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Bad bank a prezzi di mercato, che fare?

Post lievemente tecnico ma nel complesso abbordabile anche da non specialisti. Per tutto il resto, avete l’uscita dall’euro e la stampa di certificati di credito fiscale, oltre al Lego

Oggi sul Sole un commento di Carlo Alberto Carnevale Maffè e Franco Debenedetti tenta di superare lo scoglio (o meglio l’incaglio, per restare in tema) della bad bank per proporre una soluzione “di mercato” ed armonizzata alla direttiva europea sul bail-in al problema di sofferenze e ricapitalizzazione delle banche. nel momento in cui leggiamo editoriali che oscillano tra il cospirazionista e l’etilico, questa è una boccata d’aria fresca. Ma i problemi e le contraddizioni tendono a persistere.

Il punto centrale è: a che valore spostare nella bad bank il valore delle sofferenze bancarie, dato che il presumibile valore di mercato manderebbe in dissesto molte banche e dato che il valore netto di libro rischia di essere irrealistico ed aprire un contenzioso con la Ue per aiuti di stato. Analogo rischio per le “garanzie pubbliche a valore di mercato”, sui cui attendiamo trepidanti di conoscere il meccanismo.

La proposta di Carlo Alberto e Debenedetti è una sorta di bail-in “non traumatico”, nei limiti in cui sia possibile ottenere una cosa del genere. L’intervento si articolerebbe in due punti:

– fissare un obiettivo di copertura dei crediti in sofferenza in linea col mercato;

– deliberare, per coprire la conseguente perdita prevista nel bilancio, un adeguato aumento di capitale e, per l’eventuale inoptato, la conversione prima di tutto delle obbligazioni subordinate, e, ove non bastasse, di parte delle obbligazioni senior, con rapporti di concambio incentivanti, legati a possibili clausole di lock-up;

Che problemi implicherebbe, una simile proposta? Intanto, che il “buco” di capitale indotto dal “valore vero” di realizzo delle sofferenze non lo conosce nessuno, e puntare a valori “in linea col mercato” riporterebbe al via, in questo infernale gioco dell’oca, dove banche e banchieri giocano a nascondino e con un comunicato proclamano che “il sistema è sano” mentre con una telefonata a Palazzo invitano a “fare presto”, soprattutto dopo gli “avvertimenti” giunti dal mercato (e no, non sono “komplotten“, solo “visioni” di quanto potrà accadere ove mancasse il lieto fine).

Definito il punto 1, anche se non sappiamo come, si passa al 2, cioè all’esecuzione. Coniugando l’antico concambio tra crediti e capitale proprio (debt-equity swap) con cui di solito si risanano aziende dissestate, cioè trasformare i creditori in azionisti. Nel caso delle banche, gli obbligazionisti subordinati (in alcuni casi anche quelli senior) diverrebbero azionisti delle banche. Questo è il tentativo di trasformare un grande trauma in opportunità ma avremmo qualche dubbio circa la riuscita e la possibilità di evitare quello stesso panico che ha sin qui guidato il post-risoluzione delle quattro banche italiane commissariate.

Tutto è finalizzato ad “acquistare tempo” e a permettere agli obbligazionisti di poter almeno sperare di rivedere il proprio investimento, in futuro, magari maggiorato in caso le cose andassero bene. Oltre al panico, difficilmente governabile (secondo chi scrive), bisognerebbe tenere in considerazione che questa operazione sarebbe ferocemente diluitiva dei gruppi di controllo delle banche, che quindi cercherebbero di opporsi con ogni mezzo. Vero che, col bail-in “regolare”, gli azionisti sono spazzati via, quindi la soluzione Maffè-Debenedetti sarebbe teoricamente migliore per gli azionisti pre-esistenti, ma serve anche considerare che gli stessi lotterebbero con le unghie e con i denti (sino al dissesto) prima di accettare la diluizione. E un’eventuale ipotesi di trasformare i bond subordinati in azioni privilegiate (ad esempio con dividendo maggiorato in cambio dell’abbandono dei diritti di voto, per tutelare i gruppi di controllo pre-esistenti) rischierebbe di essere economicamente insostenibile, riportando alla casella di partenza.

Cosa proporrebbe, invece, il vostro titolare? Una cosa simile alle azioni di asset reliefutilizzate dalla Germania per le proprie banche alcuni anni addietro. La procedura è descritta qui, la adattiamo al caso specifico:

  1. Un panel di esperti indipendenti e operatori di mercato valuta le sofferenze delle singole banche; a tale valore è possibile applicare uno sconto aggiuntivo per “perdite inattese”;
  2. Che accade se tale “valore presumibile di mercato” è inferiore a quello netto di libro della banca venditrice? Che quest’ultima può comunque cedere la sofferenza al veicolo (se mai si farà un veicolo) al proprio prezzo, con al più uno sconto obbligatorio prudenziale, diciamo del 10%;
  3. In questo caso, però, l’eventuale differenza tra prezzo di trasferimento delle sofferenze e loro “valore fondamentale” dovrà essere ripagata ogni anno, utilizzando gli utili di bilancio della banca che cede la sofferenza, e possa essere rateizzata in un arco temporale ragionevole, diciamo 20 anni oppure anche oltre, in caso di perdite impreviste successive sulla sofferenza ceduta. Per questo servizio, la banca cedente deve pagare allo stato una commissione di garanzia (fee)

Come detto, questa operazione equivale ad un aumento di capitale garantito dallo stato, ma con la componente di mercato data dalla valorizzazione a prezzi di verosimile realizzo. La componente di condivisione dell’onere (burden sharing) resterebbe attiva, nella eventuale differenza tra prezzo di conferimento della sofferenza alla bad bank e prezzo di effettivo realizzo delle sofferenze, con tutto il tempo necessario per evitare liquidazioni sacrificate delle medesime. Non sarebbero aiuti di stato ma solo una anticipazione pubblica di capitale, da recuperare a valere sugli utili futuri della banca interessata.

Ed ora, attendiamo i dettagli operativi della bad bank a “efficace e leggera”, con garanzia pubblica “a prezzi di mercato”, anche se non è ancora chiaro di che si tratti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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