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A Soave i fanti ricordano la battaglia di Nikolajewka

Sono undici anni consecutivi che a Soave (VR) si commemora l'anniversario della drammatica battaglia di Nikolajewka, sul fronte russo, ove perirono tante giovani vite di cinque Nazioni. Nel 2002 infatti è stato inaugurato il monumento ai caduti e sabato 1° febbraio, giusto un mese fa, si è svolta la cerimonia nel ricordo dei soldati che vissero l’inferno della ritirata dalla Campagna di Russia.

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Deposizione corona d’alloro al Monumento per Nikolajewka

IL MONUMENTO IN MEMORIA DI NIKOLAJEWKA

La costruzione del monumento, iniziata nel 2008, è stata appoggiata dalle associazioni combattentistiche (Unirr, Ana, Unuci, Assoarma, Anupsa, Combattenti e reduci) e dalle province di Verona e Mantova. La Regione Veneto, inoltre, ha contribuito con un finanziamento per l’esecuzione dell’opera. I club del distretto Rotary 2060 sono intervenuti sostenendo l’onere di gran parte delle opere murarie e del gruppo statuario. Il progetto esecutivo, delle opere e delle statue bronzee è del Col. Ing. Gaetano De Nicolò, che si è prestato gratuitamente.

Promotore è stato l'On.le Gastone Savio: “Il nostro è un appuntamento annuale, perché nel gennaio del 1943 si concluse la ritirata dalla campagna di Russia, con l’uscita da Nikolajewka dei soldati, da sotto il ponte della ferrovia. Il monumento è dedicato ai caduti di tutte le Nazioni che si incontrarono e scontrarono sul Don: Germania, Italia, Romania, Russia, Ungheria e simboleggia proprio il passaggio da dove i militari sono usciti, per guadagnare la libertà. È un messaggio destinato ai giovani: la pace non è gratuita ma si conquista giorno dopo giorno”.

Alla cerimonia era presente la Federazione provinciale dei Fanti di Verona, il cui Presidente Vasco Bellini, assieme a un rappresentante degli Alpini, ha acceso la lampada a olio davanti al monumento. In corteo è pure sfilata il mezzo che portava il medagliere della Provincia di Verona.

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Il medagliere della Federazione Provinciale di Verona dei Fanti sfila per la città di Soave

I FANTI IN RUSSIA

Il dramma dei soldati italiani in Russia ci è stato tramandato dai libri di I libri di Mario Rigoni Stern e dalle memorie dei reduci, sempre più rari. Le penne nere degli Alpini, ma anche i vessilli degli altri reparti, soprattutto Fanteria e Carabinieri, furono “mangiati” dal freddo della piana del Don, divenuta sacca e per migliaia tomba immacolata. I soldati rimasero laggiù, in Russia, a causa di quella spericolata e folle impresa: andare a fare la guerra contro un nemico che disponeva di enormi risorse e che aveva dalla sua persino il clima.

Ricordiamo che la Fanteria è il reparto che più ha immolato soldati nelle guerre italiane: furono 282.918 nella sola II Guerra Mondiale.

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Il Gen. C.A. Giuseppe Nicola Tota e gli studenti intonano l’Inno di Mameli

LA CONFERENZA A SOAVE

Alla cerimonia al monumento è seguita una conferenza in Rocca Sveva, ove hanno parlato il sindaco di Soave Gaetano Tebaldi: “Porgo il saluto dell’Amministrazione, nel 76° anniversario della Campagna di Russia, sono 11 anni che il nostro paese ospita questo evento per dire “mai più”! Un saluto particolare ai reduci dalla Russia e ai loro familiari. La Campagna di Russia dimostrò l’inutilità della guerra; alcuni ritengono che l’ispirazione dell’art. 11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra” provenga proprio da quei fatti”.

Erano presenti inoltre rappresentanti della Regione Veneto, del Rotary e il dott. Roberto Soriolo, Presidente della Cantina che ospitava l’evento: “I nostri soldati sono stati inviati al fronte seguendo ideali di fedeltà, patriottismo, organizzati dallo Stato che ci metteva uomini, mezzi, strutture. Ma al momento del ritorno tutto questo non c’era più: né strutture, né organizzazione e per scampare si sono aiutati fra militari, fra amici. E da questi fatti si comprende che il valore di auto aiuto e di fare comunità, è indispensabile nei momenti difficili”.

Infine l'intervento “a braccio” del Gen. C.A. Giuseppe Nicola Tota, dedicato agli studenti degli Istituti superiori G. Dal Cero e G. Veronese di San Bonifacio: “La partecipazione di questi giovani mi ha impressionato, perché quando c’è stato l’alzabandiera, loro ci stavano osservando, non partecipando. Non hanno cantato l’Inno nazionale. Questo mi fa riflettere perché coglievo degli interrogativi nei loro sguardi, si chiedevano cosa stavamo facendo. Poi i ragazzi hanno letto le testimonianze dei reduci: essi sono giovani come coloro che 77 anni fa le hanno vissute, perché nelle guerre a rimetterci sono sempre i giovani. Queste le cerimonie le facciamo non per parlare da un palco, ma per i ragazzi, affinché studino la storia, leggano libri diversi fra loro, facciano confronti. Mameli aveva 20 anni quando scrisse l’Inno d’Italia, le guerre d’Indipendenza sono state fatte dai giovani, da loro è stata voluta l’Unità d’Italia. Cantare insieme l’Inno è sentirsi figli, padri, nonni, di quell'Unità fortemente voluta dai giovani italiani. E’ avere coscienza di quei valori, onore, amicizia, tradizione, che vale la pena difendere: Nikolajewka, El Alamein, Amba Alagi, perché sono state importanti queste tre grandi sconfitte? Perché hanno messo in crisi un’intera Nazione. L’illusione che era nei cuori di quei ragazzi è venuta a mancare. I comandi li hanno messi difronte ai carri armati con la baionetta. Lì i nostri nonni e padri non hanno più creduto al regime fascista, all’alleanza con la Germania. E questi pensieri sono arrivati alle famiglie, aprendoci la strada verso la democrazia”.

Quindi, con un colpo di scena, il Generale ha invitato gli studenti a tornare sul palco, per intonare insieme l'Inno di Mameli, cantato stavolta a gran voce e con emozione anche dal pubblico in Sala.

Alla cerimonia erano presenti due reduci di Nikolajewka: Marino Ambrosi di Sona (che ha compiuto 100 anni il 02.02.2020) e Giuseppe Pippa di S. Zeno di Montagna, di anni 98. A entrambi è stato consegnato un attestato di benemerenza dal Comune di Soave.

A fine giornata siamo stati avvicinati dal figlio di un combattente di Nikolajewka, di Bussolengo (VR), il cui papà è deceduto da molti anni: “Concordo nel dare visibilità e sostegno alla sen. Liliana Segre sui media, per la sua tragica esperienza di vita. Ma ci stiamo dimenticando che molti altri italiani – tra cui mio padre, che tornò da Mauthausen – furono distrutti sia nel fisico che nell’anima. Sosteniamo la Segre e con lei anche gli altri reduci dai campi di concentramento, di qualsiasi nazionalità o etnia, perché tutti hanno molto sofferto”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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