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Carne santa (l’agnello di Dio muore male)

Una recente sentenza della Corte di Strasburgo legittima i divieti sulla macellazione rituale ebraica e islamica. Viene affermato un principio importante dal punto di vista laico: la “libertà” religiosa non può pretendere deroghe sulla tutela degli animali. La responsabile iniziative legali dell’Uaar Adele Orioli approfondisce la questione sul numero 2/2024 di Nessun Dogma

Con una decisione epocale planata a metà febbraio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto legittimo e compatibile con gli articoli 9 e 14 della Convenzione (rispettivamente diritto di libertà religiosa e divieto di discriminazione) il divieto di deroga alla macellazione animale previo stordimento.

Facciamo un passo indietro. Tramite il Regolamento 1099/2009 l’Unione Europea ha già normato la questione, con efficacia cogente anche per i singoli Stati membri, imponendo che «durante l’abbattimento e le operazioni correlate devono essere risparmiati agli animali dolori, ansia o sofferenza»: di norma il bestiame viene infatti stordito tramite gas o con la cosiddetta elettronarcosi.

Tuttavia, anche per venire incontro all’ampio margine di discrezionalità che la Ue lascia agli Stati su argomenti che potremmo definire religiosamente sensibili, il Regolamento stesso prevede una vistosa (e stridente) possibilità di deroga in caso di macellazione rituale religiosa.

Macellazione rituale che, halal per l’islam, kosher per l’ebraismo, prevede un unico taglio netto alla gola (senza però che vi sia decapitazione) «mediante un coltello affilatissimo in modo che possano essere recisi con un unico taglio contemporaneamente l’esofago, la trachea e i grossi vasi sanguigni del collo», al quale segue una lentissima e dolorosa agonia dell’animale che viene lasciato dissanguarsi completamente senza alcun lenitivo, nemmeno farmacologico.

Per quanto già tre Paesi nell’Unione (Svezia, Slovenia e Danimarca) abbiano da tempo vietato questa pratica, il caso dal quale è scaturita la decisione ha visto nello specifico le comunità islamiche ed ebraiche ricorrere contro il divieto regionale belga di macellazione senza previo stordimento, lamentando una violazione della loro libertà religiosa che, per essere esercitata, impone un’alimentazione strettamente controllata da procedure ritenute sacre e inderogabili.

Nel rimanere strettamente nella nostra prospettiva di osservazione, a rendere epocale questa netta presa di posizione della Corte europea dei diritti umani (che ha risposto picche, per usare un linguaggio tecnico, a due confessioni religiose capaci di notevole esercizio di advocacy – quello che noi chiamiamo lobbying) non è l’avere considerato il benessere animale come bene tutelato e tutelabile dalla morale pubblica (secondo la Corte, insomma, tale morale pubblica non può essere intesa come finalizzata esclusivamente alla tutela della dignità umana nelle relazioni tra le persone, senza riguardo alcuno alla sofferenza degli animali), cosa che comunque impone una riflessione in altri ambiti.

Epocale piuttosto per aver subordinato ad altri valori eticamente e socialmente condivisi la tutela del sacro in quanto tale. Il Belgio insomma non ha violato il suo margine di discrezionalità e il divieto non può considerarsi una ingiustificata intromissione e ingerenza nella libertà religiosa degli individui.

Anzi, rincara la Corte, le autorità nazionali hanno intrapreso un’azione giustificata e da ritenere proporzionata allo scopo perseguito, vale a dire la tutela del benessere animale.

Per una volta la pretesa cultuale non ha vinto a mani basse per una supposta superiorità dell’esigenza religiosa rispetto a tutte le altre. Non occorre essere animalisti per far partire gli applausi, insomma.

E in Italia? Ovviamente se possiamo derogare… e che non deroghiamo? Anzi, siamo talmente bravi che lo facciamo da più di quarant’anni. È del 11 giugno 1980 infatti il decreto ministeriale che autorizza, in deroga appunto al previo stordimento, la macellazione rituale halal e kosher.

A dirla proprio tutta, all’epoca non era solo e non tanto la tutela del sacro a interessare, vista la allora poco consistente rilevanza numerica di entrambe le comunità, quanto piuttosto la concreta possibilità commerciale di esportazione di pregiata carne, italica e santa.

D’altronde in tempi decisamente più recenti persino un veneto doc (anzi docg) come il presidente Luca Zaia è arrivato a magnificare le doti del prosecco analcolico (sic!) solo perché destinato a un opulento e religiosamente astemio mercato arabo.

Nel frattempo la kasherut ebraica ha ricevuto diretta protezione costituzionale, con l’Intesa stipulata in forza dell’articolo 8 e trasfusa nella legge 101 del 1989, mentre la popolazione di religione islamica è notevolmente cresciuta per numero e diffusione.

Non che in realtà quello della carne santa sia un mercato poi così florido quanto potrebbe sembrare, non fosse altro perché è carissima.

Vuoi per le caratteristiche di assoluta perfezione fisica che deve possedere l’animale da macellare, vuoi per la capacità di compiere le operazioni rituali di abbattimento che, soprattutto nella kasherut, rimane confinata nelle mani di pochi individui e di pochissime famiglie.

Poche comunque le speranze che venga pertanto colto al balzo, come invece dovrebbe, l’esprit di questa sentenza, che rimane tuttavia non solo un buon precedente ma un altrettanto consistente macigno ermeneutico per il contemperamento vicendevole dei diritti umani all’interno del complesso e complessivo “vivere sociale”.

Certo, il thema decidendum, quello dei diritti animali rispetto ai diritti umani in senso ampio, è vasto e intricato, difficilmente riconducibile ad assiomi o a dogmi precostituiti, coinvolgendo anche la sensibilità strettamente individuale a partire dalle scelte alimentari. In ogni caso esula dalle capacità di analisi di chi scrive.

Di sicuro però in sempre più Paesi “civili e occidentali” (guarda caso spesso coincidenti) e, aggiungeremmo, razionali, si tenta di evitare la sofferenza, umana o animale che sia: e non è più sufficiente qualificarla come religiosa e religiosamente inflitta, rituale e sacra, per accettarla e persino proteggerla. In nome di un dio che non c’è, ma se ci fosse magari sarebbe pure vegano.

Adele Orioli

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