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Bahrein, forse domani si decide la sorte di al-Khawaja

Iniziato l’8 maggio, ripreso il 22 e poi aggiornato a domani, che potrebbe essere, finalmente, il giorno decisivo del processo contro 13 attivisti del Bahrein. Lo sperano le organizzazioni per i diritti umani e tutte le persone che nel mondo hanno accompagnato con i loro appelli e la loro solidarietà la vicenda di questo gruppo di detenuti e lo sciopero della fame di Abdulhadi al-Khawaja, che ha ampiamente superato i 100 giorni.

Martedì scorso, al-Khawaja si è presentato in aula, di fronte ai giudici dell’Alta corte penale d’appello, incaricata dalla Corte di cassazione di rivedere nuovamente il caso. Siccome l’8 maggio il processo era stato rinviato a causa della sua assenza e di un altro imputato, a sua volta in cattive condizioni di salute, stavolta ha voluto e dovuto esserci: in sedia a rotelle, accompagnato da un medico e da due infermieri.

Con la voce tremolante, al-Khawaja ha raccontato ancora una volta le torture e gli abusi sessuali subiti durante le prime settimane di detenzione.

Ricordiamo brevemente la vicenda di questo difensore dei diritti umani, già esponente dell’Organizzazione non governativa Frontine Defenders, e di altri 13 attivisti e oppositori non violenti della monarchia di Hamad bin ‘Issa al-Khalifa. Uno di loro ora libero, come vedremo più avanti.

Gli arresti avvengono al culmine della repressione, dopo che la “Tahrir” del Bahrein, piazza della Perla nella capitale Manama, è stata sgomberata con folle violenza dalle truppe reali. Vengono eseguiti di notte, tra il 17 marzo e il 9 aprile del 2011, da uomini armati che irrompono nelle abitazioni, sfasciano tutto e portano via i ricercati. Gli interrogatori e le torture avvengono nel corso del primo periodo di detenzione, in isolamento, presso gli uffici dell’Agenzia per la sicurezza nazionale. Alcuni prigionieri incontrano per la prima volta i loro avvocati e familiari solo all’inizio del processo di primo grado, di fronte alla Corte per la sicurezza nazionale, un tribunale militare, a maggio.

Il 22 giugno, gli imputati vengono condannati per svariati reati tra cui “costituzione di gruppi di terroristi con l’obiettivo di rovesciare il governo reale e cambiare la costituzione”. Hassan Mshaima’, ‘Abdelwahab Hussain, ‘Abdel-Jalil al-Singace, Mohammad Habib al-Miqdad, Abdel-Jalil al-Miqdad, Sa’eed Mirza al-Nuri e Abdulhadi al-Khawaja vengono condannati all’ergastolo; Mohammad Hassan Jawwad, Mohammad ‘Ali Ridha Isma’il, Abdullah al-Mahroos e Abdulhadi ‘Abdullah Hassan al-Mukhodher a 15 anni; Ebrahim Sharif e Salah ‘Abdullah Hubail al-Khawaja, fratello di Abdulhadi, a cinque anni; Al-Hur Yousef al-Somaikh a due anni.

Nel tragitto dall’aula del tribunale al carcere, i 14detenuti vengono picchiatiperché hanno rifiutato di chiedere scusa al re.

A settembre, il primo processo d’appello. Secondo un osservatore di Amnesty International, presente alle udienze, non viene presentata in aula alcuna prova che indichi che i 14 imputati hanno usato o incitato a usare violenza. Il 28 settembre, la Corte d’appello per la sicurezza nazionale conferma le condanne emesse in primo grado. 

Nei mesi successivi, Al-Hur Yousef al-Somaikh otterrà una riduzione della pena a sei mesi e sarà scarcerato il 30 aprile di quest’anno.

A febbraio, Abdulhadi al-Khawaja inizia lo sciopero della fame per protestare contro la sua condanna. Il suo caso inizia a diventare famoso e della repressione in corso in Bahrein il mondo finalmente se ne accorge, anche grazie alle polemiche che accompagnano il Gran Premio di Formula 1.

Le figlie di al-Khawaja, Mariam e Zainab sono al suo fianco, insieme alla moglie Khadija: lanciano appelli, promuovono sit-in, entrano ed escono dal carcere (Zainab è tuttora detenuta).

Il 14 maggio, dopo giorni di alimentazione forzata, al-Khawaja viene riportato nella prigione di Jaw. Ha accettato di aumentare la quantità quotidiana di nutrienti liquidi. Divide una cella con suo fratello ed è seguito dal medico e dai due infermieri che il 22 maggio lo accompagneranno di fronte ai giudici.

Speriamo che domani sia davvero la volta buona.

Del caso di al-Khawaja, della rivolta del Bahrein e delle altre rivolte del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, si parlerà oggi pomeriggio a Milano, alla Sala Buzzati, a partire dalle 17, in un convegno organizzato dalla Fondazione Corriere della Sera e da Amnesty International Italia.

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