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Romania, venti anni per dimenticare

Tra poco più di un mese saranno 20 anni dall’esecuzione della condanna a morte per Nicolae Ceausescu e sua moglie. La coppia aveva iniziato a cantare l’Internazionale ma alla quarta parola il plotone d’esecuzione aveva già fermato le loro voci. Nei confronti del dittatore romeno c’erano le accuse di crimini contro lo stato, genocidio e "distruzione dell’economia nazionale". Oggi, i giovani nati in Romania a ridosso di quei mesi, conoscono pochissimo la loro storia nazionale.

Non è un problema solo Romeno, è un problema di cultura della storia recente in un mondo dove si finisce per conoscere molto meglio quello che è successo 60 anni fa che non 20 o 10. Una ricerca del 2006 condotta dalla storica Mirela Murgescu tra gli studenti delle scuole superiori, ha evidenziato due dati importanti: i giovani hanno conoscenze frammentarie e imprecise di quanto accaduto nell’89 e la fonte primaria di informazione non è la scuola, ma le storie ascoltate in famiglia.

Il regime di Nicolae Ceausescu iniziò a cadere nella città di Timisoara, da dove le autorità volevano espellere il pastore riformato Lazlo Tokes perché nelle sue prediche non evitava di criticare il regime. Ma proprio a Timisoara un gruppo di fedeli, diventati centinaia nel giro di 24 ore, si radunò davanti alla casa del pastore. La polizia iniziò a colpire e a uccidere incurante dello sciopero dei lavoratori delle fabbriche che iniziò il 19 dicembre. Poi il 20 dopo il rifiuto del primo ministro rumeno di accogliere le richieste dei manifestanti, l’esercito si ritirò e Timisoara fu dichiarata città libera.

Il paese iniziò a capire che qualcosa stava cambiando solo grazie al passaparola perché i media nazionali si guardarono bene dal diffondere queste notizie. Il popolo, così, riuscì a radunarsi in piazza il 21 dicembre e a urlare contro Ceausescu, che non si aspettava per niente una simile reazione. È questo il momento del crollo definitivo del comunismo nell’est Europa.

Il 25 dicembre del 1989 i coniugi Ceausescu furono condannati a morte e l’esecuzione della condanna avvenne alcuni minuti dopo la pronuncia della sentenza. Ma ancora oggi sono in molti a credere che quella rivoluzione in realtà fosse solo un colpo di stato organizzato da anni e messo in pratica nel momento in cui il popolo sembrava abbastanza forte da decidere di manifestare.

La Romania che uscì da quella dittatura era però un paese allo sbando: il debito pubblico era stato interamente pagato nell’estate del 1989 ma per farlo i cittadini romeni erano stati sottoposti a una vita di rinunce e, dopo, per risanare il paese dal disastro si trovarono un debito 3 volte superiore. Oltre un quinto della città di Bucarest era stata demolita dal dittatore per ricostruirla nello stile voluto da Ceasescu. E, già allora, c’era la questione rom. Nicolae Ceausescu non sopportava di attraversare la strada tra Bucarest e Sibiu dove abitavano le comunità zingare. E non trovò soluzione migliore che organizzare una minideportazione dei rom nella riserva di Valea Lui Stan. Confinati lì, il destino per i rom non è cambiato nemmeno dopo la fine del regime dittatoriale e ancora oggi vivono in quella riserva, a malapena tollerati dai rumeni.

Sono tante le storie di quegli anni sotto il regime e di quei giorni che ridiedero speranza ad un paese intero: c’era chi, come Petre Roman (primo ministro postcomunista) insegnava idrotecnica al Politecnico ma non esitò un attimo a unirsi a operai e studenti mai visti prima affannati nell’erigere una barriera che potesse bloccare l’arrivo degli agenti della Securitate (che poi uccisero 39 persone); c’è chi, impiegato in una fabbrica, si trovò di colpo a compilare la lista di richieste dei rivoluzionari al primo ministro; c’è chi, come la scrittrice premio nobel Herta Muller, era costretto a vivere tutto questo esiliato in altri paesi, perché perseguitato dalla Securitate.

Sono passati 20 anni, da poco è uscito nelle sale italiane un film rumeno, “Racconti dell’età dell’oro”, che tra farsa e tragedia racconta l’epoca che ha portato solo fame e miseria nel paese. Oggi però, i giovani romeni sanno poco di quello che accadde. “Quello che so non lo devo certo alla scuola, ma ai miei genitori”, dice qualcuno. In questi giorni a Bucarest nella galleria d’arte Andreiana Mihail c’è una mostra con le foto di quegli anni. Foto che sorprendono i giovani, che dividono la società e le generazioni. Oggi la società rumena ha accantonato e rimosso gran parte delle domande relative ai convulsi giorni del dicembre 1989. Nel paese non si è arrivati a nessuna interpretazione veramente condivisa, e restano visioni polarizzate e distanti su quegli eventi.

I giovani nati nell’89 non danno grande importanza a quella data perché la Romania comunista fa parte di un mondo lontano, quasi grottesco. Non sanno di preciso cosa chiedevano i giovani che venti anni fa manifestavano contro la dittatura. Guardano al futuro, che sembra positivo, amano la Coca cola e McDonald’s perché sono americani e percepiscono l’ambiente globale come un luogo da cui, culturalmente, economicamente e socialmente ci sia più da guadagnare che da perdere.

Così il tempo non è servito per cercare di capire quegli anni ma è servito solo per dimenticarli e cercare di diventare “come gli altri”. I sogni dei ventenni del 1989 sono stati quasi dimenticati.

Tra poco più di un mese si festeggeranno i 20 anni dalla caduta del regime, ma per i nuovi giovani con sogni così diversi dai vecchi ventenni sarà una cerimonia come molte altre.

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