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"American Psycho": la musica pop nel romanzo di Bret Easton Ellis

Discendere e sguazzare, per darne un’immagine fedele, dentro un inferno di edonismo, quello degli ‘Eighties’ dominato dal denaro, dallo yuppismo sfrenato, dai ristoranti e dalle grandi marche della moda, da un consumismo senza moderazioni e fine a se stesso, dalla frenesia finanziaria indotta dalle continue oscillazioni dei risultati di borsa. Sembrano questi, in breve, gli intenti dell’autore americano Bret Easton Ellis (Los Angeles, 1964) e lo scenario che fa da sfondo alle ‘gesta’ del protagonista di ‘American Psycho’, suo romanzo uscito nel 1991. ‘American psycho’ riassume i tratti di uno spaccato esistenziale, quello di Pat Bateman, 26 anni, laureato ad Harward, manager presso la banca di famiglia, psicopatico e assassino spietato nelle notti, fumose o gelide, i dettagli non sono irrilevanti, di New York.

Bateman è alienato dall’uso della cocaina, dalla ossessione per gli abiti di lusso e da quella per i bar che fanno tendenza, per i ristoranti e i locali notturni più frequentati specie dai suoi ‘amici’ Mc Dermott, Price e Van Patten, più genericamente da coloro che più contano nel mondo dell’alta finanza. Smodate, frivole e insensate appaiono la sua passione per il Patty Winter show, programma televisivo dove vengono discussi argomenti oltremodo futili, le sue manie per l’alta tecnologia degli impianti stereo e per l’estetica degli arredi e degli accessori di lusso che egli utilizza nella vita quotidiana. “Questa è opera di fantasia – afferma Easton Ellis facendo riferimento alla gran mole di citazioni presenti nel libro riferite a persone, case produttrici o prodotti di marchi famosi - Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo, tranne che per occasionali riferimenti a personaggi pubblici, prodotti o servizi, sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente, né intesi come denigratori dei prodotti o dei servizi di alcuna società.” [1]

Leggendo questo libro mi è parso di cogliere una bizzarra comunanza tra i continui riferimenti di Easton Ellis a personaggi della musica moderna e il massiccio impiego che della musica pop fece anche Marco Ferreri nell’ambito della colonna sonora suo film ‘Dillinger è morto’ (Italia 1969); tuttavia il libro di Easton Ellis sembra assegnare alla musica un ruolo in qualche modo ‘purificante’, come si vedrà.

In uno dei suoi pochi, veramente molto pochi momenti di lucidità mentale, Pat Bateman sintetizza così il vuoto incredibile di cui è costituita la sua ‘lussuosissima’ vita: “Che cosa significa l’intelligenza? Come definire la ragione? Il desiderio – non ha senso. L’intelletto non è una medicina. La giustizia è morta. Paura, recriminazioni, innocenza, simpatia, colpa, perdita, fallimento, dolore, erano cose, emozioni, che nessuno sentiva più sul serio. Il pensiero è inutile, il mondo è privo di significato. Il male è l’unica cosa permanente. Dio non è vivo. L’amore non è degno di fiducia. La superficie, la superficie, la superficie, ecco l’unica cosa in cui ciascuno trovava un qualche significato … questa era la civiltà dal mio punto di vista , colossale e frastagliata…” [2]

Il ruolo giocato dalla tecnologia (sistemi di registrazione e riproduzione musicale, cellulari, apparecchi telefonici et similia, tutti strumenti di cui viene fornita una descrizione maniacalmente precisa) e dalla musica pop all’interno del tessuto narrativo del libro appaiono davvero notevoli. I nomi delle celebrità del pop sono tantissimi: Si va da Sting a Madonna, dai Traveling Wilburys alle Crystals, alle Ronettes, alle Shirelles [3], ed ancora dai Talking Heads ai Megadeth e agli INXS, da Paul Butterfield, vecchio leone del blues bianco di Chicago, Stephen Bishop e Cristopher Cross ai Lovin’ Spoonful, Belinda Carlisle, George Michael, Jefferson Airplane, Phil Collins, Bobby Mc Ferrin, Bon Jovi; dulcis in fundo i Beatles, di cui si cita la canzone ‘A day in the life’ e i Rolling Stones, dei quali viene semplicemente riportato il titolo di una delle loro canzoni più conosciute: ‘Simpathy for the Devil’. Niente male questa colonna sonora che fa da sfondo alle imprese di un efferato serial killer che svolge la professione ufficiale di agente di cambio e opera quotidianamente negli ambienti finanziari di Wall Street; ci sarebbe da chiedersi se il particolare commento musicale, che viene definito da Easton Ellis in maniera talmente minuziosa che sembra quasi di sentirlo, rifletta le stesse preferenze in materia nutrite dall’autore. Ma c’è ancora di più, in American Psycho: alcuni irresistibili capitoli che raccontano con dovizia di particolari e competenze da specialista di rock music i dischi e la musica dei Genesis, degli Huey Lewis & the News e di Whitney Houston. Le pagine, per così dire, ‘musicali’ del romanzo sono lucide, perfette quasi, e vengono poste in netta contrapposizione con il resto dell’opera, in particolare con il profilo psicologico e culturale del sinistro personaggio incarnato da Pat Bateman. Inserite all’interno della crudezza generale degli avvenimenti che costituiscono la trama del libro, queste pagine ci presentano un Bateman almeno temporaneamente consapevole e finalmente, in qualche modo, a suo agio con se stesso; esse irradiano di colori tiepidi e animano con guizzi insperati di vitalità l’esistenza quotidiana del protagonista calata nell’orrore e nel dolore, elementi, gli ultimi due, che nel libro di Easton Ellis, quelli che non lo hanno ancora letto devono credermi, abbondano.

 

[1] Cfr. Bret Easton Ellis, American Psycho, Einaudi, Torino 2001, p.2. Titolo Originale: American Psycho, trad. italiana di Giuseppe Culicchia.

[2] Cfr. Bret Easton Ellis, American Psycho…, op.cit., p.484. Titolo Originale: American Psycho, trad. di Giuseppe Culicchia.

[3] Crystals, Ronettes e Shirelles sono tre gruppi canori femminili che ebbero particolare fortuna discografica negli anni Sessanta.

 

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