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Le bugie di Dell’Utri e i silenzi dei giornali

Era solo un udienza tecnica, quella di venerdì scorso a Torino. Il pentito Gaspare Spatuzza avrebbe dovuto confermare in aula le accuse già formulate alle procure antimafia contro il senatore Dell’Utri. Nient’altro. Nessuna “bomba atomica” sarebbe potuta esplodere: i giornalisti l’hanno disinnescata da anni.

Eppure intorno a questa udienza è stato creato un caso mediatico. Dirette, annunci, interviste, tv, misure di sicurezza straordinarie e un plotone di duecento giornalisti. Nessuna esagerazione: il processo Dell’Utri è senz’altro il processo eccellente di maggiore interesse di questo decennio. Un processo che, però, è andato avanti fino a questa estate privo di qualsiasi copertura mediatica. Senza una breve sui giornali. Persino l’Ansa nascondeva dal suo sito i resoconti delle udienze. L’udienza di venerdì è bastata ai giornalisti per lavarsi la coscienza. Un lavaggio veloce, toccata e fuga, senza notizie vere. Come successe per il maxi-processo di Falcone e Borsellino, quando i giornalisti si ritirarono da Palermo subito dopo la prima udienza. Quando Il Giornale di Montanelli lo chiamava “quello scontro annunciato che è il processone alle cosche”. Quando Il Giornale di Sicilia per giustificare il proprio silenzio sul processo titolava, in uno stile che oggi definiremmo minzoliniano, “Non facciamo del processo uno spettacolo da baraccone”. Il tempo passa, l’ipocrisia del giornalismo italiano no.

Lo dimostrano le domande penose dei giornalisti dopo il processo. Uno di loro ha chiesto al procuratore generale: “Lei non teme una smentita dai Graviano”? Il pg, giustamente indispettito, ha risposto: “Ma io non temo niente, perché io cerco la verità: se conferma, conferma. Se smentisce, smentisce. Non è che io voglio che lui confermi, né voglio che lui smentisca. Voglio che lui dica il vero. Se il vero è smentire, smentirà. Io non temo proprio niente.”

Oltre ai giornalisti berlusconizzati nel pensiero, secondo cui il pm corrisponde all’avvocato dell’accusa, ci sono i più tradizionali reticenti. Sono i giornalisti che a fine udienza circondano il senatore per porgli tutti la stessa domanda: “Cosa pensa di quello che ha detto Spatuzza?”. O la variante temeraria: “Ha mai conosciuto i Graviano?”. Lui, esercitando il suo legittimo diritto a difendersi, nega tutto e urla al complotto. Ma a fine smentita, riceve in risposta sempre le stesse domande. Quando dice che Spatuzza complotta ai suoi danni perché “se ne esce fuori dopo quindici anni”, nessun giornalista gli fa notare che Spatuzza non è il primo pentito a parlare, oltre che di una trattativa tra Cosa Nostra e Forza Italia, dei suoi rapporti con i Graviano. I pentiti (Antonino Giuffré, Gioacchino Pennino, Tullio Cannella, per citarne alcuni) ne parlano già da anni. Nessun giornalista gli chiede perché avesse annotato nella sua agenda un appuntamento con due favoreggiatori della latitanza dei Graviano insieme ai loro numeri di telefono. Nessun giornalista gli fa notare che c’è un intero capitolo nella sentenza di primo grado del processo intitolato “I Graviano”. Perché i giornalisti italiani non sono solo codardi, ma anche ignoranti con poca voglia di studiare.

L’unica giornalista che si contraddistingue in questa fanghiglia è Antonella Mascali de Il Fatto Quotidiano, che, per avere chiesto al senatore il motivo per cui consideri Vittorio Mangano, lo stalliere mafioso di casa Berlusconi, più attendibile di Spatuzza, viene presa a parolacce. E intorno a lei, da quella folla scombinata di giornalisti in lotta per avvicinare i loro microfoni a Dell’Utri, non si leva una sola voce in sua difesa. Un giornalista avrebbe potuto, anzi, rincarare la dose e chiedergli, già che la sua difesa ritiene Spatuzza inaffidabile in quanto ex mafioso e assassino, se per lo stesso motivo non si potrebbe ritenere inaffidabile l’avvocato Antonino Mormino, azzeccagarbugli di Dell’Utri, già difensore di Totò Riina, Luchino Bagarella e Antonino Giuffré, egli stesso indagato (e poi archiviato) per mafia e favoreggiamento, quindi promosso parlamentare di Forza Italia. E avrebbe potuto far notare a Dell’Utri che l’affidabilità di un pentito non dipende da quanti omicidi ha commesso, ma da quanto dice la verità. Come ha detto il pg Gatto in udienza: “Le buone persone non sanno niente. Le persone più sono cattive, più cose sanno”. E magari lo stesso giornalista avrebbe potuto chiedere a Dell’Utri per quale motivo l’unico pentito ritenuto attendibile dalla sua difesa, Cosimo Cirfeta, è stato smentito da risultanze oggettive e quindi processato, prima di morire, per calunnia ai danni degli altri pentiti. Ma in aula, al posto dei giornalisti, c’era solo un branco di vigliacchi occupati a difendere anni di silenzi.

Antonella Mascali, con la sua domanda, ha smascherato, più che Dell’Utri, i tanti luoghi comuni sulla libertà di stampa in Italia. Il problema, diceva Leo Longanesi, “non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi”.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.174) 13 dicembre 2009 12:01

    Spatuzza è diventato collaboratore di giustizia per uscire dal 41bis. E’ diventato un traditore della mafia. I Graviano sono mafiosi tuttora impenitenti. Perchè i Graviano (senza tornaconto) dovrebbero confermare le rivelazioni di una spia? Qualcuno pensa che anche la mafia non sia più una cosa seria?. Allora non serve INTERROGARE le STELLE per sapere chi tra noi sono gli alieni. Alieni pronti a credere che il top del successo finanziario e imprenditoriale sia frutto del massimo di rigore, correttezza e onestà. Forse serve la PESCITUDINE di chi si specchia nei Vip pensando così di essere uno di loro ... (altro ancora => http://forum.wineuropa.it

  • Di Federico Pignalberi (---.---.---.19) 13 dicembre 2009 16:02

    Rettifico: i numeri di telefono ritrovati nelle agende di Dell’Utri non corrispondono alle utenze di Giuseppe D’Agostino e Francesco Piacenti, i due favoreggiatori dei Graviano, ma di Carmelo Barone, amico di alcuni affiliati al clan Brancaccio (quello comandato dai Graviano), anch’egli presente all’incontro annotato da Dell’Utri nella sua agenda.

  • Di revtre (---.---.---.110) 13 dicembre 2009 16:38
    revtre

    complimenti veramente uno splendido articolo

  • Di poetto (---.---.---.244) 13 dicembre 2009 21:53

     Già dall’inizio della sua carriera da imprenditore, su Silvio, aleggia un sospetto, quello di aver utilizzato fondi di provenienza “misteriosa” per avviare la propria attività imprenditoriale.

    Il sospetto di una connivenza con un potere illecito, come quello della mafia, è di vecchia data.

    Certo, una cosa è il sospetto ed altro è la prova, la certezza che quelle connivenze siano realmente avvenute.

    Quello che ha detto Spatuzza non ha avuto, almeno fino ad ora, un riscontro sul campo, anzi, uno dei personaggi tirati in ballo smentisce la sua versione dei fatti.

    Bisogna capire ora chi ha ragione.

    Ha ragione Spatuzza? Pentito dopo molto tempo. Non si decideva a parlare in quanto a capo del Governo c’era proprio la persona che, a suo dire, era mandante di terribili attentati, decidendo la propria collaborazione durante il Governo Prodi.

    Ha ragione uno dei fratelli Graviano? Che, a quanto mi risulta, non si è pentito del proprio operato.

    I giornalisti, visto l’accentramento di poteri del nostro Primo Ministro, sembrano orientati verso un operato che disturbi il meno possibile l’immagine del nostro gran capo.

    D’altronde anche loro tengono famiglia, anche loro devono arrivare a fine mese e, di certo, non ambiscono, nel caso uno “sfortunato” servizio giornalistico, a finire come Enzo Biagi.

  • Di Federico Pignalberi (---.---.---.19) 13 dicembre 2009 22:51

    La giustificazione “tengono famiglia” è un’attenuante che non si può accettare. Il giornalista ha una missione sociale a cui non si può sottrarre. La Carta dei doveri del giornalista parla chiaro: <<La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato>>. Il proprio interesse personale viene dopo l’interesse del pubblico ad essere informato. I giornalisti devono <<difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini>>.

    Nel caso in questione, l’incontro di Dell’Utri con gli amici dei Graviano è un fatto storico ammesso dallo stesso Dell’Utri nella sua agenda. Nessun giornalista lo ha raccontato. Nonostante la Carta dei doveri imponga che <<il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell’avvenimento>>. Se l’Ordine dei Giornalisti avesse un senso, sottoporrebbe a un processo disciplinare tutti i reticenti che lo hanno omesso e li punirebbe. Se venisse accertato che l’omissione è stata commessa per convenienza, e non solo per ignoranza, dovrebbe radiarli dall’Albo. Così chi “tiene famiglia” avrebbe bene in mente che a essere reticenti c’è da perdere il lavoro. E magari ci penserebbe due volte prima di autocensurarsi.

    I giornalisti codardi che si autocensurano sono i primi responsabili del calvario di Enzo Biagi e dei tanti giornalisti-giornlisti che per non scendere a compromessi vengono messi alla porta o costretti a una Via Crucis intollerabile, illusi che qualcuno, un giorno, scriverà un "Elogio dei rompicoglioni".

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