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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Arto Lindsay al teatrino di Palazzo Grassi e a Punta della Dogana

Arto Lindsay al teatrino di Palazzo Grassi e a Punta della Dogana

C’era, come già annunciato da tempo, dato l’ingresso libero su prenotazione, il tutto esaurito per il concerto di ‘Arto Lindsay Band’ . Eppure, la dirigenza di Palazzo Grassi ha messo in lista d’attesa chi si era recato un’ora prima davanti all’ingresso del teatrino, consentendogli di entrare, trovare un posto comodo, mentre chi aveva diritto – una parte almeno, addetti ai lavori compresi – ha rischiato di rimaner fuori e, una volta entrato, si è trovato in un’atmosfera irrespirabile, a dover ascoltare il concerto all’in piedi o a terra, innervosendosi e uscendone fisicamente provato.

Ciò premesso, Arto Lindsay è stato il secondo artista ad essere invitato da palazzo Grassi - Punta della Dogana, ma scelto dalla direzione artistica del teatro Fondamenta Nuove, per la rassegna “Carte Blanche”. Americano di nascita, trasferitosi giovanissimo in Brasile, a seguito dei genitori missionari, da tempo residente a Rio de Janeiro, Lindsay ha messo a punto un’esibizione che prevedeva, pressochè per metà, l’esecuzione di brani famosissimi della “Musica popular brasileira” (d’ora in avanti MPB), cantati in portoghese come nelle versioni originali, intercalati con altri composti dal leader, cantati in inglese. La sua proposta musicale parte con originalità dal samba e dalla bossa nova, inserendovi una serie di elementi di generi sorti a partire dagli anni ’80 come Punk, No Wave, assieme ad una passione per l’elettronica , il rumore, i suoni di disturbo (“Noise”). Forse egli si compiace in tal modo di spezzare quella malinconia emotiva che caratterizza il samba nella MPB.

Intonato, ma dotato di una voce esile, quando con la chitarra a tratti si diverte a rompere la tenerezza, la calma, il calore di un brano, provoca nel pubblico o una sensazione di fastidio oppure una totale accettazione. Proprio quest’ultima sembra aver prevalso a Venezia, durante un concerto di circa 75 minuti, 13 canzoni e due bis. A chi scrive, le canzoni originali sono apparse prive di interesse e di mordente. Molto meglio le rivisitazioni di brani già esistenti, alcuni poco visitati. In particolare gli va attribuito il merito di aver inserito nel suo repertorio una canzone di Oscar da Penha (Salvador de Bahia 1924-1997), meglio conosciuto come “Batatinha”, “patatina”, con riferimento ad un grazioso naso, uno dei maggiori sambisti del Brasile. La scelta è caduta su ‘Imitaçao’, malinconico samba lento, portato al successo da Maria Bethania, per chi non lo sapesse, sorella di Caetano Veloso. Con il samba/cançao ‘Alegria’, Lindsay ha continuato a rendere omaggio ai grandi sambisti. In questo caso ad Angenor de Oliveira, in arte ‘Cartola’ (1908-1990), ossia “cappello a cilindro”, direttore di armonia della scuola di samba “Estaçao Primeira da Mangueira “, una delle più amate di Rio de Janeiro. Legata all’amore per la Mangueira è anche ‘Estaçao Derradeira’, composta da Chico Buarque de Hollanda, uno dei massimi compositori, nonché scrittore, ascoltata dopo un immancabile omaggio allo sterminato canzoniere di Antonio Carlos “Tom” Jobim, dal quale Lindsay ha interpretato, in maniera lentissima, ‘Esse seu olhar’. Ecco, il rifare in maniera oltremodo lenta molte canzoni del passato è stata la caratteristica principale, oltre al divertirsi con gli interventi elettronici di disturbo, della serata veneziana. Accanto a lui, l’elegante chitarrista acustico, Luis Felipe de Lima, indispensabile virtuoso con uno strumento a 7 corde e il percussionista Marivaldo Paim, che ha suonato una lunga teoria di strumenti : tre congas, un tamburo rullante, un tamburim, un paio di pandeiro, un cajon, e tre pad elettronici che riproducevano sia i due suoni fondamentali del surdo (l’aperto e il chiuso), il membranofono a due pelli di varie misure, presenza essenziale nel samba, sia quelli più acuti dei repinique, membranofoni monopelle di dimensioni minori. Di fronte al trio di musicisti, ha interagito con mixer e computer Stefan Brunner, responsabile di effetti e di espandere il suono nello spazio, modificando a volte quello di Lindsay, che ha utilizzato per la sua chitarra biancoazzurra una pedaliera per la scelta dei suoni. Molti giovani dal volto beato, e gli stessi appartenenti al servizio d’ordine, hanno improvvisato un difficile approccio alla danza, tra la gente distesa, ponendo fine ad una serata indimenticabile, ma nello stesso tempo da dimenticare.

Del tutto inutile l’incontro, per il cui contenuto era stato mantenuto il mistero, tra Lindsay e l’artista coreana Aicka Yi, il pomeriggio seguente negli spazi di Punta della Dogana, dove è in corso la mostra “Slip of the tongue”. Lo spunto, una conversazione di odori e di suoni, ha portato i due ad una performance conclusiva nella quale una serie di piccole lumache vive – è così che l’arte rispetta gli animali? – sono state collocate da Lindsay lungo le mani, le braccia e il collo di Anicka Yi, in piedi con gli arti superiori in posizione orizzontale. Sguardi perplessi in sala, abbozzi di sorriso, nessuno è sembrato cogliere il significato di ciò che stava succedendo. Come spesso succede anche nei concerti brutti, un applauso finale non si nega a nessuno e dunque Anicka e Arto si sono fatti immortalare dai telefonini, mentre qualcuno pensava di portarsi a casa, per motivi è da supporre edibili, il grande sacchetto colmo di piccoli, indifesi animali, che erano stati collocati nel corso della performance in grandi terrine rosse di plastica.

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