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Aborto e legge 194/78: un Ministro della Salute raramente in forma

Eccolo lì. Ancora un altro richiamo del Consiglio d’Europa si è aggiunto di recente alla già lunga lista, e ancora una volta arriva sull’applicazione della legge 194/78 in materia di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Una prima sberla all’Italia su questo delicato tema era già arrivata circa due anni fa, su ricorso della Laiga. L’8 Marzo 2014, infatti, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa aveva sancito che l’Italia violava i diritti delle donne a causa dell’elevato (e crescente) numero di medici obiettori di coscienza. A scanso di equivoci è bene ricordare che il ministro della salute in carica al momento di quella sentenza era lo stesso in carica oggi, ma evidentemente nulla è cambiato dal momento che lo scorso 11 Aprile 2016, a distanza di tre anni dal reclamo da parte della Cgil (n. 91/2013), è arrivata unaseconda sberla.

Il Consiglio d’Europa anche stavolta stabilisce e accerta ancora due principali inadempienze: “In Italia le donne che cercano accesso ai servizi di Ivg continuano ad avere difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge 194/78” e che “L’Italia discrimina i medici e il personale non medico che non si dichiara obiettore di coscienza, che sono vittime di diversi tipi di svantaggi diretti ed indiretti”. Tradotto: in Italia si viola il diritto alla salute delle donne e si discriminano intere categorie di lavoratori, la cui paradossale colpa è solo quella di svolgere il proprio lavoro e di prestare il servizio previsto dalla legge. Fin qui, su questa notizia non ci sarebbe da aggiungere altro rispetto alle croniche difficoltà risapute che negli anni abbiamo registrato anche noi a livello territoriale, attraverso i nostri Circoli, sull’applicazione della legge 194/78. La solita storia di uno Stato di diritto traballante e ostaggio dei moniti di una Chiesa ingerente sui temi etici, istituzioni ed enti regionali pasticcioni nel risolvere i problemi dei cittadini più deboli, politici per lo più inetti o dalle posizioni ideologiche e religiose integraliste in materia di aborto, i quali volutamente spesso si disinteressano alle difficoltà delle donne e del loro faticoso percorso per interrompere una gravidanza.

Se oggi viene sancito dall’Europa che l’Italia viola diritti e discrimina individui per una pessima applicazione della legge sull’aborto, non c’è da stupirsi insomma. In compenso di questa sentenza si è detta addirittura “molto stupita” l’unica persona che di certo non avrebbe dovuto stupirsi: il ministro della salute Beatrice Lorenzin (Ncd). Non avrebbe dovuto stupirsi per due ragioni ben precise: la prima è che se non è chiara ed evidente l’infamante situazione dell’applicazione della legge sull’aborto nel nostro Paese a chi, secondo quella stessa legge (art. 16), è chiamato a relazionare annualmente sulla sua attuazione, significa che abbiamo a che fare con un ministro che definire impreparato è un eufemismo. La seconda ragione è che la sentenza del Consiglio d’Europa sulle violazioni e mancanze italiche in materia di aborto non risale a pochi giorni fa, bensì allo scorso Ottobre 2015, e contrariamente a quanto millantato da Lorenzin per minimizzare la portata della sentenza, con dati aggiornati a quella data.

 

Il Consiglio d’Europa infatti, per prassi, concede ai Paesi membri dei mesi di sospensione entro i quali poter risolvere le problematiche evidenziate dalle sue sentenze. Sospensione che consiste anche nel non divulgare subito la sentenza emessa. Sospensione che ovviamente il governo di cui fa parte la sbalordita Lorenzin ha pensato bene di avvalersi fino alla scadenza dell’11 Aprile scorso, quando il Consiglio d’Europa ha avuto piena facoltà di diffondere la sua sentenza. Un ministro che oggi afferma, peraltro con una certa disinvoltura, di essere stupia riguardo a una sentenza di cui era già a conoscenza da almeno quattro mesi, non è solo un ministro che cade dal pero ma è un ministro che intenzionalmente, non è capace di svolgere il lavoro che gli è stato affidato.

Riguardo a questo pessimo teatrino, ci duole affondare ancora su un punto incoerente riguardante i diritti e le tanto sbandierate “dignità delle donne” da parte del ministro di questo nostro governo. Poco più di un mese fa infatti, durante l’acceso e aspro dibattito sulla “stepchild adoption” e sulla legge per le unioni civili, fu proprio Lorenzin a strumentalizzare la maternità surrogata, a impugnare le bandiere parigine per la messa al bando universale della gestazione per altri, e ad auto elevarsi a sostenitrice della condanna globale di tale pratica, adducendo proprio allo svilimento delle dignità delle donne e alla pratica abominevole.

Alla luce di questa e delle precedenti sentenze del Consiglio d’Europa, e con il forte sospetto di volute imperizie di Lorenzin nel seguire le gravi problematiche relative alla piena applicazione della legge 194/78, difficile non dedurre che per il ministro la “dignità delle donne” funzioni a fasi alterne e a seconda delle proprie comodità e opportunità politico ideologiche. Essere un ministro che palesa la sua inadeguatezza in modo deliberato, e manifesta la sua attenzione alla dignità delle donne solo “a orologeria”, sarebbe una posizione di cui provare imbarazzo per qualsiasi individuo chiamato a far fronte ai problemi dei cittadini. Se poi questo ministro dovrebbe anche onorare il loro diritto alla salute, sarebbe un motivo in più per vergognarsi.

Come associazione siamo sensibili e vicini ai temi che riguardano i diritti delle donne sul loro corpo, al riconoscimento della loro autodeterminazione e delle loro libere scelte. Insieme ad altre associazioni e realtà non possiamo non dirci anche noi soddisfatti di questa sentenza che ribadisce quanto sosteniamo da tempo. È necessario, oggi più che mai, l’impegno di tutti per riaprire al più presto un ampio confronto e dibattito pubblico sull’applicazione della legge 194/78. Non possiamo più tollerare situazioni di inadempienza, inettitudine, e incompetenza, a scapito delle donne, dei medici e del personale sanitario non obiettore, ai quali va tutta la nostra solidarietà.

Paul Manoni

Questo articolo è stato pubblicato qui

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