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11/9: L’altissimo prezzo del gioco.

E’ il prezzo del gioco tra follia occidentale e integralista.
Può il citizen journalism, affrontare un disegno così grande e fare qualcosa per fermarlo? Comunicazione dal basso potrebbe voler dire anche ascoltare e diffondere le voci "dal basso" del popolo islamico, per scoprire finalmente le carte e mettere fuori gioco chi continua a fomentare il mondo occidentale contro l’altra civiltà.

Quel maledetto 11/9 faceva caldo. Ero in auto con due dei miei fratelli, e la sete ci ha fatto fermare in un bar. Ricordo che sfogliavo il giornale su di un tavolino, distrattamente, mentre mi godevo l’aria condizionata. La barista, finito di guardare non so quale programma in TV, cambiò canale. Una voce stupita ed emozionata, e le immagini mi colpirono come un pugno. Vidi Manhattan in fiamme, ancora il cronista parlava di un incidente aereo, ancora nessuno, forse, aveva capito la nefasta realtà che si celava dietro quella tragedia già di per se così bruciante.
Le domande correvano dentro il mio cervello: Quante povere vite stroncate dal gioco tremendo del destino? Com’è potuto accadere? La gente avrà fatto in tempo a fuggire?

Lo shock per me fu grande, ricordo che tornai a casa accesi il televisore, e pochi istanti dopo sentii la voce in sottofondo del cronista CNN urlare "Oh no! God!".
Ricordo di aver visto un’enorme sfera di fuoco sprigionarsi dalle torri, di aver detto a mia madre "probabilmente è esploso un serbatoio dell’aereo", ed intanto sentivo un’onda di disperazione montare nel cervello, le lacrime annebbiarmi la vista, rendendomi conto che qualcuno era intrappolato in quell’inferno...

Sono passati 7 giorni dal giorno della commemorazione, ed anni da quel momento me ne rendo conto, ma credo che il tempo non riuscirà mai a cancellare il senso di rabbia esterrefatta che provai quando capii per la prima volta che tutto questo era stato fatto per volontà umana.

Ancora oggi sento lo stomaco contrarsi e le lacrime bagnarmi le palpebre, per la desolazione che provai in quell’istante. Ero desolato e mi sentivo colpevole. Qualcuno, un’essere umano, aveva deciso di causare la morte di migliaia di persone, altri esseri umani, per raggiungere uno scopo. Qualsiasi fosse lo scopo di quell’azione, provai vergogna ed indignazione al tempo stesso. Sentii, come essere umano, che l’odio era andato fin troppo oltre la ragionevolezza. Che il confine che separa l’umanità dalla crudeltà era stato cancellato ancora una volta. E mi sentii colpevole. Colpevole per aver prestato poca parte del mio interesse nei problemi del mondo, colpevole per aver taciuto la mia indignazione quando gli USA scatenarono la "tempesta nel deserto" contro l’Iraq. Colpevole per non aver deprecato pubblicamente l’invasione del Qwait, del Pakistan.

Di colpo mi resi conto che quella tragedia riguardava me come essere umano, come appartenente ad una società occidentale, come rappresentante di una civiltà rispetto ad un’altra. Ricordo anche che mi chiesi come si sentivano le madri di quei terroristi, se di terroristi si trattava. Ricordo di aver pensato che chi aveva ideato quell’orrore ha madre e padre e fratelli e sorelle come me, amici ed affetti che vanno e vengono per il mondo come i miei amici ed i miei affetti.

Porto ancora dentro nel cuore tante domande: Com’è possibile che qualcuno arrivi a questo? Come può un palestinese, essere umano come me, gioire per questa tragedia? Cosa prova una madre mussulmana nel sentire che l’occidente accusa suo figlio di aver voluto questo? Rabbia o vergogna?

Probabilmente desolazione tanta quanta ne provo io.

Disperazione nel sapere che qualcuno usa il suo malcontento per giustificare una tragedia così profonda. Esattamente come la provo io.


Quindi è inutile chiedersi chi sia stato, se Bin Laden, un folle accecato dall’odio, oppure Bush, un folle ancor più pericoloso in virtù dei poteri a lui conferiti, la cosa più giusta da fare è rifiutare questo gioco delle parti, ammettere che abbiamo sbagliato tutto, ed isolare chi propone violenza, sotto qualunque forma, bandiera ed ideologia. Richiedere il ritiro dei soldati, la dismissione delle velleità, l’accettazione della diversità delle nostre culture, e soprattutto farlo assieme a chi vive nell’islam e la pensa come noi.

Non credo che il magazziniere che vive in Iran viva una vita tanto diversa dalla mia, fatta di orari, lavoro pesante, paga esigua e vita cara.

Non credo che abbia provato un senso di trionfo di fronte alla morte di 3000 persone.

Credo che abbia provato la stessa impotenza che ho provato io, la stessa rabbia inutile, la stessa voglia di dire "basta, non ha senso".

In fin dei conti non credo che le scene di giubilo delle genti arabe circolate in TV dopo la tragedia fossero manifestazioni spontanee della maggioranza dei mussulmani.

Credo, anzi, so per certo che quello musulmano è un popolo estemamente civile e rispettoso della vita, Credo che l’integralismo religioso da una parte e l’integralismo occidentale dall’altra, siano folli forme di prepotenza e vessazione.
Noi siamo stati "educati" a interpretare il mondo mussulmano come un mondo strettamente legato alla religione e questo è vero in alcuni paesi dove l’islam impone regole per noi poco condivisibili.

Ma se ad esempio si rovesciasse la visuale, ci renderemmo forse conto che il mussulmano, potrebbe vedere gli USA come una nazione "Occidentalmente integralista", alla stregua di un Iran con il dollaro come profeta?

Cominciamo a comunicare con l’islam, con quella parte dell’islam che rifiuta come noi gli integralismi, un islam fatto di gente, la quale come noi, vive sperando in un mondo migliore.

Cominciamo così, da dove siamo: dal "basso".

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