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Argentina, indicizzati al fallimento

All’approssimarsi delle elezioni nazionali e provinciali, in Argentina cresce l’arrendevolezza governativa a concedere aumenti salariali ai pubblici dipendenti. La circostanza è in sé piuttosto banale e non meritevole di menzione, se non fosse al contempo la spia del tasso di inflazione effettiva del paese ed occasione per l’esercizio di alcune piccole astuzie governative per ridurre il costo reale per le casse pubbliche. In un caso e nell’altro il rischio di tensioni sociali resta alto, e l’effetto deleterio sulle casse pubbliche argentine garantito.

L’alta inflazione effettiva argentina induce una classica spirale prezzi-salari in cui i lavoratori, soprattutto quelli pubblici, avanzano rivendicazioni salariali tese a mantenere almeno invariato il potere d’acquisto. Secondo PriceStats, il centro ricerca indipendente utilizzato dall’Economist per rilevare l’andamento dei prezzi al consumo argentini (stante la ancora alta inaffidabilità delle stime ufficiali, malgrado i recenti progressi), l’inflazione argentina avrebbe chiuso il 2014 al 38,4%.

Per evitare pesanti scioperi da parte dei pubblici dipendenti, soprattutto insegnanti e poliziotti, molte province si sono mosse per approvare aumenti salariali dell’ordine del 35-40%. Numeri non casuali, si direbbe. Il problema è che, viste le condizioni economiche del paese, aumenti di questa portata, pur preservando il potere d’acquisto reale dei pubblici dipendenti, impediscono di rompere la spirale prezzi-salari, causando anche problemi ai conti pubblici. Per minimizzare l’impatto di queste erogazioni, il governo ha sin qui tentato di fare leva sulla eventuale illusione monetaria degli argentini (che, essendo parenti stretti degli italiani, potrebbero entusiasmarsi solo per le grandezze nominali e disinteressarsi di quelle reali), e di conseguenza tende a trascinare i piedi sull’altra grande richiesta sindacale: l’indicizzazione degli scaglioni fiscali all’inflazione.

In altri termini, l’inflazione spinge i redditi nominali. Se gli scaglioni d’imposta non vengono aumentati, l’effetto netto è quello di spingere sempre più persone sia fuori dalla no-tax area che verso aliquote marginali sempre più elevate. Dopo le imposte, quindi, i percettori di reddito si trovano in mano ben poco, e lo Stato datore di lavoro ed esattore fiscale si dichiara soddisfatto, grazie al fiscal drag. Ecco quindi che le rivendicazioni sindacali, che spesso sfociano in sommosse di strada, sono centrate sul recupero dell’inflazione dopo le imposte, ed il potere politico è ogni volta costretto ad estenuanti contrattazioni e temporeggiamenti, sul filo dei flussi di cassa, in un paese che da sempre ha una consolidata tradizione di elevata conflittualità sindacale nel pubblico impiego.

In estrema sintesi, l’Argentina resta un habitat economico del tutto sterile, ed una economia ad elevata propensione inflazionistica derivante da altissima indicizzazione. Elementi che, notoriamente, esercitano da sempre un innegabile fascino sulla classe politica italiana. Peccato per il vincolo esterno, meglio noto come realtà, che pare tenda a percuotere anche i sovranisti più duri e puri. Ma certamente dev’essere colpa di qualche straniero.

 

Foto: Sam Verhaert/Flickr

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