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Azienda-Sanità: svalorizzare il lavoro di cura

di Luigi FOSSATI – MovES

Processo di valorizzazione e successiva svalorizzazione del lavoro del singolo Operatore, inserito in un Gruppo di Lavoro, una Equipe, dalla nascita delle Aziende Sanitarie. Sono “nato” professionalmente grazie ad un gruppo di lavoro originatosi in un grosso comune della provincia di Milano che aveva inizialmente un mandato di natura apparentemente assistenziale e settoriale, descritto dal nome stesso del Centro dove ho prestato la mia opera per un decennio: AIAS, Associazione Italiana Assistenza Spastici.

Il desiderio di andare alla sostanza dei problemi della sanità via via emergenti, ha permesso alle persone che vi hanno lavorato di travalicare sia la dimensione assistenzialistica sia quella settoriale enunciati dalla sigla del “datore di lavoro”.
Quale fu la natura di tale “sostanza” che ebbe il potere di valorizzare il lavoro di coloro che vi si interrogarono e molto probabilmente anche le persone che percorsero insieme un decennio di pratica professionale? Alcune “parole chiave”: Cura-Relazione-Conoscenza-Integrazione-Globalità dell’Essere.
Tradotto: benessere e qualità della vita del paziente.
Questo più di trent’anni orsono.

Oggi l’opera di un gruppo di lavoro analogo, è costretta a declinarsi in questo modo: Prestazione Sanitaria-Valutazione strumentale – Parcellizzazione Testistica-Sanitarizzazione-Analisi delle Funzioni-Efficienza.
Tradotto: massimo rendimento con la minima spesa.

È evidente che il valore (non la retribuzione, che è altro argomento di valorizzazione) dato ad un Operatore indotto a “normalizzare” attraverso “prestazioni sanitarie”, sia differente da quello impegnato a “Curare” attraverso continue interazioni tra “mondi” apparentemente distanti e spesso assai sofferenti.

Un conto è il mondo delle sensazioni, degli affetti, delle emozioni, delle relazioni famigliari e sociali, cucendo e stabilizzando pazientemente legami di significato molto frequentemente appena intuibili e sempre fugaci.


Un conto è ciò che invece accade oggi.

Assisto, infatti, in questo ultimo decennio ad un parallelo mutare del nome delle Strutture sanitarie Pubbliche (e, si noti, solo quelle pubbliche), denominate in varie salse “Aziende”, al nominare la clinica e le procedure che la riguardano, nella progressiva svalorizzazione delle capacità progettuali degli Operatori di Base (quelli a diretto e continuativo contatto con i Pazienti).

Essi sono il pilastro della Sanità orientata al benessere della persona, in favore, invece, della creazione di una pletora di quadri intermedi, con apparenti funzioni di coordinamento, più spesso con reali funzioni di controllo e normalizzazione dell’ordine gerarchico dettato dai vertici amministrativi.

Il processo di aziendalizzazione delle Strutture Sanitarie, sottolineo, Pubbliche, ha comportato, più ancora del fatto visibile dei ticket, l’induzione ad un sostanziale mutamento della forma mentis di chi si occupa di riabilitazione in età evolutiva (si intende con ciò un arco di vita dalla nascita ai 18 anni compiuti, una serie di “universi” esistenziali…), ma, suppongo, anche di altre branche della medicina.

L’idea dell’operatore di trent’anni orsono era quella della “missione”, indotta dai sistemi dominanti dell’epoca, di stampo cattolico, fortunatamente controbilanciati da potenti istanze democratiche (intese in questo caso come ricerca di una alleanza con la persona che chiede di essere curata) ed antipsichiatriche, sia nell’area della salute mentale adulta (Basaglia) sia della riabilitazione Infantile (Milani-Comparetti, Aucouturier, Bottos, ecc).

Oggi l’idea dominante è invece quella di “fatturare a favore dell’Azienda” che solo in ultima istanza finisce con al’avere la mission di “curare”.
È evidente l’esproprio compiuto ai danni della relazione Operatore-paziente, che diviene nè più nè meno, prodotto finito, quindi merce.

Il guaio è che NON ESISTE PIÙ alcuna istanza equilibratrice, se non nelle “isole resistenti” di Operatori più o meno miei coetanei, frequentemente visti come “archeologia del sistema sanitario” o come “inutili e verbosi contestatori” e perciò messi in un angolo dal punto di vista progettuale.
Non viene attaccato il “cuore” della specifica prestazione professionale, MA viene reso poco coerente l’intorno.

A proposito di “coerenza dell’intorno”, in un tempo ante-aziendalizzazione erano possibili e incentivati (mai economicamente, comunque) progetti di integrazione “sul campo” che prevedevano l’interazione di Operatori dell’area sanitaria, Insegnanti ed eventualmente Volontari del mondo associazionistico (Scout, Oratori, Centri Giovanili…) a favore della creazione di contatti tra area “dell’agio” e del “disagio”, della socialità con la potenziale asocialità e ora ciò è progressivamente reso impossibile.

L’interrogativo di fondo non è più “stiamo lavorando per nostra ambizione personale o per dare dignitosa esistenza a chi ne ha diritto?”, bensì per “Chi paga chi?”.

È evidente che in Sanità sono campi epistemologicamente ed operativamente molto distanti e tutto verte alla svalorizzazione di ciò che è l’essere umano, sia esso paziente od operatore.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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