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Report: i nemici di Moro, gli oligarchi del mare, Sgarbi e il sindaco di Fiumicino

Dallo scorso anno il nuovo sindaco di Fiumicino è l’ex deputato Mario Baccini: ex tante cose, oggi amministra una città alle porte di Roma.

Come sta amministrando la città e chi ha finanziato la sua campagna elettorale?

Report ha raccontato del suo duplice ruolo, sindaco e presidente del Microcredito, ente pubblico che finanzia le piccole imprese in difficoltà.

Nel suo comune le consulenze dovrebbero essere state azzerate, ma secondo l’opposizione nelle riunioni del comune partecipano anche consulenti del sindaco, come l’avvocato Graziano come consulente giuridico (incarico pagato).
Come consulente giuridico non bastava il segretario generale, racconta Baccini “io ho il mio gabinetto con le mie consulenze”, quelle che doveva azzerare.

Baccini ha assunto altri consulenti o assessori persone legate all’area del centrodestra: per i consulenti non si bada a spese.

Altri soldi sono stati spesi per eventi e degustazioni, come per il convegno Terra e mare (dove non manca Coldiretti): l’evento è seguito da un giornale online a cui il comune paga 15mila euro per il solo convegno.

160mila euro per le luminarie, in una zona dove poi non c’è stato ritorno turistico: “quest’anno raddoppieremo” rassicura il sindaco.

Ma a Fregene, diversamente dal centro di Fiumicino, le luci non arrivano e le persone hanno paura ad uscire la sera: anche loro pagano le tasse e non possono essere il bancomat del comune.

Il 90% dei finanziamenti esterni (43mila euro) è stato erogato da un dipartimento di una misteriosa università, chiamata università anglo cattolica di San Paolo.

La giornalista di Report ha provato a chiamare al dipartimento fantasma, senza successo. Un buco nell’acqua anche la visita alla sede di Unisanpaolo.

La giornalista ha provato ad andare nella chiesa anglicana di Roma: anche qui niente da fare, nessuno conosce questa università.
Risalendo le fila delle persone società che hanno investito in Baccini si arriva a Focene, da una imprenditrice che il sindaco pure conosce 
e che sarebbe la direttrice del dipartimento.

A Report spiega che il dipartimento è chiuso, che lei lavora in una società di consulenza, che lei lavorava per un certo monsignore (almeno così veniva definito).

Alla fine questa università esiste virtualmente ma non rilascia titoli, è tutto aleatorio, “se i corsi sono partiti non lo so” racconta a Report la moglie del rettore.

Secondo il rettore di questa università “aleatoria” quel dipartimento non è mai esistito e che presenterà denuncia per quanto successo.

A Fiumicino dovrebbe sorgere un nuovo porto, dove dovrebbero arrivare le navi da crociera per attraccare: anzi i porti sono due, uno più grande dell’altro, uno privato e uno pubblico a pochi km di distanza. Il progetto è stato approvato lo scorso agosto: il comune dovrebbe controllare il progetto ma è coinvolto anche nell’iter del progetto, che avrà anche un forte impatto ambientale.

Si tratta di una concessione privata – spiega Baccini: la concessione è stata acquista da Fiuicino Waterfront, sarà una delle opere realizzate per il Giubileo ed è considerato strategico dal comune.

Anac ha chiesto la delibera del comune, quella di agosto dove ha stabilito la concessione.

AGGIORNAMENTO OLIGARCHI DEL MARE Di Luca Chianca

Il sistema Genova era già emerso lo scorso anno dal servizio di Report, “Gli oligarchi del mare”: si parlava del progetto della diga davanti al porto per accogliere le navi da 400 metri, con un forte impatto ambientale sull’ecosistema marino (quello che immagazzina più co2).

La nuova diga sarebbe costruita con soldi pubblici, si tratta di una scommessa fa 950 ml di euro solo per la prima fase, per arrivare ad altri 300 milione in una seconda fase.

L’ingegnere Silva aveva lavorato al progetto per poi dimettersi: parla a Report di una diga a rischio collasso, con conseguente aumento dei costi. Tanto paga il pubblico, si stima fino a 2 miliardi di euro (parola di Signorini, il presidente del porto).

La diga è stato un piacere fatto a Spinelli e Aponte (i due armatori che hanno finanziato Toti): per parlare del progetto Bucci e Toti sono andati a Ginevra con un aereo privato di Garrone.

Che male c’è – spiega Signorini - questi discorsi mi sembrano cose del passato.

Spinelli (come Aponte) ha finanziato le attività politiche di Toti, “noi facciamo beneficenza a tutte le parti”, spiega al telefono a Report. Mica lo ha finanziato per avere qualcosa in cambio..

Noi abbiamo ascoltato gli imprenditori” racconta a Report Toti: forse li ha ascoltati un po’ troppo, visto l’interesse della magistratura.

 

Svendesi capolavoro – di Manuele Bonaccorsi

C’è un quadro, recuperato dai carabinieri a Montecarlo lo scorso anno, che potrebbe costare un altro rinvio a giudizio all’ex sottosegretario Sgarbi: si tratta di una replica di un’opera d’arte, aveva spiegato a Report Sgarbi, il quadro non era mio, avevo fatto solo una expertice.
Ma la perizia fatta da esperti stabilisce che si tratta veramente di un’opera del 600, del pittore de Boulogne.

Report ha mostrato le prove che potrebbero creare altri problemi al critico Sgarbi: sono le chat dove parla della vendita dell’opera con tanto di commissione.

I NEMICI DI MORO E FALCONE Di Paolo Mondani

Report torna sul caso Moro, ricostruendo gli ultimi giorni della prigionia: il servizio parte con la trattativa portata avanti dall’ex vicesegretario Signorile viene interrotta dalla notizia del ritrovamento del cadavere di Moro (il 9 maggio 1978). Secondo Signorile il Viminale sarebbe venuto a conoscenza del cadavere attorno alle 11, prima della telefonata di Morucci al professor Tritto.

La verità giudiziaria si poggia sul memoriale di Valerio Morucci e della compagna Adriana Faranda: Morucci si è dimostrato reticente, come tutti i brigatisti, nel voler fare luce su tutte le zone d’ombra, sul memoriale.

I brigatisti non hanno pubblicato la parte del memoriale su Gladio, sui rapporti della DC e le banche, su Andreotti: secondo Signorile ci sarebbe un patto occulto tra la DC e i brigatisti per nascondere e proteggere i “nemici di Moro”.

Nel memoriale, ritrovare 12 anni dopo, Moro accusava il suo partito e il papa di aver fatto poco per la sua liberazione, di averlo abbandonato: “liberatelo così, senza condizione..”.

Nella rivista Metropoli di Scalzone e Piperno, pubblicata nel 1979, era presente un fumetto dove si ricostruiva la prigionia di Moro con particolare inediti: alla sceneggiatura hanno lavorato persone che sapevano dettagli precisi del sequestro e della morte di Moro.

“Non ci sono verità nascoste” dice oggi il disegnatore: ma nel fumetto si parla del garage del quartiere Prati (emerso solo nel 2018 dal lavoro della commissione Fioroni), è presente un personaggio che assomiglia a Senzani.

Quando sono stati arrestati Morucci e Piperno, nel suo alloggio di proprietà di un agente del KGB, era presente un elenco di brigatisti, forse materiale di scambio per una collaborazione.

Quel fumetto – secondo Signorile – era un modo per arrivare ad un perdono giudiziale: impunità per persone contigue alle BR per non essere processate. Signorile fa il nome dell’ex brigatista Senzani, ritenuti da molti suggeritore delle domande a Moro nella prigionia.

Come mai il memoriale non è stato reso pubblico?

Senzani oggi risponde che non avevano interessi nei media, l’avvenimento era troppo grande anche per noi: non si sono accorti i brigatisti che avevano in mano argomento tali da buttar giù la DC e lo Stato, come Gladio?

Senzani è considerato la mente dei sequestri Dozier, Taliercio, Cirillo, era in contatto con la scuola di lingue parigina Hyperion, era in contatto col responsabile della Gladio parigina.

Per Moro tutto cambia col comunicato 5, dove si parla di Taviani – referente italiano di Gladio - e di una mancata trattativa (su indicazione americana e tedesca): dopo quel comunicato le BR non pubblicano più nulla su Gladio. Come mai?

Nel 1983 a processo Prospero Gallinari raccontò che l’omicidio di Moro fu deciso per il progetto di solidarietà nazionale.

Gallinari fu arrestato dopo uno scontro a fuoco con la polizia: la sua cattura è raccontata dal collaboratore ex brigatista Di Cera che ha collaborato coi carabinieri di Mori.

Walter Di Cera racconta un’azione nel 1979 quando all’Asinara cercarono di far evadere i capo storici delle BR con una azione sanguinaria: i capi sarebbero usciti usando l’esplosivo che era stato portato in carcere dai familiari.

Gallinari, nel corso della preparazione dell’agguato all’Asinara, raccontò che in via Fani erano presenti due uomini dello Stato.

Nel 1979 al Cesis arriva un appunto su due brigatisti, intercettati in carcere: questa intercettazione rimane nel cassetto fino a metà anni 90, dove fu scoperta dall’avvocato Li Gotti.
Nelle intercettazioni si parla di nastri con la registrazione dell’interrogatorio, nastri poi presi da “altri” compagni, 
di un livello superiore, per nasconderli.

Si dice che Moro si faceva la doccia più volte al giorno, dunque Moro non era detenuto in via Montalcini. Si parla di altri soggetti non identificati nell’operazione Moro: nel memoria di Morucci si parla di solo nove brigatisti, ma forse quel giorno erano presenti molto di più.

Quelle registrazioni oggi sono dimenticate, perché non si prova a ripulirle, con le tecnologie di oggi?

La morte di Moro rientra nel campo della strategia della tensione, termine inventato dal quotidiano The Observer due giorni dopo la strage di Milano, nel dicembre 1969: tener fuori dall’area di governo il partito comunista in tutti i modi.

Nel memoriale Moro fa capire che quel termine, strategia della tensione, è riferito alla sua politica: la politica di apertura al PCI, a centri di potere diversi da quelli del patto atlantico.

Una politica in contrasto con i dettami della guerra fredda, come aveva cercato di fare con la sua politica energetica Enrico Mattei, ucciso in un attentato a Bascapè nel 1962.

Moro scrisse a Mattei di dimettersi: l’Italia poteva crescere economicamente, ma non politicamente. Anche economicamente non potevamo crescere: dopo il 1962 fu bloccato l’investimento di Olivetti, dell’Eni con la sua politica energetica.

Lo storico Giovanni Maria Ceci racconta del rapporto speciale tra l’amministrazione americana e Craxi, nato nei giorni del rapimento Moro: Craxi era considerato il leader naturale dagli americani, perché anticomunista, perché spaccava la Dc. La sua tattica sulla trattativa era di tipo “win win”, se Moro fosse stato ucciso poteva dirsi l’unico politico ad aver voluto trattare.

Anche lo storico e scrittore Giovanni Fasanella, autore di un saggio sul caso Moro (Il golpe inglese - Chiarelettere), ha toccato il punto delicato sugli interessi stranieri in Italia: assieme a Mario Jose Cereghino hanno studiato per anni i documenti via via desecretati dello spionaggio inglese in Italia conservati nei National Archives di Kew Gardens a Londra. Ed è qui che scoprono un tesoro rimasto sepolto per decenni anche sul caso Moro:

“Una serie di documenti sulle riunioni di una Commissione segreta del governo britannico che lavorò nei primi sei mesi del 1976. Questa Commissione aveva avuto il compito dal governo britannico di elaborare dei piani di guerra clandestina, di operazioni illegali e clandestine da attuare in Italia per neutralizzare la politica di Aldo Moro. Molte le ipotesi prese in considerazione, alla fine ne rimase una: colpo di Stato militare, classico. Questa opzione venne discussa con la Germania federale, la Francia e gli Stati Uniti d'America. All'epoca era Kissinger il referente di questa Commissione dei quindici del governo britannico. E naturalmente c’erano perplessità, c’era addirittura chi prevedeva il bagno di sangue nel caso in cui ci fosse stato un colpo di stato militare di destra. Alla fine cosa si decise? Si decise per il piano B, appoggio ad una diversa azione sovversiva.
Quali sono queste azioni sovversive nel dettaglio – ha chiesto nel servizio il giornalista di Report?

“La propaganda occulta, influenzare i giornali, corromperli, pagare i giornalisti, utilizzarli come strumento per condizionare la politica. Una volta individuato un nemico, a livello più basso, la corruzione. Se non funziona la corruzione, la macchina del fango, l’intimidazione, fino all’eliminazione fisica.”

Il vicesegretario socialista di quegli anni, Claudio Signorile, come raccontato nel precedente servizio di Report, mediò con le Brigate Rosse tramite alcune esponenti dell’autonomia operaia per la liberazione dello statista democristiano. Signorile aveva raccontato che nell’ultima settimana della prigionia le br furono “come affiancate”.
Nella vicenda Moro sono intervenute realtà esterne al brigatismo a condizionare la soluzione finale – è la tesi di Signorile, ma a che cosa si riferisce?
“Le provenienze sono queste, inglesi, americani ma in modo marginale, francesi, ma gli inglesi hanno il primato, perché hanno il 
ruolo di coordinamento, sono quelli responsabili dei processi politici. Quando loro dicono ‘i comunisti in Italia sono un problema serio che va affrontato fino alle estreme conseguenze..’”.
Gli inglesi erano anche nei partiti di governo, infiltravano anche i partiti, gli apparati: “mi sorprende che lei si sorprenda, fa parte della tecnica della capacità di infiltrazione inglese che in qualche modo tenevano aperta una porta di dialogo col brigatismo, quando era già passato alla lotta armata. Questo fatto mi è stato detto, mi sono stati indicati i luoghi dove tutto questo avveniva..”
C’erano, secondo quanto racconta l’ex vicesegretario del PSI, uomini dei servizi inglesi che incontravano dei brigatisti.

Per cercare una conferma alla tesi sulla eterodirezione delle br, se ci fosse qualcuno che le manovrava, Paolo Mondani ha sentito il professor Giovanni Maria Ceci – ordinario di storia contemporanea a Roma – che racconta di come dagli archivi americani non emerge alcuna infiltrazione nelle br di uomini dei servizi americani. Ma il professore riporta la testimonianza dell’ambasciatore americano del tempo, Richard Gardner (dell’amministrazione Carter)che avrebbe confermato l’esistenza di un infiltrato dentro le br.

Lo scrive proprio Gardner nelle sue memorie: gli americani avevano infiltrato le BR nel 1978.

Si ritorna a Pellegrino, ex presidente della commissione parlamentare stragi: Moro fu ucciso perché era in possesso e aveva dato ai brigatisti materiali su Gladio.

Pellegrino rivela una confidenza dell’ammiraglio Martini: “.. era stato il più longevo tra i direttori del servizio segreto militare (Sismi) e che all’epoca del sequestro Moro era al numero due del servizio. Mi disse, ‘io non le ho detto la verità’, cioè che aveva avuto uno scontro col ministro della Difesa Ruffilli”.

Pellegrino riporta le parole dell’ex numero due del Sismi: “Mi ero fatto dare delle dichiarazioni dagli uffici in cui si diceva che Moro non era in possesso di segreti sensibili e Ruffilli disse ‘allora possiamo stare tranquilli’ e io sbottai dicendo ‘proprio lei non può stare tranquillo perché da una cassaforte del suo ministero è sparito un documento su Gladio che esisteva soltanto in due copie. Una custodita a Roma e una custodita a Londra..’”.
Andretti, Cossiga, i membri del comitato di crisi tutti avevano la certezza che Moro avesse fatto avere questo documento riservato su Gladio alle br?
Risponde Pellegrin
o: “Dai comunicati delle br, il numero 3 e il numero 6, l’intelligence alleata capisce che le brigate rosse erano entrate in possesso di quel documento e dal quel momento decidono che non devono fare niente per salvare Moro.”

Si torna al cambio di rotta, che Pellegrino ha denunciato di fronte alla seconda commissione Moro: per i documenti di Gladio, perché aveva dato fastidio agli interessi inglesi (che sin dal 1976 era preoccupati dall’ascesa dei comunisti)?

Nel 1990 in via Monte Nevoso nel covo delle BR furono trovate le carte del memoriale e delle lettere di Moro: emerge dalle carte, analizzate dal direttore Di Sivo dell’archivio di Stato, il dissidio tra Moro e l’amministrazione Kissinger.

Nel testo del memoriale mancano delle parti? Mondani lo ha chiesto al direttore dell’archivio di Stato a Roma Michele di Sivo: “Ci sono solo due punti in cui sembrano non esserci e tutti e due riguardano i rapporti tra Giulio Andreotti e i servizi segreti ..”

Nella seconda parte del memoriale si parla del rapporto della DC e le banche, del rapporto di Andreotti e Sindona. Nella terza parte scrive di chi ritiene sia responsabile del rapimento: scrive del suo partito, di Andreotti (“lei passerà senza lasciare traccia”), scrive di rinunciare alle cariche.

Il generale Jucci, continua il servizio di Mondani, fu inviato da Moro nella Libia di Gheddafi nei primi anni 70: fu capo del controspionaggio comandando i carabinieri poi negli anni 80. Amico di Moro e di Cossiga, oggi a 98 anni racconta che se non ci sono dubbi che ad uccidere Moro siano stati i brigatisti, “ma certamente le br avevano dei burattinai, almeno io lo penso, come i burattinai li avevano chi cercava di liberare Moro”.

Fu allontanato da Roma nei giorni del rapimento, per far sì che non si occupasse della vicenda: se fosse stato presente avrebbe intercettato il monsignor Bernini, avrebbe intercettato gli amici di Moro che ricevevano le lettere dalle BR, oltre a Piperno e Scalzone.

Necomitato di crisi erano presenti persone vicine a Cossiga: era presente anche Pieczenick, che aveva un ruolo, non solo quello di salvare Moro.
Sugli errori commessi dagli investigatori aggiunge: “Quello che mi rammarica è che probabilmente questi errori furono fatti per volontà di farli.”

Le BR avrebbero avuto dietro un burattinaio, fa intendere Jucci e questo spiega perché le bR non avrebbero pubblicato le parti del memoriale su Andreotti e Sindona, su Gladio.

Ma anche lo Stato aveva dietro un burattinaio: Steve Pieczenick, il suo ruolo è stato tenuto nascosto, molte informazioni sono emerse dai leaks di Assange. Ma poi nelle sue memorie raccontò che Moro doveva morire per salvare l’Italia, quello alla fine fu la sua missione “da manipolatore” in Italia.

Cosa successe nella direzione della DC del 9 maggio 1978? Claudio Signorile attraverso Pace e Piperno era in contatto con Morucci per la trattativa, la speranza era viva perché Fanfani avrebbe proposto la trattativa alla direzione della DC.

Ma, come raccontato anche nel precedente servizio, quella mattina arriva al Viminale la notizia della morte di Moro, era tra le 10 e le 11.

Signorile ritiene di essere stato invitato al Viminale da Cossiga per essere testimone del ritrovamento del cadavere di Moro: la telefonata di Morucci di mezzogiorno serve a rimarcare il loro ruolo, sono stati loro ad uccidere Moro.

Se Cossiga aveva saputo in anticipo della R4 rossa, chi li aveva avvertiti?

La telefonata di Morucci è una recita di un percorso già scritto che nessuno doveva toccare: in quei momenti era in corso la direzione della DC ma, secondo Signorile, Fanfani sapeva già che Moro era morto.

Alla fine il governo Andreotti rimane in carica per approvare importanti riforme, come la legge sulla sanità e la legge Basaglia: ma la DC senza Moro non sarà più la stessa.

Il 1980 si apre con l’omicidio di Mattarella, presidente della regione Sicilia, poi successivamente le BR uccidono Bachelet. Tutti uomini del cambiamento, Mattarella sarebbe stato nominato vicesegretario della DC,aveva aperto l’amministrazione della regione al PCI di Pio La Torre, a sua volta ucciso nel 1982, per la sua battaglia contro la mafia e gli europ-missili a Comiso.

Muoiono tutti gli uomini del cambiamento e la DC diventa sempre più permeabile alle mafie.

Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 crolla il patto di omertà che legava centinaia di agenti segreti, gladiatori, professionisti dell’eversione di destra e altrettanti boss mafiosi che avevano collaborato alla strategia della destabilizzazione del nostro paese dal dopoguerra. Giovanni Falcone intuisce questo intreccio proprio mentre, anni dopo, sta indagando sull’omicidio di Piersanti Mattarella. Siamo a dicembre del 1991, Falcone è a cena da Pino Arlacchi, suo collaboratore al ministero degli Interni: “non disse una parola tutta la sera, finché non furono andati via tutti, gli ho detto ‘Giovanni sei stato zitto, molti di questi volevano parlare con te’. Lui disse non ho parlato perché sto appena tornando da Palermo e sono ancora immerso in tanti pensieri tentando di decifrare le informazioni che ho appena avuto, su tutta la situazione di cosa nostra, e su tutta la situazione degli ambienti che circondano cosa nostra, gli ambienti di Andreotti. Sono tutti in un grandissimo allarme, perché si sentono traditi, non si sentono più protetti dalla politica, il governo non fa più niente per loro. E inoltre ho parlato con una fonte molto importante a cui do credito che mi ha raccontato alcuni particolari dell’omicidio Mattarella che ha confermato quello che pensavo da tempo. Cioè che sia stato un caso Moro bis, c’erano la P2, Gladio e la mafia, per eliminare Mattarella in quanto si era messo sulla strada pericolosa, aveva superato la stessa linea rossa che aveva superato Moro, stava cercando un accordo coi comunisti in Sicilia.

Tutti gli apparati dello stato che avevano compiuto stragi nei decenni precedenti (i gladiatori, gli uomini dei servizi che li proteggevano) erano in allarme – racconta Arlacchi – per il cambiamento politico in corso: Giovanni Falcone salterà in aria il 23 maggio 1992, l’8 giugno successivo il ministro dell’Interno Scotti e di Giustizia Martelli approvarono il decreto che istituiva il 41 bis, un regime di detenzione che prevede l’isolamento dei boss di mafia per impedire il passaggio di ordini tra il carcere e il clan sul territorio. Un mese dopo a luglio, crollato il governo Andreotti, nasce il governo Amato, i due ministri vengono rimossi anche perché dopo il decreto si era scatenato l’inferno.
Lo racconta lo stesso ex ministro Scotti: “immediatamente il giorno dopo fu dichiarato dagli avvocati lo sciopero e la maggioranza alla commissione Affari Costituzionali pose il problema di incostituzionalità del provvedimento ..”
Da ministro dell’Interno – chiede Mondani – ebbe mai la sensazione che esistesse una relazione, addirittura un rapporto sistematico tra mafiosi corleonesi e alcuni componenti degli apparati dello Stato?
“L’ho sempre pensata così”.
Il governo Amato giura nei primi giorni di luglio del 1992, al posto di Scotti all’Interno viene nominato Nicola Mancino, al posto di Martelli al ministero di Grazia e Giustizia fu nominato Giovanni Conso e poi arrivò l’avvicendamento ai vertici del DAP di Niccolò Amato con Alberto Capriotti: in poche settimana furono tutti sostituiti i responsabili della linea dura contro la mafia.

Commenta Scotti oggi: “Prevalse la linea della convivenza che poi degenera facilmente in connivenza con la mafia.”

Alcuni mesi dopo l’applicazione del 41 bis venne fatta saltare per centinaia di mafiosi per mezzo di un intervento del ministro Conso: effetto del cambio di strategia contro la mafia, per una distensione dei rapporti “questo è un fatto non un’opinione” il commento di Scotti.

Un filo nero lega la morte di Moro con le stragi del 1992: si chiama strategia della tensione, l’inchiesta sui mandanti esterni sulle stragi di Falcone e Borsellino non è stata archiviata, la GIP ha chiesto di approfondire i rapporti tra mafia ed eversione nera, con i diari di Falcone dove parlava del delitto Mattarella.

Ma la commissione antimafia del governo di centrodestra sta approfondendo solo il filone sul rapporto mafia e appalti del ROS (su cui Paolo Borsellino aveva deciso di indagare): ma è stata quella la causa della morte di Falcone e Borsellino?

Secondo l’ex magistrato Scarpinato è un errore, le due stragi sono legate, la tesi secondo cui la tangentopoli siciliana dietro il rapporto del Ros è dietro la morte dei due magistrati non sta in piedi.

I politici siciliani delle tangenti erano finiti nel mirino della mafia perché erano ritenuti non più affidabili: questa tesi piace alla politica e al centrodestra perché ferma le indagini alla prima repubblica e non tocca i partiti della seconda, come Forza Italia.

La presidente Colosimo giustifica la scelta parlando della volontà dei figli di Borsellino, non c’è nessuna volontà di “settorializzare” ma vogliono andare a lavorare su una pista che è stata sottovalutata.

Però alla fine la pista sul rapporto mafia appalti mette d’accordo Mario Mori, ex generale del Ros, con l’avvocato Trizzino, che tutela la figlia del giudice Paolo Borsellino.

Gioacchino Natoli aveva lavorato con Borsellino a Palermo: il giudice ricorda che Borsellino non era contrario alla scelta di archiviare alcune posizioni, dunque non è vero che fosse isolato per le sue posizioni sul dossier del Ros. Tra l’altro l’inchiesta era comunque andata avanti, portando alla condanna del mafioso Buscemi.

Solo nell’ottobre del 1997 Mori e De Donno si presentano alla procura di Palermo sostenendo che il rapporto mafia e appalti fosse alla base della sua morte – ricorda oggi Natoli.

Secondo l’ex ministro Scotti Borsellino era preso da altro, rispetto al dossier del Ros: aveva saputo della trattativa dei carabinieri del Ros con la mafia, la Cassazione ha assolto tutti i carabinieri lo scorso anno per il processo “trattativa” con la formula “per non aver commesso il fatto”.

La sentenza di appello mette nero su bianco la trattativa che ci fu, tra l’ala moderata e pezzi dello Stato: la mancata perquisizione del covo di Riina era un pezzo della trattativa come la mancata cattura di Provenzano.

Non è stato provato il nesso causale tra l’azione del Ros e la prosecuzione delle stragi in continente: secondo il magistrato Di Matteo la sentenza della Cassazione è in contrasto con altre sentenze, come quelle di Firenze.

L’azione del Ros aveva fatto crescere l’idea nella mafia che le stragi avevano pagato: ma forse questa è una verità ancora indicibile per questo stato.

Uno stato dove ex condannati per mafia continuano ad avere un ruolo politico, nelle elezioni amministrative ed europee.
Il mondo all'incontrario.

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