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"Animal farm" di George Orwell

Dopo aver sottoposto il manoscritto all’attenzione degli editori britannici, in pieno secondo conflitto mondiale, George Orwell dovette aspettare parecchi anni, per vedere il suo libro pubblicato solo a guerra conclusa, non volendo rischiare di guastare le relazioni fra la Gran Bretagna e il suo nuovo alleato, l’URSS: questo la dice già lunga sulla sconvolgente portata di un testo come “La fattoria degli animali”.
 
La vicenda si svolge in una campagna inglese, più precisamente nella fattoria padronale del vecchio fattore Jones, ed ha come protagonisti gli animali che vivono nella fattoria.
 
Un giorno un maiale, chiamato il Vecchio Maggiore, riceve in sogno un’incredibile visione e riunisce gli animali per condividerla con tutti loro. Nel sogno il Vecchio Maggiore ha visto una fattoria in cui gli animali non venivano più sfruttati dall’uomo e vivevano in una comunità in cui tutti erano uguali e i prodotti del loro lavoro erano equamente divisi secondo i bisogni di ognuno. Infatti, fa notare a tutti il Vecchio Maggiore: “l’uomo è l’unica creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il re di tutti gli animali” perché dunque sottostare al suo controllo e subire il suo quotidiano sfruttamento?"
La conclusione del discorso del Vecchio Maggiore è molto semplice: “l’uomo è il solo, vero nemico che abbiamo. Si tolga l’uomo dalla scena e sarà tolta per sempre la causa della fame e della fatica.”.
 
Alla morte del Vecchio Maggiore, due maiali, Napoleon e Palla di neve, si pongono a capo di quella che sarà una vera e propria rivoluzione. Tuttavia, dopo aver scacciato gli uomini dalla fattoria, le cose prendono una piega ben diversa.
Quella di Napoleon degenera in una feroce dittatura che gli animali, meno liberi e più sfruttati di prima, non riescono ormai a distinguere da quella umana. 
 
Non è tanto difficile capire, quindi, perché questo libro fu ritenuto dannoso per le relazioni diplomatiche fra l’Inghilterra e l’URSS: l’intero racconto non è altro che una geniale allegoria dello svolgimento e della “degenerazione” della rivoluzione bolscevica.
 
Ogni personaggio de “La fattoria degli animali” rappresenta alla perfezione le figure storiche o gli strati sociali protagonisti della Russia rivoluzionaria: Il Vecchio Maggiore, con le sue teorie, sarebbe l’equivalente di Lenin o dello stesso Marx, Napoleon rappresenterebbe il dittatore Stalin e Palla di Neve il sincero rivoluzionario TrotskijOgni evento rispecchia la realtà storica della rivoluzione, come la requisizione delle uova alle galline da parte di Napoleon, che non può non ricordare l’uccisione dei kulaki ucraini che si opponevano alla collettivizzazione dei beni e al cosiddetto “comunismo di guerra”.
 
Tralasciando però questa condivisa interpretazione, il libro offre un chiaro messaggio etico, semplice e diretto come la morale delle favole di Fedro o Esopo: nessun uomo (o animale) riuscirà mai a debellare il desiderio di potere. I maiali, guardando all’uomo come il detentore del potere assoluto, non potranno mai divenire altro da lui, ma da quello stesso potere sono attratti a divenire simili ad esso, in tutto e per tutto. Come sintetizza magnificamente Orwell: “Le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo e dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due”.
 
Proprio come nelle antiche favole l’analisi avviene attraverso l’uso degli animali che però non sono altro che categorie umane di vizio e virtù. Quindi, estendendo questa morale non più solo a quella bolscevica, ma a tutte le rivoluzioni, il libro mette impietosamente in luce l’impossibilità di queste, essendo insita del cuore umano la brama di potere che rende impossibile fare veramente un passo in avanti, rimanendo bloccati in un infinito ciclo di rivoluzioni e restaurazioni, restaurazioni e rivoluzioni, sotto cui si cela sempre e solo la bramosia di potere.
 
Lucida analisi del perverso meccanismo del totalitarismo (combattuto dallo stesso Orwell), i cui ingredienti ci balzano davanti agli occhi chiari come il sole nelle vicende della fattoria: dalla manipolazione dell’informazione, alla cancellazione degli organi di rappresentanza, dal controllo applicato persino alla storia, all’uso sistematico della violenza.
 
Quello che fa di un’opera qualcosa di più, insegnamento universale per tutti, in tutti i luoghi e in tutte le epoche, è proprio il carattere di atemporalità che “La fattoria degli animali” prende in prestito dalla favola greca e latina, con quello studio unico dello stato e della sociologia a cui George Orwell ci ha sempre abituato. 
 
Dallo stile semplice e scorrevole, potente satira nascosta sotto il (neanche troppo spesso) velo di una storiella quasi da bambini, la favola fedriana de “La fattoria degli animali” non costituisce solo un’ottima lettura, ma un’occasione per riflettere sulla società e sull’uomo, sullo stato e sui sentimenti, su ciò di cui abbiamo bisogno e su ciò di cui non potremo fare mai davvero a meno.
In sostanza, un ottimo invito per pensare.
 
Perché come scrisse lo stesso Orwell: “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”.

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