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Anteprima Report: gli appalti Anas, la chimica nel vino e la neve (artificiale)

Come girano gli appalti in Anas, la più grande stazione appaltante in Italia? E come sta andando il grande progetto per il ponte sullo stretto? Report tornerà ad occuparsi di vino e della trasparenza delle etichette. Infine la neve artificiale, elemento essenziale sulle nostre montagne sempre più senza neve.

Appalti nell’Anas

Magari alla fine di questo servizio capiremo meglio come mai tanta passione da parte del ministro Salvini per il ponte sullo stretto, viste anche le sue posizioni di pochi anni fa.
Report torna ad occuparsi di Anas, “una delle più grandi stazioni appaltante d’Italia”, ogni anno dentro gli uffici di Anas attraverso le gare di appalto dovrebbero essere assegnate decine e decine di miliardi di soldi pubblici per stradi, ponti e gallerie. In realtà, secondo quanto emerso dall’indagine della procura romana, molti di questi appalti sarebbero stati decisi altrove, perfino alla stazione Termini, in luoghi non ufficiali: alcuni dirigenti infedeli di Anas, definiti marescialli, avrebbero favorito alcune aziende.

 

“A me chi c… me sente al telefono non me ne frega un c..” diceva Fabio Pileri di Inver a Roberto Mandosi, responsabile del personale di Anas International: oggi Pileri è agli arresti domiciliari, che sta scontando comodamente in un hotel al centro di Roma. Pileri è socio di Tommaso Verdini, figlio dell’ex senatore Denis, anche loro ai domiciliari. La loro società di consulenza, la Inver, sarebbe stata il perno di un sistema corruttivo che, secondo le indagini della GDF, avrebbe funzionato come una sorta di triangolazione, gli imprenditori pagavano consulenze fittizie alla Inver, che faceva da intermediaria coi dirigenti Anas i quali avrebbero aiutato i clienti della Inver a vincere gli appalti, ottenendo in cambio promozioni e avanzamenti di carriera. Lo ammette al telefono lo stesso Tommaso Verdini nelle intercettazioni poi pubblicate sui giornali (e questo spiega anche la voglia che ha questa classe politica di bloccarne la pubblicazione).

Per dare una mano ai dirigenti Anas, il gruppo di Tommaso Verdini avrebbe potuto contare, almeno a quanto dicevano loro, su esponenti di primo piano della Lega. Nelle carte dell’inchiesta compare il nome del viceministro alle infrastrutture Rixi, non indagato: nelle intercettazioni il nome di Rixi è associato a quello di Lo Bosco, il presidente di RFI, anche lui non indagato, ma che secondo le indagini sarebbe stato presente più volte alle riunioni all’interno degli uffici della Inver, la società dei Verdini.
Sono solo millanterie – si difende Lo Bosco, rispondendo alle domande di Report: le persone di Anas non le conosco, aggiunge, all’epoca non avevo alcuna funzione in Italia, “solo in Italia possono succedere queste cose.”
Il ministro Salvini è il convitato di pietra in questa storia: tra i fondatori della Inver, la società di consulenza, c'era anche la sua compagna, Francesca Verdini, che ha ceduto le sue quote nel 2021, poi c’è il fratello della compagna, Tommaso Verdini che secondo le indagini farebbe il lobbista proprio nel settore che è sotto il controllo del ministero di Salvini.
“Tommaso 26 anni, Francesca 23, molto giovani, hanno creato questa società dal nulla che ha incominciato subito a fatturare” spiega il consulente Bellavia, che ha scoperto che Francesca Verdini partecipava alle assemblee fino al 2020, conosceva il bilancio e le attività della Inver e del fratello Tommaso, “per fare consulenza alle imprese ci vuole esperienza, non basta studiare. Probabilmente il padre è intervenuto a sostegno dei figli, il padre ha invece una esperienza”.
Secondo gli investigatori Denis Verdini sarebbe il socio occulto della Inver, vero dominus delle condotte illecite, per lui ci sarebbero stati 20mila euro in nero, la vicinanza al ministro sembra essere utilizzata dagli indagati per continuare a fatturare consulenze fittizie.
Consulenze da imprenditori che al telefono con Pileri si lamentavano dell’atteggiamento dei Verdini: “vengo a Roma a darti 70mila euro e per farmi piglià pe c.. da te e tuo padre”?

“eh no, ma siamo il cognato del ministro”.
Proprio la vicinanza col ministro avrebbe spinto molti imprenditori a rifare il contratto con la Inver, alcuni di loro infatti dopo la prima fase delle indagini avevano interrotto i rapporti con la società dei Verdini, ma dopo la nomina di Salvini a ministro delle infrastrutture, ecco che si rifanno vivi.
Ancora illazioni? Sempre nelle intercettazioni si legge questo passaggio dove Pileri racconta di aver avuto carta bianca in ministero da Salvini.
E che cosa risponde il ministro su questi fatti? “Buon lavoro”: questa la risposta da parte di un esponente di un governo che si dice patriota, che governa in nome del popolo, per difendere gli gli interessi degli italiani.

L’inchiesta di Report svela come sono stati nominati i dirigenti della società che costruirà il ponte sullo stretto: lo svelano sempre quelle intercettazioni tra Pileri e Mandosi di Anas, forse sarà un caso e non dipenderà dalla sua amicizia con Verdini, ma alla fine quest’ultimo viene nominato responsabile delle risorse umane della società Stretto di Messina, l’opera su cui Matteo Salvini ha puntato tutto, il ponte sullo Stretto.
Pietro Ciucci, AD della società Stretto di Messina però racconta di averlo scelto lui, personalmente, Mandosi, “una persona di grande affidabilità”, escludendo alcuna sponsorizzazione di Pileri e Verdini. Sarà stato scelto per la sua affidabilità, ma non c’è stato alcun processo di selezione, alla faccia della trasparenza, nemmeno per gli altri 16 dirigenti che lavorano oggi in questa società: sul sito non sono presenti nemmeno le indicazioni sui compensi di questi dirigenti e tutte le sezioni, comprese quelle sulle consulenze, risultano in corso di aggiornamento. Una cosa grave se si pensa che quando è ripartita l’operazione Ponte, si è deciso di togliere il tetto agli stipendi che potranno superare i 240mila euro annui.

Lo ha spiegato Salvini stesso nella conferenza stampa dello scorso agosto: “se dobbiamo prendere un ingegnere che oggi lavora in Ferrovie o in Anas, dobbiamo garantirgli quantomeno lo stesso stipendio ..”
Dunque si sono presi i migliori, a cui sono stati garantiti lauti stipendi, senza sapere quali siano stati i criteri di selezione: perfino Pietro Ciucci si è aumentato il suo, di stipendio, da 25 mila a 240mila euro l’anno.
Altro punto di cui si occuperà il servizio è il progetto aggiornato per la realizzazione del ponte: risponde nell’intervista Pietro Ciucci “esiste un progetto approvato nel 2011 che rimane valido, stiamo lavorando per l’aggiornamento, è un aggiornamento articolato, prossimamente porteremo l’aggiornamento all’approvazione del Consiglio”.
Perché questo aggiornamento è così riservato, tanto da lasciare il parlamento all’oscuro? Perché siamo ancora nella fase in cui si sta ancora analizzando il documento, la risposta dell’AD.
Dopo lo scorso servizio di Report sul Ponte, Claudio Borri, membro del comitato scientifico del progetto Ponte sullo Stretto, aveva scritto a Ranucci, lamentandosi della mancanza di contraddittorio e dando una notizia a proposito della relazione di aggiornamento del progetto definitivo: la relazione esiste ed è corposa, ben 780 pagine, che Borri ha mostrato in pubblico anche in più occasioni.
Ma poi quando il giornalista gli chiede di mostrare la relazione aggiornata, ha ottenuto un rifiuto, “non rilascio interviste”. Insomma la relazione è segreta e non può essere mostrata nemmeno ad un deputato della Repubblica, ma un consulente della commissione scientifica del Ponte può mostrarla in pubblico, ma non a Report?

“Non so cosa Borri abbia scritto, se c’è un misundestanding, lui non può averla presentata in pubblico .. non vi siete intesi” la risposta di Ciucci.
Di fronte a questo atteggiamento poco chiaro, incalzare l’interlocutore (che ha un incarico pagato dallo Stato, da tutti noi) rischia di portare ad una denuncia per stalking, come Sgarbi poche settimane fa, anche Borri parla di stalking.



Ma il ponte sullo stretto è un’opera che s’ha da fare: secondo studi scientifici porterebbe anche ad una riduzione dell’emissione di co2 in atmosfera, il ministro in aula parla di 140mila tonnellate di co2 risparmiate (“ossidi, idrocarburi e quant’altro..”). In realtà Report ha scoperto che non esisterebbe alcun studio scientifico che porta a queste conclusioni, secondo studi indipendenti la riduzione di co2 sarebbe molto meno.
Lo studio citato da Salvini sarebbe stato realizzato da un ingegnere che lavora come consulente per Eurolink (il consorzio che deve costruire il ponte), che nemmeno è un ricercatore esperto di inquinamento, ma un membro del Rotary e fa parte di una associazione civica che punta molto sulla costruzione del ponte di Messina. Nello studio infatti è riportato che “le note non hanno pretesa di scientificità”, anche perché alla base dello studio c’è l’assunto che i traghetti non circoleranno più.
Il ministro Salvini ha verificato le fonti di questo non studio? Ha verificato chi fosse l’ingegnere, consulente di Eurolink, dunque con un ruolo da lobbista (non indipendente)?
Mollica era presente ad un convegno a Firenze, assieme a Borri (membro del comitato scientifico): non ha preso bene la presenza del giornalista di Report e delle sue domande, definendolo “pennivendolo, poveraccio..”.
Le immagini sono pubbliche, ognuno si faccia la sua opinione.

La scheda del servizio: DO UT DES di Danilo Procaccianti

Collaborazione Andrea Tornago

 

L’Anas, la più grande stazione appaltante del Paese, è finita nel mirino della Procura di Roma per presunta corruzione: i dirigenti avrebbero fornito informazioni riservate sulle gare in cambio di promozioni. Tutto ruota intorno alla Inver, la società di consulenza della famiglia Verdini, fondata tra gli altri dal figlio dell’ex senatore Denis, Tommaso Verdini, e dalla figlia Francesca, compagna del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Tra i dirigenti che si rivolgevano alla Inver c’è Omar Mandosi, nominato responsabile delle risorse umane della società Stretto di Messina, il concessionario del ponte sullo Stretto, la grande opera su cui il ministro Salvini ha puntato tutto.

 

 

La standardizzazione del vino

“La standardizzazione non è solo in chi fa il vino, ma anche negli assaggiatori che dicono ‘questo vino è di questa doc..’, ci sono delle doc più blasonate dove dei colleghi che fanno vini naturali sono stati dichiarati fuori Doc, perché non erano riconosciuti conformi agli standard che la commissione di assaggio doveva rispettare.. è chiaro che se io assaggio dieci vini standard e tutti quanti hanno quei sentori lì, poi mi assaggio un Sauvignon che fa fuori standard, ma è Sauvignon, fermentato spontaneamente, quello viene dichiarato fuori norma”.

A parlare così è Pero Riccardi, proprietario delle cantine Riccardi Reale: il vino, da prodotto di eccellenza, rischia di trasformarsi in un prodotto standardizzato dove aromi, sapori, sono tutti predefiniti e stabiliti come vuole il mercato.
Ci sono i lieviti aggiunti al vino, che provengono è vero dall’uva ma sono prodotti dalle grandi industrie multinazionali, con tanto di brevetto: c’è il rischio di una standardizzazione del vino? No, secondo il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarell: “il lievito trasforma gli zuccheri in alcool, ci sono lieviti che estraggono dal mosto, dalla buccia sensazioni più forti ma non è che danno le loro sensazioni, agiscono in maniera diversa su quell’uva, estrapolando caratteri chge possono essere positivi o negativi. Sta all’enologo sapere quali valorizzare, ma non è che un lievito può dare un corpo e una personalità ad un vino, è l’uva che da personalità.”
Eppure nelle etichette dei lieviti stessi ci sono indicazioni diverse: “produce di per sé una serie di sostanze aromatiche [..] che conferiscono al vino un gradevole aroma di frutta fresca, per questo motivo 71B viene consigliato per ottenere vini giovani e di pronta beva e per tutte quelle varietà carenti di sostanze aromatiche proprie o prive di una loro personalità” – è sempre Riccardi a spiegare al giornalista di Report “non ha un’uva che hai dovuto coltivare per produrre qualcosa di quel vigneto, di quella terra, con quel clima, non hai personalità, non ha importanza..”

La scheda del servizio: IL NEMICO IN CASA di Emanuele Bellano

Collaborazione Chiara D’Ambros

 

L'Italia è tra i paesi al mondo dove si beve più vino: oltre i 200 milioni di ettolitri all'anno. Ma questo vino è espressione di territori specifici e tipici, certificati dalle denominazioni di origine, o al contrario ampie porzioni di produzione sono sempre più scollate da un territorio di riferimento e puntano a sapori standardizzati ottenuti attraverso l'uso di tecnologie messe a disposizione dalla chimica alimentare? I lieviti selezionati sono prodotti da multinazionali che sviluppano, brevettano e poi vendono in tutto il mondo i loro prodotti. Il risultato è la creazione di vini che dalla California alla Francia, all'Italia e all'Australia finiscono per avere sapori standard e ricorrenti: banana, pompelmo, gelsomino, e così via. Attraverso una serie di documenti inediti e testimonianze di persone che lavorano nel settore del vino Report ricostruisce meccanismi e casi specifici sia di grandi produttori e aziende imbottigliatrici sia di piccoli produttori che creano il loro vino dalla vigna alla bottiglia.

 

La neve artificiale (e la sua sostenibilità)

La neve è diventata così preziosa che siamo arrivati a conservarla – racconta il servizio di Antonella Cignarale nell’anteprima: nella piana centrale di Livigno è accumulata una montagna di neve, coperta da teli isolanti e conservata per circa 6 mesi. Si chiama snow farming la tecnica: superati i mesi estivi la neve viene prelevata e distesa sulle piste di sci di fondo. La neve stoccata non viene tirata fuori non solo quando non c’è quella naturale, ma anche quando ha appena nevicato, come hanno fatto a Gressoney in Valle D’Aosta: neve conservata dieci mesi – racconta il sindaco a Report – per essere riutilizzata più volte, finita la stagione sciistica la neve viene dunque raccolta per essere conservata, c’è una perdita del 30%, con un costo di circa 10-15mila euro all’anno. Difficile accorgersi della differenza tra neve fresca e neve “riciclata”.
Anche ai piedi del Cervino è stato necessario ricorrere alla neve riciclata per le gare di coppa del mondo raccontano a Report i responsabili della Cervino SPA, società che gestisce i 26 impianti di risalita per le 4 stazioni sciistiche, serve 150km di piste e il collegamento all’impianto di Zermatt in Svizzera, il più alto collegamento transalpino in funivia. Proprio per : progetto che però non ha avuto ancora il benestare della natura, la prima edizione nel 2022 è stata cancellata a causa delle temperature alte e dell’insufficienza di neve. Lo scorso novembre è stato il vento a non essere clemente, la neve c’era perché, memori della scarsità dell’anno precedente, ne avevano preparata anche di più. Per lo snow farming hanno previsto un 50% di neve in più, per una spesa di circa 200mila euro: si tratta di circa 50 mila metri cubi in più con questa tecnica. Se l’evento sportivo anziché essere disputato in autunno fosse pianificato per fine inverno ci sarebbe bisogno di meno neve, come ha suggerito la campionessa Federica Brignone subito dopo l’annullamento della gara: da anni promuove progetti di sostenibilità ambientale, a Report racconta che “spingere per fare delle gare così presto significa impiegare tante macchine, impiegare tanta neve artificiale, rischiare di perdere delle gare. Invece negli ultimi anni a fine stagione c’è sempre stata neve e si potrebbero fare le gare, l’anno scorso ad aprile maggio c’erano ancora condizioni invernali, buone per sciare, c’era neve fresca fino alle ginocchia, era bellissimo.. ”

La scheda del servizio: BIANCO CANNONE di Antonella Cignarale

Collaborazione Paola Gottardi

 

Non c’è Natale o gara di sci senza la neve programmata. Se una volta la neve programmata rappresentava un’aggiunta a quella naturale per migliorare il manto sciistico, adesso è diventata essenziale per garantire lo svolgimento della stagione invernale e per disputare una gara di Coppa del Mondo. Un generatore di neve può produrre in un’ora l’equivalente di 10 camion pieni di neve e ci sono anche generatori che possono produrla a 15, 20 gradi. È possibile generare diverse qualità di neve tecnica per soddisfare le differenti esigenze dei clienti, ovvero di chi ci scia sopra. È un tassello fondamentale per l’attività degli impianti sciistici, del turismo invernale e quindi dell’economia delle comunità montane, così preziosa che oltre a produrla poi si conserva. Serve l’acqua, tanta, e le temperature idonee per spararla, un match che deve fare i conti con la natura.

 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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