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Bologna: il Pd disconosce il referendum (e la scuola pubblica)

A Bologna qualche mese fa è successo l’impensabile. Un comitato di cittadini nato spontaneamente dal basso ha proposto un referendum per dire no al finanziamento comunale delle scuole private, in gran parte cattoliche.

Per far capire come, soprattutto in un periodo di crisi e tagli, sia importante finanziare i servizi pubblici che vanno a beneficio di tutti e difendere la laicità delle istituzioni, piuttosto che lasciare in appalto certi settori al confessionalismo. E il referendum, nonostante la disparità di forze in campo e l’opposizione dei potentati locali, degli amministratori, delle istituzioni nazionali e della Chiesa, è stato vinto dal Comitato Articolo 33, sostenuto da sindacati e partiti come Idv, Movimento 5 Stelle e Sel, Rifondazione e Comunisti Italiani, e anche dall’Uaar.

Un risultato che, sebbene non vincolante trattandosi di referendum consultivo e contestato per la bassa affluenza alle urne, assume un valore simbolico e apre la strada per ulteriori battaglie.

Merola

Tutto questo però al Comune di Bologna, guidato dal sindaco Virginio Merola (Pd), non interessa. Anzi, l’intenzione è quella di affossare il risultato del referendum, come scrive Alex Corlazzoli sul suo blog del Il Fatto Quotidiano.

Proprio il Partito Democratico ha presentato in consiglio comunale un ordine del giorno, che sarà votato il 29 luglio, per confermare il finanziamento alle paritarie. Su questo il Pd ieri ha presentato una delibera (solo il consigliere Francesco Errani ha fatto sapere che si asterrà), con l’appoggio del Pdl. Certo, le obiezioni sono note e la questione non è semplice da gestire, ma il voto dei cittadini non può essere ignorato. Anche perché il referendum comunale è l’unico strumento di partecipazione disponibile, specie in un momento di scarsa credibilità dei partiti e della politica “di palazzo”.

A protestare contro il tentativo del colpo di spugna a Palazzo d’Accursio sono scesi di nuovo in piazza i promotori del comitato referendario, con una veglia-staffetta in Piazza Maggiore. Anche la nostra associazione ha fatto la sua parte.

L’esperienza bolognese non può non far sorgere una riflessione sul Pd, che vorrebbe essere un partito progressista. Il Pd è nato dalla fusione tra un apparato politico ex comunista e uno ex democristiano. Tra gli accordi non scritti c’è evidentemente sempre stato il dogma della non conflittualità con le gerarchie ecclesiastiche. Quando, come sui cosiddetti temi “etici”, non si può proprio evitare, va comunque minimizzata.

Se però entrano in gioco anche i costi pubblici della Chiesa, per il Pd diventa allora impossibile anche solo pensare di metterli in discussione. A costo di rischiare la farsa e l’aperta impopolarità. Ma una messa val bene Parigi, par di capire. Anche Bologna.

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