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Bambini soldato: il difficile ritorno alla vita

 

In troppi Paesi si scopre ancora una terribile realtà che coinvolge le più piccole e indifese vittime della guerra. Doppiamente vittime in quanto, oltre alla tragedia della guerra che subiscono insieme alle loro famiglie, sono costretti a vivere anche una tragedia personale dalla quale molti non si riprendono più. I racconti che arrivano dalle zone di guerra sono agghiaccianti, la vittima e il carnefice diventano la stessa persona, nessuno è completamente buono o completamente cattivo, la guerra contamina tutto ed è l’unica vincitrice di un’apocalisse quotidiana.

Nel Congo decine di migliaia di bambini e bambine, secondo dati Unicef, sono stati costretti all’arruolamento dopo essere stati rapiti con blitz e agguati in cui spesso hanno visto morire i genitori. Tante testimonianze sono state raccolte tra i ragazzi che hanno agito nel Ruf, il Fronte Rivoluzionario Unito della Sierra Leone, che dal 1991 al 2002 ha combattuto una guerra civile per prendere il potere nel Paese. Il Ruf divenne tristemente famoso per gli atti di efferata crudeltà di cui si resero autori bambini e ragazzi. Nel libro Disegni di guerra (ed. Emi) è possibile leggere molte testimonianze di ragazzi che ricordano di aver fatto uso costante di droghe, che si credevano invincibili e a cui veniva insegnato a essere crudeli e senza pietà.

Come il giorno in cui un gruppo di ragazzi che militavano nel Ruf rubarono delle divise dell’ECOMOG, una forza armata multilaterale di difesa dell’Africa occidentale. Con quelle divise addosso i ragazzi invasero un villaggio gridando di esultanza per la liberazione dai ribelli del Ruf e la gente credeva loro e usciva dalle proprie case. Ma quando la gente si fu avvicinata iniziarono a sparare su tutti, ridendo e schernendo le vittime, con la sola convinzione che più si ammazza più si è degni di rispetto. Un altro atroce rito di cui i ragazzi e i bambini sono stati spesso protagonisti era quello delle amputazioni inferte ai nemici catturati, operazione che toccava eseguire con un machete al capo del gruppo. Mentre i maschi venivano addestrati a uccidere e a spargere terrore, le femmine venivano costrette a lavorare o a diventare schiave del sesso.

 

Molti programmi di recupero sono stati attivati, per consentire a ragazzi e ragazze ex soldati di potersi riavvicinare alla famiglia e al proprio villaggio, ma queste operazioni di recupero, se non condotte con la mediazione adeguata e la preparazione delle persone del villaggio, rischiano di causare ulteriori gravi traumi a causa del rifiuto che la comunità di appartenenza dei ragazzi esprime nei loro confronti. Molti ragazzi si sono così trovati a unirsi nuovamente a gruppi di soldati oppure a organizzarsi tra loro in bande armate, non avendo più una famiglia che li volesse riaccogliere.

Il lungo e difficile cammino per il reinserimento passa dalla scuola e dalla rigorosa formazione degli insegnanti che si devono trasformare in mediatori familiari e sociali per riuscire a non espellere dalla scuola i ragazzi ex combattenti che soffrono di gravi problemi di relazione. Questi ragazzi hanno estremo bisogno di assistenza medica e psicologica in quanto le modalità di reclutamento e di sfruttamento subite hanno lasciato gravissime turbe psicologiche, con gravi ripercussioni nella vita quotidiana, oltre a problemi di carattere fisico specie per le ragazze, che portano squilibri fisici e ormonali e malformazioni all’apparato genitale.

Il ritorno alla serenità e all’autostima è sempre difficile, per alcuni impossibile, ma abbandonare questi ragazzi sarebbe un ulteriore sopruso. Le traumatiche esperienze vissute a causa della guerra durante gli anni dello sviluppo hanno profondamente condizionato la loro crescita neurologica naturale e il loro comportamento istintivo. Devono essere completamente “ricondizionati” per apprendere i comportamenti socialmente compatibili e abbandonare i comportamenti ritenuti normali imparati durante la guerra.

Questa assistenza psicologica spesso è di difficile attuazione poichè mancano i fondi per avvalersi di operatori specializzati, pertanto tocca agli insegnanti locali agire da operatori e assistenti sociali, a fare da tramite tra i ragazzi che vanno reinseriti e le loro famiglie di origine, tra i ragazzi che si macchiano di reati e le autorità che ricevono le denunce. Un lavoro difficile ma cui non si può rinunciare se non al prezzo di perpetrare ancora un nuovo abuso con l’abbandono.

 

Delia Dorsa per Segnali di Fumo, il magazine dei diritti umani

Questo articolo è stato pubblicato qui

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