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Biografia di una rivoluzione

La psicanalisi si costituisce come teoria e prassi contemporaneamente ad opera di un solo ricercatore, Sigmund Freud, per questo risulta importante ripercorrerne le tappe della vita.

Con l’intenzione di ampliare i confini della ragione, Freud ne recupera gli scarti: il sogno, il lapsus, il sintomo, per questo la psicanalisi ci appare come l’estremo tentativo della ragione di annettere nel suo ambito anche gli elementi ad essa più estranei.

Sigmund Freud nacque il 6 maggio 1856 a Freiberg in Moravia (Cecoslovacchia) da una famiglia ebrea di commercianti in lana. Il padre Jacob si sposò tre volte ed ebbe figli dai diversi matrimoni. Come era consuetudine nelle famiglie ebree, vari nuclei familiari convivevano nella stessa casa per cui Freud nutre un notevole interesse per i rapporti famigliari così capaci di evocare i sentimenti infantili nei confronti di genitori in un misto di affetto e ostilità. Nel 1860 in seguito ad una grave crisi del commercio della lana, la famiglia si trasferì a Vienna, capitale dell’impero austriaco, una delle più vivaci ed intelligenti città d’Europa. Vengono emergendo nuovi ceti borghesi in cui trovano spazio gli ebrei e l’abolizione dei ghetti determinò uno scarto profondo tra le due generazioni e quella dei figli, che assaporava la libertà e l’integrazione, cominciava ad allontanarsi dalla comunità d’origine, dalla fede e dalle tradizioni. Il materiale di esperienza sul quale la psicanalisi si costituisce proviene in buona parte dall’ambiente ebraico e risente delle sue contraddizioni. Nei confronti della religione,
Freud da una parte si professa ateo, assumendo una posizione ideologica di netto rifiuto, dall’altra accetta le proprie determinazioni storiche, infatti è membro attivo dell’associazione ebrea liberale e vive all’interno della comunità ebraica viennese.

Alle origini della psicanalisi si coglie l’eco della cultura giudaica, del chassidismo, del misticismo ebreo organizzato intorno al sapere della cabala, ossia dell’interpretazione del senso intimo e segreto della Bibbia. La cabala è quindi un sapere segreto e come la psicanalisi richiede una prova di appartenenza che la differenzia dal consueto procedere scientifico. La famiglia di Freud, pur non raggiungendo mai la sicurezza economica, riuscì a garantirgli però la migliore istruzione. A soli 17 anni raggiunse “il matura” classico per aver tradotto brani di Virgilio e dell’Edipo re, e inoltre lesse Goethe e Shakespeare. L’entusiasmo per le teorie di Darwin e l’ascolto del saggio di Goethe sulla natura, lo convinsero a scegliere gli studi di medicina anche se seguì contemporaneamente lezioni del filosofo Brentano. Aveva l’esigenza di capire qualcosa del mondo che ci circonda e di contribuire in qualche modo a risolverne i problemi e gli enigmi. Insieme a Ernest W.von Brucke, che a Vienna rappresentava la prestigiosa scuola di von Helmholtz, intraprese gli studi sull’istologia delle cellule nervose inserendoli nella formulazione della teoria cellulare, uno dei maggiori problemi affrontati dalla biologia ottocentesca. Nel 1881 si laureò in medicina con la qualifica di “eccellente”, ma l’anno dopo, Brucke stesso gli consigliò di abbandonare la lunga e difficile carriera di ricercatore, data la sua modesta condizione economica. Accettato il suggerimento, svolse preventivamente, un lungo esercizio ospedaliero, lavorando per tre anni in diversi reparti. Nella clinica psichiatrica di Meynert avvicinò per la prima volta pazienti psicotici e nelle loro allucinazioni intravide un germe di quella che sarà poi la teoria dell’appagamento del desiderio. Nel 1885 fu nominato specialista in malattie nervose e grazie a una borsa di studio raggiunse Parigi per seguire le lezioni del celebre clinico Charcot.

Questo incontro rappresentò il convergere di due filoni della ricerca psicologica, quello sperimentale, dei laboratori di lingua tedesca, e quello clinico, dell’ospedale psichiatrico che aveva nell’ipnotismo il suo metodo. Il suo interesse per la psichiatria è dettato anche dall’incapacità della scienza dell’uomo e della natura di rispondere agli “enigmi del mondo” che gli derivavano dalla cultura romantica e a cui Freud tentò di rispondere con il rigore dell’empirismo, come faceva negli stessi anni Fechner, fondando la nuova psicologia scientifica. La psicologia moderna nasce da una rottura deliberata con la filosofia spiritualistica e sotto l’urgenza della teoria positivistica della scienza. Basta conoscere la vita di Fechner per capire che la rigida divisione tra filosofia e scienza non è mai stata risolta e che la psicologia è continuamente attraversata da esigenze contraddittorie. Il sogno di Fechner era l’inesausto desiderio di una scienza totale, di un modello unitario che inglobasse al tempo stesso, lo spirito della natura. La stessa teoria psicofisica di Fechner, che sta alla base della psichiatria sperimentale, nasce dall’esigenza di trovare l’unione tra mondo fisico e spirituale ed esprimerlo in una legge matematica. Gran parte degli elementi che costituiranno il quadro teorico della psicanalisi sono già presenti nella speculazione di Fechner. Ma l’opposizione alla speculazione filosofica e l’adozione del metodo sperimentale non garantirono alla nuova psicologia scientifica una vera unità. Questa disciplina è tuttora combattuta tra il sottomettersi al rigore oggettivo delle scienze della natura da un lato, e dar conto della complessità, mutabilità e irripetibilità dell’esperienza umana dall’altro, nella difficoltà di fissare un oggetto proprio della psicologia. Al termine del secolo scorso, l’oggetto della psicanalisi era stato ridotto a fenomeni psichici elementari, atomi di percezione, unità minime, esprimibili in termini matematici, cumulabili e generalizzabili in un sistema di leggi capaci di fissare il funzionamento della vita psichica dell’uomo maschio, adulto, normale, borghese, escludendo la fantasia, l’irrazionalità, l’emarginazione sociale, la patologia, la femminilità.

Freud incontra nelle corsie della Salpetrière proprio l’isterica, prodotto elettivo della società e della cultura dell’800. La medicina classica considerava l’isteria una patologia tipicamente femminile, ma Freud dimostrò che poteva essere anche maschile, attribuendola non solo a malformazioni o disfunzioni uterine e lo psichiatra Charcot la elesse fenomeno scientifico, ma non aveva però un modello psicologico funzionale al quale fare riferimento. Da una parte, considerava la sintomatologia isterica, per assenza di lesioni organiche, come effetto di suggestione e di simulazione, dall’altra, la elevava al livello di determinazione delle affezioni neurologiche. Freud riuscì a trattare l’isteria come una morbosità specifica che comporta cause specifiche. Tornato a Vienna cercò invano di diffondere le nuove teorie psicanalitiche nell’ambito medico e, iniziata l’attività professionale, riconobbe ben presto come inefficaci le terapie più diffuse per i disturbi nervosi: l’idrologia (acque termali), l’elettroterapia (correnti elettriche) e anche l’ ipnotismo per i suoi effetti momentanei e sporadici. Il sintomo isterico si situa fuori dal perimetro scientifico classico e Freud, proseguendo gli studi neurologici, continua ad interrogarsi sul rapporto tra il disturbo psichico ed il substrato organico, avendo noto che la paralisi isterica differisce da quella organica perché la sua distribuzione non rispetta l’anatomia, ma risponde ad un concetto psichico di corpo. L’unico modo per raggiungere il nucleo psichico patogeno è la suggestione ipnotica, ossia il rievocare, da parte dei pazienti, avvenimenti accaduti, che, dopo l’ipnosi, si scordano. Freud capisce che è possibile recuperare così i contenuti psichici che si credevano perduti. Quanto più il suo interesse si allontana dai sintomi organici, tanto più investe il campo della parola, nel rapporto tra medico e paziente, il cui legame con il sintomo si rivela inquietante.


Un paradigma di spiegazione scientifica: l’isteria.

Tra le figure importanti nella storia della psicanalisi e nella vita di Freud vi è Josef Breuer, importante medico della comunità ebraica di Vienna, ammirato da Freud e che narrò a Freud della terapia alla quale stava sottoponendo una giovane paziente, Anna O., ed è proprio da questa narrazione che si fa discendere la psicanalisi. Breuer interrompe la terapia perché, come Anna, non accetta le proprie pulsioni erotiche o aggressive perché le ritiene incompatibili con l’immagine idealizzata di sè che la cultura richiede, cercando di non coinvolgersi emotivamente, di preservare la neutralità del medico di fronte alla terapia. Ma mentre questo poteva funzionare per l’ipnosi, che esige comportamenti passivi, la stessa illusione non poteva valere per la terapia di parola che richiede la partecipazione attiva di entrambi, ossia medico e paziente.

Freud vide in questa relazione affettiva l’asse portante del processo terapeutico. Solo accettando la propria sessualità, il medico può aiutare l’altro a risalire ai suoi traumi sessuali, a riconoscerli, ad accettarli, inserendoli nella sfera cosciente. Grazie all’affettività del rapporto terapeutico (traslazione e in seguito transfert) è possibile che il paziente abbandoni le proprie difese. Questo atteggiamento terapeutico attribuisce voce alla sofferenza organica, (il sintomo verrà da Freud chiamato “discorso d’organo”). Quindi determinando la rottura della tradizionale dicotomia tra l’anima e il corpo, si materializza lo psichico, si psicologizza il corpo. Mentre l’ipnosi sembrava la terapia più adatta al proletariato, abituato alla sottomissione e all’obbedienza, l’analisi psichica apparire invece più idonea per pazienti colti che volevano essere i protagonisti della loro cura. La loro sofferenza è soprattutto l’insofferenza, il disagio sociale, come nel caso di Anna, la cui educazione morale, il costume, non le permettevano l’assunzione della propria sessualità. La sessualità femminile era soggetta ad una duplice interdizione, in quanto sessualità e in quanto femminile, che si opponeva all’angelicità della donna come figlia, sorella, moglie, madre. Questo atteggiamento di censura blocca la normale espressione e la incanala nelle forme patologiche del sintomo. Freud vede il sintomo come l’estremità di una matassa con all’estremo opposto il trauma. Cercando di collegare l’avvenimento psichico ad un fatto organico, sembra sottovalutare le determinanti sociali e culturali della malattia e non riconoscere la specificità della condizione femminile. Egli comprende però che la sofferenza nevrotica che si identifica con la condizione femminile, non può essere completamente risolta. Nel 1896, la ventennale amicizia fra Freud e Breuer si interruppe bruscamente e soprattutto per un dissidio riguardo alle cause dell’isteria, che Freud attribuisce prevalentemente a fattori sessuali, mentre Breuer rifiuta il primato della sessualità. Successivamente intraprende una nuova relazione intellettuale prettamente epistolare con Wilhelm Fliess. Delle numerose lettere scritte tra il 1887 e il 1902, ci sono rimaste solo quelle di Freud, recuperate dall’allieva Marie Bonaparte, che si rifiutò di distruggerle. Emerge dal carteggio che i notevoli contributi teorici psicanalitici contenuti non sarebbero stati possibili senza l’attenzione intellettuale ed affettiva tra i due che ora riconosciamo come transfert. L’amicizia con Fliess ha inizio in un momento particolarmente amaro per Freud e Fliess aveva le caratteristiche adatte per sostituire Breuer e rappresentare l’”altro”, il suo ideale. In comune avevano l’appartenenza ebraica, gli studi di medicina, la formazione scientifica e l’ammirazione, la sopravvalutazione dell’altro, la dipendenza intellettuale, e il desiderio di essere accettato e stimato sono rivelabili fin dalla prima lettera di Freud.

Durante la collaborazione con Breuer, il rapporto del terapeuta con il paziente risulta decisivo, manipolatorio: attraverso l’ipnosi egli riattiva i processi psichici connessi agli stati morbosi sino a scaricarli attraverso l’attività cosciente su un soggetto reso il più possibile inerte e passivo. Freud comincia a distaccarsi da questa posizione, rinunciando all’ipnosi, ma continua a sollecitare il ricordo con un ordine autoritario poggiando la mano sulla fronte del paziente quasi a trasfondergli energia. Il campo indagato è quello del ricordo o meglio del suo fallimento. Freud sottolinea il rapporto tra l’attualità del sintomo e la rappresentazione del passato. Proprio dalla ricostruzione del passato, ricercando i fattori traumatici nelle esperienze infantili, Freud crede di costruire un modello applicativo definitivo: le isteriche hanno sofferto, nel corso della prima infanzia, di fantasie di tentativi di seduzione da parte del padre. Seduzione subita, stando ai racconti delle pazienti, in epoca talmente precoce che il trauma spesso non è immediatamente patologico, in quanto il bambino è troppo piccolo e non può recepirlo psichicamente. Resta allora incistato come un corpo estraneo che diventerà nocivo solo in seguito, quando, con la pubertà, sarà investito da energie sessualizzate. Accade a volte che nella pubertà ai tratti associativi si colleghino una esperienza attuale con quella remota rimettendo in circolo le energie del trauma che solo allora divengono patologiche, per cui l’effetto produce la causa. Freud riesce così a rimanere fedele alla natura sessuale del trauma e a rimanere fedele, e sostenere al tempo stesso, l’innocenza della prima infanzia. Nel corso dell’autoanalisi, Freud coglie che il transfert è la riedizione dei primi rapporti affettivi.
Presto comprese che gli avvenimenti traumatici riferiti dalle isteriche non erano necessariamente accaduti realmente, ma pensati, immaginati, vissuti sulla scena dello psichico, producendone i propri effetti. Appare chiaro che traumatizzante è il ricordo, non l’evento stesso, e accanto alla realtà obiettiva, viene riconosciuta una realtà psichica avente pari dignità e determinazione.

Il concetto di verità si discosta da quello di realtà divenendo una qualificazione di ciò che è vissuto anche inconsciamente all’insaputa del soggetto. Così la verità non è immediatamente evidente, ma può essere ricostruita dai sintomi. La realtà della psicanalisi è nella catena associativa che si crea grazie a ciò che Freud denomina “regola fondamentale”: lasciare che il paziente segua il filo del discorso, il concatenarsi, apparentemente casuale, che conduce di parola in parola fino al vuoto lasciato dalla censura prodotto da una resistenza. Freud conduce questo itinerario di ricerca sui pazienti e contemporaneamente su se stesso e nel corso dell’analisi originaria si delinea quella che sarà la struttura portante della psicanalisi: l’Edipo.
Il bambino preso nella trama dei rapporti familiari, elaborati dai suoi affetti, siano essi d’amore o di odio, sarà indotto a rispondere con amore al genitore di sesso opposto e con odio a quello del proprio sesso. Più Freud sottopone ad analisi il suo rapporto con Fliess, più si allenta il transfert che lo aveva legato all’amico; più Freud approfondisce la propria autoanalisi tanto più si rende indipendente dall’amico. Il termine dell’analisi è costituito dalla risoluzione del transfert. Freud vivrà a Vienna fino al 1939 quando si trasferì esule a Londra per sfuggire alle persecuzioni naziste e vi morirà dopo una lunga e atroce malattia all’età di 83 anni.



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