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Anteprima inchieste di Report – il confine sempre più labile tra mafia e stato

In Italia stanno per piovere miliardi che verranno spesi per le opere del PNRR. Anziché rinforzare i controlli, questo governo sta togliendo tutti i controlli, sia a livello di reati (come l’abolizione d’ufficio) sia cercando di depotenziare i controlli della Corte dei Conti.

 

Nel frattempo le mafie sono sparite dal radar della politica: dopo la cattura di Messina Denaro sembra che le mafie non esistano più. Il servizio di Report si occuperà della nuova criminalità organizzata e del confine sempre più labile con la politica.

Poi un servizio sugli aiuti promessi e non mantenuti per l’Emilia. Infine un nuovo capitolo della serie sulla tela di Sgarbi.

La tela di Sgarbi – la serie

La denuncia per stalking non ha fermato Report dal voler arrivare alla verità sul quadro di Manetti che il sottosegretario Sgarbi sostiene sia stato trovato per caso in un vecchio casolare.
La procura di Macerata ha aperto un fascicolo sulla vicenda iscrivendo Sgarbi nel registro degli indagati:
 

Quando i carabinieri hanno bussato alla sua porta, il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi già conosceva il motivo di quella visita: volevano il quadro della discordia, ovvero La Cattura di San Pietro, un caravaggesco del Seicento senese opera del maestro Rutilio Manetti. Una tela ormai nota anche ai non esperti in materia: il dipinto, infatti, è al centro del fascicolo della Procura di Maceratache ha iscritto nel registro degli indagati il sottosegretario alla Cultura del Governo Meloni con l’accusa di riciclaggio di beni culturali. Il motivo? La Cattura di San Pietro è stato rubato nel 2013 dal castello di Buriasco, in Piemonte. Poi è riapparso nel 2021 a Lucca, in una mostra a tema, indicato come proprietà personale di Vittorio Sgarbi. Si tratta dello stesso quadro? L’inchiesta giornalistica de Il Fatto Quotidiano e di Report ha evidenziato tutta una serie di elementi che lasciano pochi dubbi in merito. Ora toccherà agli inquirenti chiudere (o meno) il cerchio.

 

Sul Fatto Quotidiano di oggi, domenica 14 gennaio, Thomas Mackinson racconta dei nuovi sviluppi della vicenda:

 

Anche un imprenditore lega a Sgarbi il quadro trafugato

L’OPERA “RUBATA” NEL ’13 E RICOMPARSA NEL ’21 - Dall’inchiesta spunta anche un secondo nome che ricollega persone vicine a Sgarbi il furto al castello

DI THOMAS MACKINSON 14 GENNAIO 2024

Anche le misure inchiodano Sgarbi al quadro rubato. Dalle prime verifiche fatte sull’opera sequestrata due giorni fa a Ro Ferrarese, emerge che non ci sono affatto quei 30-40 cm di differenza con la versione della Cattura di San Pietro trafugata dieci anni fa dal castello di Buriasco e riapparsa con una candela in una mostra del 2021 come “inedito” di sua proprietà. Le dimensioni riportate nella denuncia, lo conferma la vittima del furto, comprendevano infatti la cornice, oltre al fatto che l’opera si è ulteriormente ridotta per via del taglio interno ad essa, necessario ad asportarla. Cade dunque, e prima ancora della guerra di perizie che già si annuncia, la “foglia di fico” che Sgarbi utilizza da settimane per dire che sono “opere diverse”.

La scheda del servizio: Il valzer della candela II di Manuele Bonaccorsi

Collaborazione di Thomas Mackinson
Immagini di Marco Ronca
Montaggio e grafica di Michele Ventrone

 

Il sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi indagato per "autoriciclaggio" dopo l'inchiesta di Report.
La procura di Macerata ha aperto una inchiesta su Vittorio Sgarbi, con l’ipotesi di reato di autoriciclaggio di opere d’arte, in seguito all’inchiesta di Report e del Fatto quotidiano sulla Cattura di San Pietro di Rutilio Manetti, un’opera di proprietà del noto critico d’arte, del tutto simile a un dipinto trafugato nel 2013 al castello di Buriasco di Torino. Il dipinto, inserito nella banca dati del nucleo di tutela dei beni culturali del Carabinieri, era stato esposto nel 2021 in una mostra a cura di Sgarbi a Lucca. Report torna sul caso.

 

La mafia, lo stato e quel confine sempre più labile

Camorra, Cosa Nostra, 'Ndrangheta, tutti uniti a fare affari. Chi sono i capi? Quali referenti politici? Non sappiamo nulla dei vertici di cosa nostra, adesso che Messina Denaro è morto, dopo l’arresto nello scorso anno.
La mafia è sparita, puff, non c’è più. Non c’è più l’allarme criminalità, al sud e figuriamoci al nord. Eppure le mafie ci sono ancora, sono sempre più potenti e continuano a dialogare col mondo dell’imprenditoria e della politica.
Anche e soprattutto qui al nord, dove girano più soldi: ha fatto rumore nei mesi passati la decisione del GIP di Milano di non convalidare le richieste di arresto nell’ambito di una indagine coordinata dalla DDA milanese e dai carabinieri sulla nuova cupola milanese:

 

composta non da singole associazioni ma da una sovrastruttura formata da esponenti di Cosa nostra, ndrangheta e camorra romana, con tutti i crismi dell’associazione mafiosa: controllo del territorio, armi, intimidazioni e un corposo capitale sociale composto da politici e imprenditori. Ben nove le estorsioni documentate. Decine le armi, anche un fucile a canne mozze. Oltre venti i summit filmati dai carabinieri con esponenti apicali e storicamente radicati a Milano, come da decine di sentenze, del Consorzio e non di un solo clan. Ma, per il tribunale, mafia non c’è. Dei capi d’imputazione contestati agli undici arrestati, solo per tre viene ipotizzato il metodo mafioso, in alcuni di questi l’accusa di estorsione e però rubricata a minaccia.

Sembra di essere tornati alla Palermo degli anni 80, dove la mafia agiva indisturbata, i latitanti potevano agire indisturbati, protetti da una parte dall’omertà diffusa, dall’altra dalla mancanza di comprensione del metodo mafioso, quello poi rivelato dalle indagini del pool di Caponnetto che portò al maxi processo.

Nell’anteprima del servizio ci sono due tentativi di interviste: la prima a Paolo Errante Parrino un imprenditore di Abbiategrasso che, secondo la procura milanese, sarebbe il referente del nuovo consorzio mafioso grazie ai suoi rapporti con la famiglia di Matteo Messina Denaro.

Una tesi a cui non ha creduto il gip del Tribunale di Milano che ha negato ai pm l’arresto di Errante Parrino, a suo carico, scrive testualmente il gip, ci sono solo “vicende bagattellari”.
Giorgio Mottola è stato cacciato via in malo modo con una minaccia “vi apro la testa in due .. vi taglio la testa”: vista la difficoltà ad incontrare Parrino, il giornalista ha cercato di fare qualche domanda al volto pubblico della famiglia, il cognato avvocato Giovanni Bosco che, è bene ricordarlo, non è mai stato né indagato né coinvolto in procedimenti per mafia: “Io mio cognato lo conosco bene, per lui il pane e il pane e il vino è il vino, tagliare la testa potrebbe voler davvero dire tagliare la testa..”.

L’altrintervista mancata è quella all’imprenditrice a cui il giornalista voleva chiedere conto di quanto emerso dall’indagine dell’antimafia milanese.

Io mi occupo di oblio ” è stata la sola risposta ottenuta, mentre il suo compagno ha aggredito il cameramen.

 

«L. B. – evidenzia Report – è davvero tante cose: organizza feste esclusive su terrazze vista duomo, ha relazioni con i politici milanesi. Ma ciò che in pochi sanno è che il nome, in passato denunciata per traffico di stupefacenti, spunterebbe in numerose inchieste di varie procure antimafia italiane, pur senza essere mai stata formalmente imputata. L’ultima in ordine di tempo è un’indagine della direzione antimafia di Milano che nell’ambito di un procedimento sugli appalti nella sanità lombarda l’ha volte intercettata al telefono con Giuseppe Fidanzati, figlio del boss storico di cosa nostra a Milano».

 

Sui canali social è uscita questa mattina una nuova anteprima dove si parla dell’omicidio dell’ultras della Lazio Fabrizio Piscitelli, Diabiolik: fu un omicidio di mafia?

Secondo il comandante del Gico di Roma Marco Sorrentino fu chiaramente un delitto di mafia, aggiungendo che c’è un nesso tra Piscitelli e la famiglia Senese a Roma, “all’inizio degli anni 90 Fabrizio Piscitelli fu indagato insieme alla famiglia Senese, in particolare con Gennaro Senese, fratello di Michele.”


Il potere del capo ultras derivava dalla sua vicinanza alla famiglia Senese, era cosa nota a tutti a Roma che Piscitelli fosse uomo dei Senese, “quindi è una interpretazione mia, ma credo che una luce verde sia stata data per l’omicidio di Piscitelli” – è la conclusione del comandante del Gico.

La scheda del servizio: LA MAFIA A TRE TESTE di Giorgio Mottola

Collaborazione Greta Orsi, Norma Ferrara

 

A Milano ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra si sono federate in un unico consorzio mafioso. All’ombra della Madonnina, esponenti apicali delle tre più importanti organizzazioni mafiose pianificano insieme affari e agganci con la politica. Un sistema criminale che negli ultimi anni è riuscito a infiltrare settori economici e finanziari strategici del territorio milanese e sono riusciti a entrare in contatto con alcuni tra i politici lombardi più in vista di Fratelli d’Italia che attualmente ricoprono incarichi al governo e nelle istituzioni europee. Della cupola milanese trasversale alle tre mafie avrebbero fatto parte rampolli di antiche famiglie di cosa nostra lombarda, parenti stretti di Matteo Messina Denaro, capi delle locali di ‘ndrangheta ed emissari di un potente clan di camorra.

 

Gli aiuti (dimenticati) all’Emilia Romagna

L’alluvione dello scorso anno ha messo in crisi l’intera Emilia Romagna, dimostrando quando siamo vulnerabili ai nuovi eventi atmosferici.

Eppure l’Emilia Romagna ha delle linee guida all’avanguardia sui temi ambientali e una legge regionale che prevede il consumo del suolo a saldo zero: Bernardo Iovene ne ha chiesto conto al presidente Bonaccini, perché è emerso che non sempre queste linee guida siano eseguite, come è lampante che nonostante le leggi ci sia un serio problema di consumo del suolo (la regione Emilia Romagna è la prima per consumo del suolo).

“Noi in questa legislatura” ha spiegato Bonaccini “ arriveremo a tagliare circa 20 ettari di suolo edificabile, già deciso da programmazioni precedenti perché introducendo questa legge urbanistica, e da quest’anno non dando più deroghe ai comuni, noi andremo a ridurre quello che si prevedeva di consumare ..”
Il presidente ha poi aggiunto che è vero che nel passato è stato consumato troppo suolo, “infatti noi abbiamo provveduto ad una legislazione che deve andare non solo a ridurre quel consumo di suolo ma farlo diventare a saldo zero. Però se parliamo dell’alluvione, mi creda, quando ti cadono addosso 4,5 miliardi di metri cubi di acqua, c’entra poco tutto il resto, quello è un evento catastrofico, è un evento rispetto al quale dovremo ridisegnare il reticolo idrografico romagnolo, abbiamo chiamato esperti a darci una mano. Perché, come le ho detto, quello che dovremo fare per il futuro, non deve essere fatto come prima, deve essere fatto meglio di prima.”

Il servizio cercherà di capire cosa si stia facendo per oggi in questa regione per mitigare il rischio alluvioni: già nel 2015 si era data delle linee guida che prevedevano vegetazione anche all’interno degli alvei per drenare e frenare il corso dell’acqua ma intanto sugli argini si continua a tagliare gli alberi. Non sempre c’era la necessità di tagliarli: lo racconta l’assessore alla sicurezza del comune di Faenza Bosi “nei corsi d’acqua arginati si, il dover rifare gli argini ci ha comportato ad un taglio netto della vegetazione..”.

Iovene ha sentito anche l’assessora all’ambiente in regione Irene Priolo “In realtà l’acqua è stata trattenuta nella sua furia anche dalla presenza della vegetazione che noi abbiamo, ma questa deve essere mantenuta”.
Cosa comporta tutto questo in senso pratico? Lo spiega l’urbanista Gabriele Bollini “Il corso d’acqua non è una condotta, un tubo che porta acqua, è un ecosistema: nelle linee guida si dice che le piante e la vegetazione serve per rallentare il corso d’acqua e [l’Emilia Romagna] l’unica regione che ha queste linee guida e non le ha utilizzate perché se io pulisco gli argini diventano campi da bocce.”
E’ un argomento molto delicato” ha cercato di giustificarsi la vicepresidente Priolo “quello sulla vegetazione ripariale perché dopo un evento di questo genere [l’alluvione] la prima cosa che i cittadini vorrebbero che tutta la vegetazione interna ai corpi arginali interna ed esterna venisse eliminata completamente.”

Insomma, si sarebbe preferito assecondare anche le richieste delle persone vittime dell’alluvione. Come a Faenza dove hanno rifatto gli argini dove è esondato, ma poi per centinaia di metri hanno tolto di mezzo la vegetazione, tagliando tutti gli alberi lungo gli argini, anche alberi secolari in salute. Questi abbattimenti salveranno il paese dalla prossima alluvione? Dove il fiume è uscito dagli argini è prevista una lottizzazione ovvero si continuerà a costruire in zone pericolose a fianco dei fiumi, togliendo spazi verdi. E chi si lamenta come gli ecologisti (quelli veri come il comitato Faenza Eco-logica) passa per quelli che sanno dire solo no.
Dopo l’alluvione ci sarà un ripensamento sulle concessioni da dare in determinate aree oppure andrà avanti come se nulla fosse successo? Il sindaco risponde a modo suo: “noi oggi non abbiamo gli strumenti per mettere in discussione iter e permessi amministrativi.” Pilatescamente lascia tutte le responsabilità al commissario (sarebbe Figliuolo, desaparecido) che eventualmente potrebbe bloccare nuovi scempi sul territorio.

A Rastigliano, frazione di Pianoro: in una zona a rischio idrogeologico si sta realizzando un tratto di strada sopraelevata, per la realizzazione hanno tagliato più di mille alberi e a maggio il cantiere è stato invaso dall’alluvione, che ha fatto emergere perfino un argine nascosto del ‘700. Anche qui è sorto un comitato locale, Comitato Santa Bellezza, che spiega a Report come questa zona fosse una volta un parco, oggi invece è tutto tabula rasa, hanno tagliato gli alberi: quando è arrivato l’alluvione ha spazzato via tutto proprio in questa zona, il progetto non è stato rivisto col risultato che oggi i piloni della strada sopraelevata stanno dentro l’acqua.

 

Quando uno sostituisce un albero di 40 anno con la capacità filtrante che ha in quel momento e lo sostituisce con alberelli di 4 – 5 anni si perde una risorsa per contenere gli alluvioni- è l’accusa che viene fatta dal fitopatologo Aldo D’Aurelio.
Il progetto è della città metropolitana di Bologna, l’ingegnere ha ammesso che le pile rimarranno nell’alveo del fiume, perché era tutto previsto, anche l’alluvione: i progetti non si modificano dunque, “il fiume si è comportato come è previsto che si comportasse di fronte a questi fenomeni..”
Ma i cittadini lo sanno?

Peccato che il progetto iniziale non avesse le pile in alveo, che gli effetti dell’alluvione sono sicuramente stati superiori a quanto stimato (?) dall’ingegnere: perché allora non si fanno le verifiche su tutti i progetti in cantiere, per tutelare la sicurezza dei cittadini? Perché non si rispettano le linee guida della stessa regione? Perché si continua a fare tabula rasa accanto ai fiumi? Perché il consumo di suolo continua ad aumentare nelle zone a pericolosità idraulica (come dal rapporto di Ispra)?

Sempre restando a Bologna ci sono poi i lavori per la linea del tram, i cantieri del passante autostradale, che aumenterà le corsie esistenti: il progetto prevede una compensazione con nuovi parchi e centomila tra nuovi alberi e arbusti, ma nel frattempo dei giardini pubblici vengono trasformati in cantiere e alberi già cresciuti vengono abbattuti e nuovo consumo di suolo.

È successo al parco don Bosco, dove il comitato di cittadini ha manifestato contro questo ennesimo scempio, senza riuscire a fermare i lavori.
Il comune taglierà decine di alberi proprio accanto alla sede della regione, per costruire una nuova scuola a lato della vecchia che sarà abbattuta. Perché non si ristruttura la vecchia scuola?

Il servizio di Iovene si occuperà poi del tema ristori per le vittime dell'alluvione. Finito il tempo delle passerelle e delle polemiche tra governo Meloni e presidente Bonaccini, a che punto siamo coi soldi promessi alle famiglie e alle imprese?

A Faenza il giornalista ha intervistato una famiglia che è rimasta fuori casa dal 16 maggio: l’acqua è entrata in casa, ha sommerso le camere, i mobili i quali non verranno risarciti: la famiglia Mascaretti non può ristrutturare la casa perché avendo già un mutuo non possono permettersene un secondo. Non è l’unica famiglia che ha lasciato la casa così com’è, senza far partire i lavori di ristrutturazione: non è solo un tema economico, ma è anche la paura, le famiglie non sanno se le zone dove sono costruite le loro case siano sicure o meno. Dopo l’alluvione sappiamo che non sono sicure: così rimane tutto fermo, case, bar, locali. “Quando è successo avevo coraggio, adesso l’ho perso, sono un po’ abbattuta” racconta a Report Marta Pederzoli proprietaria del locale Pink Panther.

Dal 16 novembre, come spiega il servizio in anteprima qui, “si può accedere alla piattaforma Sfinge della Regione per richiedere i ristori. Il commissario di governo ha previsto 20mila euro per le famiglie e 40mila euro per le aziende. Ma c'è un problema i mobili non sono risarciti: "L'anomalia sono la mancanza dei mobili che non abbiamo compreso perché in tutte le alluvioni è la prima cosa che va risarcita", afferma l'Assessore all'Ambiente della Regione Emilia Romagna Irene Priolo. Dopo un mese dall'alluvione è stato emesso un contributo di prima necessità 3.000 euro a chi ne ha fatto richiesta e tra poco ci sarà un'altra integrazione di 2.000 euro. Ma anche sommando i 20.000 euro, c'è chi non riuscirà a ristrutturare casa. ”

La scheda del servizio: PRESTO CHE È TARDI di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo, Greta Orsi

 

I ritardi, l’attesa e l’incertezza dei finanziamenti stanno mettendo a dura prova un popolo che da subito non si è perso d’animo. Dopo 7 mesi nelle zone alluvionate dell’Emilia-Romagna ci sono ancora quartieri completamente disabitati, le famiglie hanno perso tutto, attualmente hanno ricevuto i primi 3000 euro di 5000 come immediato sostegno e dal 16 novembre possono fare domanda per ricevere, previa perizia certificata, al massimo 20 mila euro. Non saranno rimborsati i mobili, le auto e i motorini. Sono in un limbo, non riescono ad entrare nelle proprie case, a questo si aggiunge la paura di una nuova alluvione. Stessa situazione vivono le imprese, che hanno avuto vari milioni di danni, ma possono richiedere un contributo di 40 mila euro. Le aziende non hanno sfruttato la cassa integrazione hanno utilizzato i dipendenti pagandoli di tasca propria per ripartire, ma oggi hanno bisogno di ristori che non arrivano. Anche in Toscana a due mesi dall’alluvione aziende e famiglie sono sull’orlo di una crisi di nervi, a loro verranno risarciti al momento 5 mila euro per le famiglie e 20 mila per le aziende, ma il presidente Giani non ha notizie di quando arriveranno le risorse, né se sarà lui il commissario per la ricostruzione scelto dal governo. Intanto, la Presidente del consiglio, nella risposta a un'interrogazione parlamentare, in polemica con la Regione Emilia-Romagna ha stilato la lista dei finanziamenti erogati. Il presidente Stefano Bonaccini contesta questi dati. A pagare questo rimpallo di responsabilità sono solo imprese e cittadini che hanno perso un pezzo di vita.

 

 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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