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Inflazione, quello sporco ultimo miglio

Negli Stati Uniti l'inflazione conferma di aver rialzato la testa. Solo una buca in un percorso accidentato o sottovalutazione delle mega-forze all'opera nel mondo? E quanto potrà dirsi al riparo l'Eurozona?

Il dato di inflazione al consumo degli Stati Uniti in marzo ha causato un nuovo forte spasmo ai mercati finanziari. La variazione mensile è stata dello 0,4 per cento, sia complessivo che al netto delle componenti volatili di alimentari ed energia, e porta il tendenziale rispettivamente a 3,5 per cento e 3,8 per cento. I prezzi dei capitoli energia e abitazione restano caldi. Il secondo in particolare appare per ora sconfessare le aspettative degli osservatori, che lo prevedevano in progressivo raffreddamento in corso d’anno.

INVERSIONE DI TENDENZA

Prendendo le variazioni annualizzate di prezzi su differenti archi temporali si ha una prima grezza ma efficace indicazione delle tendenze in atto, lente e veloci. Inequivocabile la recente accelerazione, come ben spiegato da questo post su X dell’economista Jason Furman:

Che accadrà, quindi? Le speranze di disinflazione sono evaporate? Eppure la Federal Reserve e i suoi cacofonici esponenti paiono confermare l’ipotesi di tre tagli per complessivi 75 centesimi, da qui a fine anno. Di certo i mercati stanno progressivamente diventando scettici, e oggi prezzano tagli dei tassi in misura inferiore alle ipotesi della banca centrale. Pare essersi materializzata la profezia che voleva il primo tratto di riduzione della dinamica dei prezzi piuttosto semplice da conseguire, mentre il cosiddetto “ultimo miglio”, quello che dovrebbe riportare al 2 per cento annuo, sarebbe stato molto più impegnativo.

Poi ci sono i pessimisti come Larry Summers, che addirittura ipotizza possa essere necessario un ulteriore aumento dei tassi. Circostanza che avrebbe effetti dirompenti sui mercati. Chi mi segue e mi ascolta nel podcast sa che da tempo sto segnalando il rischio di risvegli ruvidi su inflazione e tassi.

Continua a sembrarmi assai poco realistico pensare a tagli dei tassi con un’economia, quella americana, che cresce tra il 2,5 e il 3 per cento e un rapporto deficit-Pil che oscilla tra il 6 e il 7 per cento. E anche questo sto segnalando da tempo.

“SONO STATE LE IMPRESE APPROFITTATRICI”

I sostenitori della tesi della “transitorietà lunga” dell’inflazione, come Paul Krugman, non ritengono ancora di dover modificare la propria lettura. Quello che mi colpisce, però, è l’atteggiamento dell’Amministrazione Biden. Che non trova di meglio, di fronte a dati di nuova accelerazione delle pressioni inflazionistiche, che tirare fuori la storia delle aziende che “speculano” per proteggere i propri profitti. Sembra di essere nell’Italietta anticapitalista, da destra a sinistra, mentre si scorda che l’offerta fa quello che vuole se la domanda regge, e quest’ultima viene alimentata dai deficit.

Nel frattempo gli americani insistono, nei sondaggi, a essere preoccupati e arrabbiati per la condizione dell’economia. Un vero e proprio enigma, che peraltro appare tracciato in prevalenza per linee partitiche, con i sostenitori dei Repubblicani che tendono a esprimere stati d’animo da imminente remake della Grande Depressione. Ma anche gli elettori Democratici non sembrano esattamente entusiasti della situazione.

Soprattutto, mi pare che anche negli Stati Uniti il discorso pubblico si sia perso la distinzione tra livelli e flussi. Nel senso che, anche se l’inflazione rallenta, il livello dei prezzi resta in media circa il 20 per cento più alto di quando Biden è entrato alla Casa Bianca. Questo pesa, non solo con riferimento alla variabile che determina gli esiti elettorali americani in modo da sempre pesante: il costo dei rifornimenti di carburante. E lì le cose non vanno bene, ovviamente.

EUROZONA DISACCOPPIATA O IMPICCATA?

E in Europa? Qui la Bce ribadisce la propria “indipendenza” dalla Federal Reserve. Il che significa che, se le condizioni dovessero consentirlo, potrà tagliare i tassi prima e più della consorella di oltre Atlantico. Ma questa eventualità, pur se teoricamente ineccepibile, suscita timori legati all’andamento del cambio tra euro e dollaro. Con un’Eurozona che tagliasse e Stati Uniti che non lo facessero o lo facessero molto meno, si aprirebbe un differenziale di tassi che a sua volta causerebbe un forte apprezzamento del dollaro.

L’Eurozona, in quel caso, importerebbe inflazione, anche considerando la ripresa dei prezzi delle materie prime. La Bce, a quel punto, potrebbe decidere di sospendere l’allentamento monetario, e ci ritroveremmo a rischio di stagflazione. Non esistono camere stagne, nell’economia globale. Men che mai sui mercati finanziari.

Come si nota, ci sono molti argomenti di riflessione. Nel caso di scenario di persistente inflazione e di conseguente ritardo o rinvio dell’allentamento monetario, i grandi debitori pubblici e privati tornerebbero a soffrire, trovandosi costretti a rinnovare prestiti a condizioni molto penalizzanti. Se a ciò aggiungiamo i rischi della situazione geopolitica, la pressione sui costi derivante dalla parziale deglobalizzazione, la crescente spinta a fare deficit come causa ed effetto di populismo ed anche di esigenze di riarmo, si comprende che difficilmente lo scenario centrale di questo periodo potrà essere quello della disinflazione.

In questo contesto, crescerebbe il rischio di incidenti finanziari, ad esempio legati a dissesti di grandi debitori pubblici e privati, a cui le banche centrali tenterebbero di rispondere come fatto a marzo dello scorso anno con la crisi delle banche di comunità, aperta dalla Silicon Valley Bank, cioè iniettando grandi quantità di liquidità nel sistema. Che tuttavia, se non sterilizzate, abbasserebbero tutta la struttura dei tassi causando stimoli espansivi non voluti.

MEGA-FORZE E LETTURE OTTIMISTICHE

In questo momento, paiono all’opera alcune mega-forze che vanno in direzione opposta alla disinflazione. E per ora non possiamo attenderci l’arrivo della cavalleria della prodigiosa crescita di produttività indotta dalla diffusione di applicazioni dell’intelligenza artificiale.

Per dovere di completezza, devo segnalare che esiste anche una lettura meno pessimista della situazione attuale, che sostiene che l’inflazione a questi livelli non è una vera minaccia, dopo tutto, e che la crescita economica appare rassicurante. Motivo per cui si potrebbe proseguire così, con le banche centrali che non dicono esplicitamente di aver rinunciato al target del 2 per cento di inflazione ma che lo raggiungeranno.

Questa lettura ottimistica non mi convince, perché occorre considerare il contributo alla crescita fornito dai deficit pubblici, e la loro sostenibilità. Certo, se la crescita fosse tale da eccedere confortevolmente il costo medio del debito, quindi riducendo il rapporto d’indebitamento, potremmo andare in visibilio e ritenere di aver scoperto il moto perpetuo. Sfortunatamente, le previsioni sull’evoluzione del rapporto d’indebitamento non sembrano essere d’accordo con questa lettura. E dubito lo sarebbero anche i cosiddetti bond vigilantes.

Si continua quindi a procedere a vista, su un sentiero molto stretto.

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