta anche in questa direzione…

Poi è stato chiarito che si era trattato di «un lapsus», perché il Presidente del Consiglio intendeva riferirsi a un voucher «per 500 donne, per un Mba dal valore di 35 mila euro».

Di questa misura, un Master in business administration executive, non si sa molto altro – come esso funzionerà, come saranno scelte le beneficiarie ecc. – poiché persiste l’usuale malvezzo di affrettarsi ad annunciare provvedimenti di cui non sono stati definiti i dettagli. Anzi, al momento si tratta solo di «un suggerimento» che Conte ha reputato di accogliere, com’è scritto nel comunicato di chiarimento.

Tuttavia, pare opportuno svolgere qualche considerazione generale, così da verificare almeno quali siano gli obiettivi che la misura intende perseguire, ammesso che siano chiari a chi l’ha proposta, come si vedrà in prosieguo. 

Innanzitutto, una premessa: è sempre cosa buona e giusta investire risorse nella formazione e l’idea di voucher, cioè di finanziamenti pubblici per frequentare master o corsi di specializzazione, non è nuova, specie a livello regionale. Tuttavia, la riserva a favore di una platea al femminile fa sorgere spontanea una domanda: la specifica destinazione serve a colmare un gap di genere? Cioè esiste una qualche diseguaglianza in termini di formazione delle donne, così che risulti necessario implementare “discriminazioni positive” (affirmative action) per ridurla? I dati dimostrano l’opposto.

Le donne studiano più degli uomini, e questo è un fatto: in Italia, le laureate sono il 56% del totale, nel 2018 sono state il 57,1% e negli ultimi cinque anni sono aumentate del 22,7%. E le donne sono la maggioranza anche negli studi post-laurea: rappresentano il 59,3% degli iscritti a un dottorato di ricerca, un corso di specializzazione o un master. Dunque, sfugge il motivo per cui esse vadano privilegiate rispetto ai colleghi uomini nell’assegnazione di voucher formativi.

O forse un motivo c’è: peccato sia sbagliato anch’esso. Perché un problema di sotto-rappresentanza esiste, ma è ai vertici aziendali – comunque, nelle posizioni che contano, e non solo – e Conte lo ha richiamato nel suo discorso, riferendosi alla bassa percentuale di donne che guidano aziende.

Evidentemente, egli reputa che tale sotto-rappresentanza dipenda da un’insufficiente formazione manageriale delle donne, sì che ad esse basti l’accesso a un MBA tramite un voucher, graziosamente messo a disposizione dal Governo, per aspirare a «magnifiche sorti e progressive»: appare palese che di questo problema – così come di quello dell’occupazione femminile, più in generale – Conte non abbia capito pressoché niente.

E il fatto che colui il quale è a capo dell’esecutivo – anzi di due, senza soluzione di continuità, in molti sensi – ignori, o finga di ignorare, che le donne sono formate più e meglio degli uomini, ma ciò nonostante non hanno carriere pari a questi ultimi, è cosa molto grave. Per spiegarlo, può essere utile qualche dato. 

Nelle società quotate la presenza femminile è di oltre il 36% negli organi di amministrazione, ma era intorno all’11% prima dell’introduzione della legge in tema di «quote di genere» (la legge Golfo-Mosca); tuttavia, le donne ricoprono la carica di amministratore delegato solo in 15 società (il 6,3% cui ha accennato Conte), mentre presiedono il board in 25 emittenti. Grazie agli obblighi previsti dalle «quote» le percentuali sono aumentate, ma tale strumento non ha,

[…] almeno finora, ancora promosso cambiamenti profondi (…). Sono poche le società quotate che sono andate oltre le disposizioni normative, superando lo stretto necessario per rispettare la legge.

Peraltro, se si considera che il 34% delle amministratrici in società quotate è titolare di incarichi nel board di altre quotate (cosiddetto interlocking), cioè ha cariche multiple, si comprende che la percentuale di donne favorite dalle quote di genere è ancora più limitata di quella espressa dalla percentuale di presenza femminile nei Consigli d’Amministrazione (CdA).

Quanto alle società non quotate, il numero delle donne nei CdA, se pur in aumento, è ben al di sotto rispetto alla soglia delle quotate. Peraltro, all’interno delle imprese la quota femminile si riduce nelle posizioni di maggiore responsabilità: tra i quadri è al 45%, mentre è al 31,9% tra i dirigenti. E un voucher assegnato a 500 “fortunate” dovrebbe riuscire in ciò che neanche le «quote» hanno finora realizzato, quando è acclarato che le donne, anche quelle che frequentano un MBA, continuano a essere lavorativamente penalizzate? Evidentemente, il problema non è la formazione, nonostante Conte lo ignori, o finga di ignorarlo.

Il problema è che le donne sono già “fortunate” se riescono ad avere un lavoro, e magari ad essere pagate quanto i colleghi uomini. Anche qui giova qualche dato: secondo l’indice del World Economic Forum, quanto a disparità di genere, l’Italia è il 76esimo Paese al mondo, su 153 censiti. E dai dati Eurostat risulta che le donne occupate sono il 49,5%, circa 13,9 punti in meno della media Ue, mentre il gap lavorativo fra generi è pari a 18,9 punti.

Pertanto, al di là di qualsivoglia “privilegio” – che si tratti di borse di studio o di poltrone ai vertici aziendali – ci sono donne che non hanno nemmeno il “privilegio” di scegliere di lavorare nonostante gli studi fatti e, conseguentemente, di guadagnarsi posti di rilievo dispiegando le proprie capacità professionali.

Ciò che Conte ignora, o finge di ignorare, è che le donne possono lavorare e, quindi, decidere di fare una qualche carriera, quando dispongono di  strumenti di conciliazione tra vita e lavoro, come tra l’altro dimostrano ancora una volta gli ultimi dati forniti dall’Ispettorato del lavoro.

È ormai nota da tempo la correlazione positiva fra la presenza di asili nido e il tasso di occupazione femminile. Ma è altresì nota l’incapacità dei governanti nostrani di fare valutazioni razionali. Si resta, comunque, in fiduciosa attesa del Family Act, la nuova riforma, epocale come quelle che l’hanno preceduta.

In un Paese in cui l’analisi degli impatti della regolazione resta un obbligo declinato solo sulla carta, ove le politiche pubbliche si reputano assistite da un marchio DOC di presunzione di efficacia, Conte pensava forse che una misura a favore del genere femminile sarebbe stata accolta tra il plauso generale per il solo fatto di essere destinata a una categoria “bisognosa” per definizione.

E questa rappresenta un’ulteriore distorsione, derivante non solo dalle citate carenze nella valutazione preventiva delle politiche pubbliche (e da consensi sempre troppo facilmente perseguiti mediante il compiacimento di destinatari a scelta), ma soprattutto dall’assenza di metriche per misurare il merito delle persone, a prescindere dal genere di appartenenza.

Così che ai governanti di turno basta ricorrere a un qualche automatismo – da ultimo, il voucher a 500 donne aspiranti manager – per agevolare questo o quello, e il gioco è fatto.

Un’ultima considerazione: il Presidente del Consiglio pensa forse di accrescere la propria credibilità mediante una proposta di spesa di fondi pubblici «avanzata …dalle stesse business school che dovrebbero beneficiarne»? Accountability, questa sconosciuta. Del resto, era stato già detto che gli Stati Generali sarebbero stati la sede ove raccogliere i “desiderata” circa la destinazione della «fracassata di soldi» che l’Italia riceverà dall’Europa.

Conte è ormai così uso a giochi di prestigio di parole – in stile “non c’è trucco, non c’è inganno” – da non rendersi neanche più conto degli effetti che produce con le sue trovate. Ciò a differenza delle donne, che restano ironiche, nonostante certe prese in giro.

 

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