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Arriva il negro... | Giorgio Gaber: “Un’idiozia conquistata a fatica”

Incontro (prosa)

E quando sei lì, al mare, sdraiato a goderti il sole, su una spiaggia qualsiasi. Arriva il negro. Voglio dire, l’uomo di colore. Dai che faccio, quello di far finta di dormire è un vecchio trucco che non funziona mai. “Ehi amigo!” Madonna come è grosso, e come è nero… voglio dire, colorato. Colorato di nero, però. Dicono che quelli neri neri, sono i migliori, i meno aggressivi, d’altronde l’idea di uno scontro fisico non è certo da prendere in considerazione. Lui è lì pieno di cinture, sciarpe, capellini, borse, valigie, tappeti, asciugamani maglioni, insomma tutto quello che potrebbe portare un camioncino di medie dimensioni. E pututupum! Tutto in terra! E ora prova tu a non comprare niente. Guarda come suda. Povero cristo, chissà da dove viene, in fondo anche lui deve mangiare, magari con un sacco di figli, e quattro o cinque mogli….giovani…..Però che salute! Dopo un po’, alle ore 14 sotto il sole cocente di agosto, mi rimetto sdraiato con la gioia di avere acquistato alcuni oggetti utili, tra cui una sciarpa di lana finto cachemire e un bel giaccone di montone. Benissimo.

E quando sei lì tranquillo, in un ristorante qualsiasi, in compagnia dei tuoi pensieri migliori. Sei lì, in attesa della seconda portata, sbriciolando dolcemente. Arriva il sordomuto, voglio dire, l’audioleso. Viene avanti col suo passo felpato. In un silenzio imperturbabile posa sul tuo tavolo un piccolo pupazzo, e un biglietto con su scritto sordomuto. L’avevo capito. Generalmente non ce la fai a ridarglielo subito, il pupazzo, perché il felpato, se n’è già andato. Solo chi frequenta poco i ristoranti, può pensare che sia un gentile omaggio seguito da un poetico addio. Io no. Io lo so che torna, e sbriciolo più nervosamente. No, non è per i soldi, è che non se ne può più, adesso quando torna gliene dico quattro. Gli dico? Ma cosa gli dico, non si può neanche litigare, rieccolo il felpato, certo che poveraccio, se è proprio vero che è sordomuto, ecco tenga, un cenno di ringraziamento, e si allontana. Rimango da solo di nuovo, sempre in attesa della seconda portata, e mi viene in mente che una volta, ho visto un film, non mi ricordo bene la storia, non mi ricordo neanche le intenzioni del regista, so che quando uscivi, soltanto per il fatto di non essere sordomuto, ti sentivi una merda. Benissimo.

E quando sei lì, tranquillo, a un incrocio qualsiasi, a bordo della tua macchina pulita, appena lavata. Arriva il marocchino, voglio dire, il lavavetri. Maledizione non l’avevo visto, sennò mi fermavo prima. O cambiavo strada. Lui viene avanti col suo bastone, e io, no grazie. Col ditino, due volte, no no, e alla fine NO! Ce l’ho fatta, sono stato un po’ cattivo, ma efficace, e proprio in quel momento, sciaff, la spugna sul vetro, e tutta l’acqua che cola sulla mia macchina pulita appena lavata. Che male. E lui col tampone vum vum, due passate, va un po’ meglio, sono rimaste solo un paio di righine orizzontali, credevo peggio. ma appena mette giù i tergicristalli, psss, tutte le goccioline, che poi mi rimangono le righine verticali. Stai buono, non ti incazzare non ti incazzare, non ti incazzare che poi sei anche razzista. Ci avessi qui un mille lire che più rapido è meno si soffre, macché il portafoglio, non c’ho le mille lire neanche nel portafoglio, cinquemila, cinquemila sì, tenga tenga pure, cinquemila. Ecco a questo punto lui, è raggiante, e dato che io ho il finestrino abbassato, mi appoggia una mano sulla spalla. No grazie, questa l’ho già lavata. Quando arriva il verde riparto, con la mia macchina pulita, appena lavata, e col vetro pieno di righine orizzontali e verticali. Benissimo.

E sì, è vero, troppe volte accade, di non sentirsi perfettamente a nostro agio. L’esistenza di qualcuno che sta male, è una specie di tabù, qualcosa che non vorremmo vedere. E come se dentro di noi ci fosse, uno strano senso di colpa, che non sappiamo spiegare. E allora, forse per riparare, abbiamo bisogno della nostra buona azione quotidiana. No intendiamoci, ben venga qualsiasi slancio che possa alleviare le sofferenze di altre persone, c’è solo da sperare che la nostra bontà, sia il più possibile, pulita. Perché anche la bontà, se è compiaciuta finta o addirittura interessata, non serve certo a procurarsi un posto in paradiso. Sono esigenti i guardiani del cielo, la sola moneta che vogliono, è l’amore.

 

(Giorgio Gaber)

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Tratto dall’album: “Un’idiozia conquistata a fatica”

 

Da: ki.noblogs.org

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