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Apertura scuole: mi chiamo Azzolina, risolvo problemi. Lasciatemi lavorare

Chi di automatismi ferisce, di automatismi perisce. E così capita che automatismi usati in un certo verso come indicatori di merito, “a prescindere”, siano poi utilizzati nel verso contrario per pretendere un merito che non esiste. Del resto, agli automatismi si ricorre quando non vi sono metriche per misurare l’accountability: quindi, in Italia, ove nemmeno esiste una parola equivalente a quest’ultima, vi si ricorre spesso.

di Vitalba Azzollini

Il riferimento è a una recente affermazione di Lucia Azzolina, ministra (al femminile, cfr. Accademia della Crusca) dell’Istruzione, la quale ha detto:

Sono donna, sono un ministro Cinque stelle, sono giovane, c’è l’idea che noi M5s siamo incompetenti, anche se io ho due lauree, l’abilitazione all’insegnamento, specializzazioni. Adesso, anche basta.

Vale la pena smontare il giochino sottostante a questa dichiarazione: non perché essa abbia una qualche importanza – è di una pochezza sconcertante – ma per capire talune distorsioni della comunicazione pubblica, che fa ampio uso di automatismi. Da ciò si prenderanno le mosse per svolgere alcune considerazioni sulla riapertura delle scuole.

Il primo strumento utilizzato è il sessismo, arma cui talora ricorre chi non ha argomenti più validi. Da quando essere donna viene reputato di per sé valore aggiunto, facendo passare la superiorità femminile come dato empirico – con buona pace dell’aspirazione alla parità tra sessi – l’appartenenza al genere è un argomento per tacitare l’interlocutore. In altri termini, se donna è sinonimo di meritevolezza, “in quanto donna” non si può essere criticata.

E non è solo questione di genere: se oltre ad essere donna si è pure giovane, scatta un automatismo ulteriore. È lo stesso principio della cosiddetta rottamazione: il dato anagrafico è reputato di per sé indicatore di capacità migliori rispetto a quelle di chi ha più anni. Dunque, avere meno di una certa età è meritorio per definizione, e “in quanto giovani” non si può essere criticati.

Se, poi, oltre a essere donna e giovane, si è pure laureata, il meccanismo è amplificato: la competenza è garantita. Non serve valutare livello di preparazione o doti intellettive: un qualche attestato da esibire è marchio DOC. E, allora, se essere laureati è garanzia di bravura, “in quanto laureati” si pretende una sorta di esonero da accuse di inadeguatezza.

Così funzionano gli automatismi, e producono danni, com’è palese. Il fatto è che ad Azzolina conviene spostare l’attenzione dalle critiche di cui è oggetto per non fare, invece, un mea culpa doveroso. La scuola, di cui si occupa il dicastero della ministra, non solo non è mai ripartita, ma le linee guida per la riapertura – che non sono nemmeno «un elenco preciso e dettagliato di norme da seguire», come sarebbe servito – sono state presentate il 26 giugno scorso, con un ingiustificabile ritardo, lasciando nel frattempo a casa otto milioni di studenti.

L’istruzione non è stata considerata una priorità, a differenza di altri Paesi europei, anche di quelli più fragili, come Grecia e Portogallo, dove si è «tentato di cucire la ferita aperta dalla pandemia mettendo per primi i bambini». I limiti della didattica a distanza sono emersi chiaramente: essa «ha raggiunto un alunno su due, aggravando una povertà educativa non indifferente».

E se già era noto che «nascere in una famiglia in ristrettezze significa spesso non avere a disposizione le stesse opportunità educative e sociali degli altri ragazzi», la pandemia lo ha reso palese in modo drammatico: i bambini economicamente disagiati, i quali hanno meno probabilità di avere genitori istruiti e una buona connessione wi-fi, restano indietro rispetto ai coetanei che fruiscono di condizioni di partenza migliori.

E non è solo un problema di istruzione: senza la scuola, i genitori faticano a tornare al lavoro. «Siamo grati venga insegnato ai nostri figli ad imparare, (…) ma nel frattempo noi dobbiamo fare gli adulti (…). Se stiamo tutti a casa, abbiamo visto, la giostra si ferma».

Dal punto di vista lavorativo, il genere femminile sopporta l’onere più pesante: i dati Istat attestano che la diminuzione dell’occupazione riguarda soprattutto le donne. Può ipotizzarsi che ciò accada anche perché, in mancanza della scuola, quando non si hanno altre soluzioni di accudimento dei bambini, si sacrifica il genitore che guadagna menodi solito la donna: dunque, le madri con retribuzioni più basse e impiegate in settori dove serve la presenza fisica.

Ebbene, detto tutto questo, Azzolina è sicura che, se «in Europa hanno tutti riaperto le scuole (o hanno un piano preciso per farlo)», mentre in Italia si sa solo che si tornerà a settembre, le critiche che le vengono rivolte siano motivate dal fatto che è donna e giovane, nonché laureata? 

A dire il vero, circa il rientro a scuola un paio di cose si sanno: in primo luogo, «il Commissario straordinario per l’Emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, cui il cosiddetto decreto Semplificazioni ha conferito pure il compito di provvedere a quanto necessario per la riapertura, ha indetto una Gara pubblica europea per l’acquisto di un massimo tre milioni di banchi (…). In particolare, fino a 1,5 milioni di banchi monoposto tradizionali e fino a 1,5 milioni di sedute attrezzate di tipo innovativo».

Ma se la gara è certa, non c’è alcuna certezza che i banchi saranno pronti entro il 14 settembre, data di inizio delle scuole, anzi è probabile l’opposto: il bando di gara per i nuovi banchi scolastici è «una missione impossibile», perché si pretende «in 23 giorni la produzione di 5 anni». «Nella migliore delle ipotesi la capacità produttiva attuale potrebbe arrivare a 120.000 pezzi consegnati entro fine settembre, a patto che siano disponibili pannelli, tubolari, insomma tutti i componenti che concorrono alla realizzazione dei prodotti oggetto del bando»: la conseguenza è che «i ragazzi non potranno avere i nuovi banchi con ricadute sull’avvio dell’anno scolastico e le procedure di gara regolarmente in corso o addirittura già vinte saranno bloccate».

C’è il rischio che il bando vada deserto. Fonti del ministero dell’Istruzione si sono affrettate a precisare che è il Comitato tecnico-scientifico ad aver dato l’indicazione dei nuovi banchi: insomma scarica-barile, ennesimo automatismo italico. Surreale è, poi, il commento del Commissario Arcuri: 

Non è questo il momento di fare polemiche o alimentare divisioni: l’apertura delle scuole in sicurezza è un obiettivo fondamentale per l’intero Paese ed è per questo necessario lo sforzo di tutti. 

Ma se i nuovi banchi sono conditio sine qua non per la «apertura delle scuole in sicurezza» – come dice Arcuri, sulla scorta del Comitato – ed è pressoché impossibile avere quei banchi per la data prevista, non si tratta di «fare polemiche» (altro automatismo cui spesso si ricorre per tacitare critiche sacrosante): se la condizione non si realizza, non si realizza nemmeno il risultato finale, cioè la sicurezza. L’affermazione, quindi, nega la premessa da cui parte: ulteriore paradosso comunicativo.

In secondo luogo, con una ordinanza dello scorso 10 luglio, Azzolina ha stabilito che alle scuole materne e alle elementari potranno insegnare come supplenti anche studenti in Scienze della formazione primaria, iscritti al terzo, quarto o quinto anno, se non si troveranno supplenti già laureati e abilitati pronti a ricoprire la cattedra. Per motivare la decisione, la ministra ha usato uno di quegli automatismi a cui – lo si è visto – ricorre con disinvoltura: 

Penso che questo Paese debba assolutamente dare la possibilità ai giovani di lavorare. Se vanno all’estero ci lamentiamo, se restano a casa ci lamentiamo. 

Ebbene, siccome per l’insegnamento è prevista la laurea, anziché derogare, Azzolina potrebbe far lavorare i giovani laureati dove c’è lavoro, anziché far lavorare i non laureati “a casa”. Dunque, perché non attingere dalle Graduatorie ad Esaurimento (le cosiddette GaE, redatte su base provinciale, ove sono iscritti i docenti in possesso di abilitazione) di altre province?

Non sarà che la ministra ha voluto evitare l’accusa di deportazioni, come accaduto in passato, e da ciò ha avuto origine la trovata di far insegnare – senza muoversi – chi non è ancora laureato? È vero che il decreto Cura Italia consentì di mandare in corsia anche medici non ancora abilitati, in piena emergenza sanitaria, ma non serve nemmeno spiegare le differenze.

Non si è smontato un altro passaggio – che Azzolina ha lamentato come pregiudizio, condendolo con una buona dose di vittimismo, acclarato sport nazionale – della frase da cui si sono prese le mosse: «c’è l’idea che noi M5s siamo incompetenti». Al riguardo, basta una domanda: l’incompetenza della ministra M5s è solo una “idea”? 

Foto: Governo.it

Questo articolo è stato pubblicato qui

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