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Art. 18, la consulta boccia il quesito: una decisione politica

Alla fine è successo quello che speravamo non accadesse. Chiamata ad esprimersi sull’ammissibilità dei quesiti referendari, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito sull’articolo 18, lasciando in piedi quello sull’abolizione dei voucher e quello sulla responsabilità sociale negli appalti.

A quest’ora probabilmente, nelle stanze di Governo come nei consigli di amministrazione delle grandi imprese, in molti stanno tirando sospiri di sollievo: il cuore della loro riforma, l’abolizione dell’art.18, è salvo. Potranno continuare a far leva sul terrore del licenziamento discriminatorio (travestito da licenziamento illegittimo), per impedire a noi lavoratori di organizzarci sui posti di lavoro, per trasformare la nostra rabbia in paura, e la paura in rassegnazione, mentre con una mano ci rendono più “flessibili” e sfruttabili, e con l’altra delocalizzano e licenziano. Soprattutto, il loro Governo, quello che è riuscito dove nemmeno Berlusconi e Monti hanno potuto, ha la possibilità di evitare una nuova debacle elettorale come quella del 4 dicembre, su un terreno tanto qualificante quanto scivoloso come quello del lavoro e della giustizia sociale. 
E qui sta il punto.

La sicurezza ostentata dai vari Ichino e Staino sull’inammissibilità del quesito sull’articolo 18; la campagna martellante contro il referendum che ha attraversato tutto lo spettro mediatico, dai giornali di destra a quelli di centro-sinistra; il tentativo di delegittimare il referendum attraverso un attacco frontale alla CGIL; persino il parere “tecnico” dell’Avvocatura dello Stato, prodotto a pochi giorni dalla consultazione, avevano un solo scopo: allontanare o almeno depotenziare lo spettro di una nuova presa di parola da parte delle masse di questo paese. Lo scopo (raggiunto) di questa campagna denigratoria era quello di evitare la consultazione modificando quella che è la giurisprudenza finora sedimentatasi in tema di referendum abrogativi, visto che già in altre occasioni – l’ultima nel 2003 – la Corte Costituzionale si era espressa favorevolmente sull’ammissibilità di un quesito abrogativo che aveva per effetto anche l’estensione della copertura dell’art.18 a tutti i lavoratori. Nessuno infatti può pensare che la Corte Costituzionale sia un organo impenetrabile, che non risenta delle sollecitazioni politiche, visto che gli stessi membri che la compongono sono, almeno in parte, di diretta nomina politica.

La sicurezza con cui tanti opinionisti si sono espressi in questi giorni celava dunque una paura matta. Paura di chi? Non certo della CGIL o del suo apparato, che dapprima – nel 2014, quando era il momento di farlo – non ha saputo guidare una battaglia nazionale contro il Jobs Act (come invece è accaduto in Francia); che in seguito ha recepito le nuove norme nei nuovi CCNL, sanzionando per via contrattuale un cedimento pericoloso sulle condizioni di vita e di lavoro di milioni di proletari; e che infine non ha saputo difendere adeguatamente l’unica soluzione rimasta per arginare la frana e contrattaccare, ossia quella “legale” del referendum, visto che ora presumibilmente, scampato il pericolo mortale, con la Carta dei Diritti e le proposte legislative ivi contenute, il Governo Renzi e il padronato ci si puliranno il culo. 


L’oggetto della paura che da un mese a questa parte attanaglia i nostri cari padroni – tanto da essere disposti ad andare ad elezioni anticipate – è un altro. Siamo noi, le masse di questo paese, i tanti lavoratori che hanno subito il Jobs Act e che si sono dimostrati contrari a quella riforma, i tanti giovani che vorrebbero rinfacciare al governo il 40% di disoccupazione giovanile e l’aumento al ricorso costante a contratti precari o al “nero legalizzato” dei voucher, coloro che hanno visto le pensioni allontanarsi, e le famiglie, degli studenti e degli insegnanti vittime di una cattiva riforma denominata assurdamente “buona scuola”, su cui non ci sarà referendum, ma che almeno avrebbero potuto rinfacciare al Governo il loro dissenso. 

Hanno paura di un nuovo 4 dicembre, ma soprattutto hanno paura che una delegittimazione così forte avvenga sul terreno della giustizia sociale e della lotta, l’unico dal quale può veramente risorgere una sinistra in questo paese. 

Tutto è perduto dunque? No di certo. I referendum su voucher e appalti avranno comunque luogo, come resta ancora in piedi la debolezza di questo governo, ossia la incapacità momentanea delle classi dominanti di scaricare ulteriormente la crisi sulle nostre spalle. L’imperativo resta dunque, per tutti noi, quello di costruire e contrattaccare, utilizzando tutti gli spazi che restano ancora aperti e percorribili. 


Anche perché le battaglie non si vincono semplicemente con petizioni, raccolte firme, ricorso alle urne. Soprattutto se la battaglia è bella grossa, se in gioco c'è l'impianto dell'attacco neoliberista alla classe lavoratrice. Si vincono se si combatte nel corpo vivo della società. Se non si rinuncia alla lotta. In primis nei posti di lavoro. Ma anche fuori. Se non si accettano le logiche di fondo del sistema.

Lorsignori stiano sicuri che continueremo ad agitare i loro sonni.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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