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8xmille: nuovo brutto colpo per le casse della Chiesa

8xmille: continua il calo di preferenze per la Chiesa cattolica, che perde 205 mila firme, mentre si conferma il trend in favore dello Stato, che ne guadagna 84 mila. Sono questi i dati (provvisori) relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2022 (anno di imposta 2021) pubblicati ieri dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

«Si tratta di un altro brutto colpo per le casse della Chiesa, che già aveva perso 1,7 milioni di preferenze nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti italiani nel triennio 2019-2021», sottolinea Roberto Grendene, segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar). «Sono infatti diversi anni che si assottiglia la quota di contribuenti che decide di destinare il proprio 8 per mille alla Chiesa. Ciononostante, per quel perverso meccanismo per cui le quote non espresse – quelle che non vengono destinate, perché il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi – sono comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute, con meno del 28% dei contribuenti che nel 2022 ha scelto espressamente la Chiesa cattolica, i vescovi incasseranno oltre il 69% di quel miliardo e 400 milioni che, più o meno stabilmente nell’ultimo quinquennio, corrisponde all’8×1000 dell’Irpef versata all’erario ogni anno dai contribuenti italiani».

«Questo – prosegue Grendene – non accade con il 5×1000, dove non solo le scelte inespresse restano alla fiscalità generale (e quindi 28% resterebbe 28%), ma dove la platea dei beneficiari che possono essere scelti dai contribuenti supera ormai le 70 mila unità tra le sole associazioni del terzo settore. Per l’8×1000 invece è il governo che decide arbitrariamente chi ammettere alla lotteria milionaria. E così, dal varo della legge 222/1985 che istituì l’8×1000, alla Chiesa cattolica i governi italiani hanno affiancato solamente altre 11 confessioni religiose, abilmente selezionate per arrecare il minor disturbo possibile agli introiti dei vescovi».

Un’altra brutta notizia per la Cei arriva dai dati definitivi del riparto 2023, che mostrano un pesante conguaglio di 36,5 milioni che i vescovi dovranno restituire allo Stato, conseguenza di una ben più pesante diminuzione di contributi pubblici a favore della Chiesa.

«Se nel 2022 l’esborso dalla casse dello Stato verso quelle della Cei era stato di 1 miliardo e 111 milioni, i dati definitivi appena pubblicati dal Dipartimento delle Finanze per il riparto 2023 fanno crollare la cifra a 1 miliardo e 2 milioni», spiega Grendene. «Trovano così finalmente spiegazione i dati comunicati alla stampa dai cardinali Zuppi e Betori lo scorso maggio, evidentemente informati in via esclusiva dal ministero. I cardinali – precisa Grendene – avevano però dato la colpa della diminuzione di 100 milioni del contributo per la loro organizzazione alla corrispondente diminuzione del gettito Irpef, ma questo risulterebbe falso a leggere i dati sul sito del Dipartimento delle Finanze. A essere ripartiti nel 2022 risultano infatti 1.434.336.721 euro contro 1.412.556.164 euro dei dati definitivi per la ripartizione 2023. Un calo di soli 22 milioni. La verità è che – pur se protetta da un meccanismo iniquo e da un governo silente al punto di non chiedere ai contribuenti di scegliere ‘Stato’ per ottenere dall’8×1000 i fondi per le popolazioni colpite dall’alluvione – sempre meno contribuenti (meno del 28%) ritengono giusto finanziare la Chiesa cattolica con i fondi della fiscalità generale. Un segnale incoraggiante di cui non possiamo che rallegrarci».

Da sottolineare infine come per la prima volta il ministero abbia pubblicato i dati di dettaglio sulle destinazioni preferite dai contribuenti che scelgono “Stato”: a ricevere quasi la metà delle preferenze espresse (49%) è l’edilizia scolastica, a seguire gli interventi per far fronte alle calamità naturali (22%) e alla fame nel mondo (13%), quindi i beni culturali (12%) e l’assistenza ai rifugiati (4%).

Comunicato stampa

 

 

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