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Black Block, il documentario: dalla protesta del G8 di Genova alle violenze alla Diaz e a Bolzaneto

C'era la sala piena, sabato 21 aprile, quando la Biblioteca “Fabrizio Giovenale” di Roma ha ospitato l’ultimo di tre appuntamenti sul tema della “Violenza Urbana”. Gli studenti della Giovenale da anni autogestiscono cineforum e attività di aggregazione sociale all’interno del parco e della biblioteca, con l’obiettivo di fermare la chiusura del Centro di Cultura Ecologica, di cui la biblioteca è sede, e di denunciare le minacce di cementificazione del parco di Aguzzano che ospita la struttura.

Nell’incontro è stato proiettato il film-documentario “Black block” (premio Biografilm per il Miglior Film Biografico) del film-maker genovese Carlo Bachschmidt, che ha richiamato giovani e adulti in una riflessione collettiva sulla violenza di Stato. Il documentario è il risultato di dieci anni di lavoro di persone che hanno seguito, anche come consulenti tecnici i processi Diaz e Bolzaneto scaturiti dai fatti del G8 del 2001.

Il video raccoglie le voci di alcune vittime della Diaz e di Bolzaneto, "persone che abbiamo conosciuto - spiega il regista - e con le quali abbiamo costruito una relazione. La violenza delle forze dell’ordine, molto visibile anche nella morte di Carlo Giuliani, aveva l’obiettivo di fermare il “movimento”. Una repressione che si è specializzata per bloccare le proteste ma anche per prevenirle e che si è trasferita dalla piazza ai tribunali. Su quei fatti non c'è stata una commissione d’inchiesta e tutti gli imputati, si tratta anche dei massimi vertici di ps, non sono mai stati rimossi in attesa del terzo grado di giudizio che, per la Diaz, arriverà a giugno. I magistrati hanno subìto pressioni nel processo e nelle indagini. Abbiamo visto in azione due polizie: da un lato i “macellai" dei reparti celere, dall'altro gli alti funzionari, uomini di De Gennaro, con un buon curriculum. Gli avvocati dei poliziotti mettevano in scena l'aggressività di chi non sopporta l'idea di essere processato. Si è trattato, in quei giorni, di una sedizione a carattere militare cioè una roba preordinata in cui tutti contavano sull'impunità".

Dopo un decennio, il G8 di Genova è ancora un momento di riflessione sul “senso” della protesta perché laddove c’è stata repressione c’è stata la sospensione della democrazia.

Alla fine del documentario si è sviluppato un dibattito articolato moderato dal giornalista Checchino Antonini di Liberazione che ha sottolineato come "la violenza sia il motore primo di qualsiasi dispositivo di comando: credo che un ragionamento sulla violenza dello Stato non possa prescindere dal fatto che lo Stato colpisce per primo, criminalizzando poi ogni forma di conflitto verso chiunque metta in discussione l'ordine, come la violenza sulla Valsusa, dove ci sono i reduci dell’Afghanistan che presidiano un territorio e controllano un cantiere finto".

All’interno della discussione si sono sviluppati temi interessanti come l'assenza di reazione della comunità internazionale alla mattanza della Diaz, la repressione violenta dei diritti fondamentali dell’uomo per mano della polizia e lo scontro istituzionale che è avvenuto durante i processi nelle aule di tribunale tra pezzi di magistratura e tutto il resto dello Stato.

Tante domande: cosa è cambiato da Genova a oggi? Quale il livello di autorevolezza della nostra democrazia? Perché esiste una repressione meno visibile ma che ha prodotto oltre 8mila processi in questi ultimi anni per reati legati al conflitto sociale? A Genova è stato distrutto il movimento?

Domande ancora in attesa di risposte, da cui si comprende, come il mix di violenza di Stato e impunità, sia ancora il motore primo di ogni auto-legittimazione del potere costituito.

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