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Adam Smith e le rotonde (rotatorie, roundabout, rondeau) stradali

Il nordest dell’italica penisola, si sa, è ricco. Quasi per definizione, quasi come l’inscindibile patronimico degli eroi omerici della grande epica greca. Declamato da anni come traino del paese con il suo fervido sottobosco economico di piccole e piccolissime imprese, specchio di uno stimolo all’iniziativa personale radicata che col tempo si è cristallizzata in una forte cultura imprenditoriale, anche durante l’attuale periodo di crisi ha mantenuto un suo status più differenziato, nonostante le sferzate di regressione hanno colpito molte ditte e aziende, sopratutto la dignità di tante, troppe persone, oltre che le loro tasche e c/c bancari.


C'è un'altra cosa di cui il nordest è ricco. Sopratutto la provincia di Treviso, dove risiedo. Sono le rotonde stradali (conosciute anche come rotatorie, con contaminazioni inglesi - roundabout, e francesi - rondeau). Fuor di dubbio i vantaggi di questa modalità di gestire le intersezioni stradali - riduzione di code, tempi d'attesa, rischio d'incidenti, polveri sottili e particolati vari, consumo di carburante e costi sociali della gestione alternativa degli incroci stradali; aumento di sicurezza per tutti gli utenti della strada, soprattutto per i più deboli. Ma il suo abuso, quasi fosse una panacea applicabile a tutte le situazioni di traffico ha portato a snaturarne l'utilità, anche per l'incapacità di tanti automobilisti che non hanno neanche sfogliato il manuale su come approcciarsi all'uso corretto delle manovre all'interno della rotonda, manco fosse uno strano disco volante piazzato senza senso in mezzo alla strada.

Nei miei spostamenti stradali, bombardato dall'incontro con le rotonde - prontamente evidenziate dalla segnaletica e da imponenti cartelloni sensibilizzatori al centro di esse - la mia mente (malata, direte voi) si è pensata, distaccandosi rischiosamente dalla necessaria concentrazione di chi è alla guida, a come questi modi di regolamentare il traffico siano la più efficiente metafora che un docente di economia possa usare per spiegare alle matricole il liberismo economico, ben sapendo che una metafora calzante è a volte più didatticamente efficace di tante spiegazioni.
 
(Piccola nota biografica: il mio prof. di Lettere al liceo, parlandoci del Farinata degli Uberti descritto da Dante, lo dipinse come una sorta di Fabio Cannavaro, che dritto da la cintola in su, si erge tutto orgoglioso, col petto in fuori, dal suo loculo; nessuno di noi ha più dimenticato Farinata).
 
Bene; pensate di dovervi immettere in una rotonda non proprio ben riuscita, dove lo spartitraffico centrale ha un diametro non sufficientemente grande da permettere una circolazione fluida e dove le intersezioni che vi s'immettono sono talmente ravvicinate - e magari a doppia corsia - che non vi danno il tempo materiale di potervi tranquillamente inserire nel flusso di traffico perché i veicoli alla vostra sinistra già si fanno incombenti. Eccovi dunque costretti a manovre più o meno azzardate, a seconda del vostro grado di propensione al rischio automobilistico e alla vostra capacità con pedali e volante, nonché del vostro grado di ritardo e di distanza della meta da raggiungere. Dovrete assumervi certi rischi e prendere l'iniziativa per entrare nella rotonda, cercando poi di uscire illesi da questa esperienza.
 
 
Niente di più vicino a quanto Adam Smith e gli economisti classici e neoclassici hanno teorizzato per il libero mercato. Nelle rotonde, una "mano invisibile" fa sì che questo meccanismo diventi qualcosa di postivo per il sistema di traffico complessivo lasciando fare alla libera iniziativa del singolo, spinto dall'egoismo di proseguire nel proprio tragitto, assumendosi il rischio dell'entrata sul mercato (=rotatoria) sulla base delle rapide informazioni che si hanno sui concorrenti, ovvero gli altri veicoli, e di ciò che come imprenditore (=automobilista) è in grado di fare. Le informazioni sugli altri giocano un ruolo chiave per comprendere il comportamento dei nostri concorrenti e per reagire adattando la nostra gestione del veicolo, come per esempio indicare la via che si intende seguire mettendo le frecce direzionali. E' forse per evitare di sbandierare la prorpia strategia sul mercato che nessuno le mette.
 
Pensando ai vari modelli teorici dell'economia all'interno di questa metafora stradale, possiamo tracciare un continuum che va dalle grandi rotonde del liberismo ai rigidi sistemi centralizzati di semafori coadiuvati da vigli urbani dei teorici che si fanno paladini dell'intervento statale per regolare il sistema economico, passando per forme più o meno intermedie come la soluzione keynesiana.
 
Testimonianze di come sia difficile l'equilibrio fra queste impostazioni del sistema economico è sotto gli occhi di tutti, anche di chi di economia non capisce un tubo.
 
E forse per questo che non abbiamo risolto il problema del traffico all'ora di punta.
 
Credits Foto: Wikipedia

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